Letteratura

Per Camilleri c’è una componenda di troppo in Sicilia e in Italia

6 Settembre 2015

Cade oggi il 90° genetliaco del Maestro di Porto Empedocle Andrea Camilleri. La Rai giustamente lo ha celebrato con annunci televisivi per due precise ragioni a mio modo di vedere, la prima perché Camilleri è stato dipendente Rai per decenni e la seconda perché con il suo Montalbano televisivo ha procurato, suppongo,  non poco sollievo alle casse aziendali. Io vorrei omaggiarlo con una rilettura, fatta nel 2009, della sua Bolla di componenda. E’ un testo poco noto, ma fra i i primissimi del Maestro, e nell’agosto del 2009 finì sotto l’attenzione del giornalista Giorgio Bocca – uno di quei “continentali” che come Germi, Damiani, Lattuada, Vassalli avevano capito quel “rompicapo” che è la Sicilia. In quel 2009 l’ineffabile Berlusconi, allora Capo del Governo, aveva anche dichiarato in una troppo  assolata Tunisia che gli sarebbe piaciuto passare alla storia come il Presidente del Consiglio che aveva sconfitto la mafia. Anche se c’era la componenda? Sì anche se c’era la componenda. 

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Benché il personaggio del commissario Montalbano non mi abbia mai appassionato più di tanto, ho sempre apprezzato il Maestro siciliano che l’ha inventato. So che lui sa che cos’è la letteratura, altro che, se lo sa; molti suoi libri ce lo dimostrano. So anche che egli è in possesso, come pochi, di quelle doti rabdomantiche dello scrittore che sa farsi leggere. Stendhal nel suo brogliaccio autobiografico del Broulard tracciava con una punta di china la “route de l’art de se faire lire” accanto alla “route de la folie”: perché, in effetti, è da matti scrivere credendo di sapere, o anche solo desiderare, di farsi leggere. Camilleri è un matto di questo tipo, un matto cui è riuscito di congiungere le due vie stendhaliane. E visto il successo che ha avuto il suo leggibilissimo Montalbano  qualche volta si è lamentato del successo (o della “folle” leggibilità?) di Montalbano, ricordando che lui è anche uno scrittore impegnato, non solo uno scrittore gastronomico: è dopotutto o soprattutto lo scrittore de La bolla di componenda!

Ho dovuto riprendere di corsa dal mio scaffale  La bolla di componenda, il mio primo libro di Camilleri, letto nel 1997 nella collana blu “La memoria” di Sellerio (ma la prima edizione apparve nel 1993 nei “Quaderni della Biblioteca siciliana di storia e letteratura”) sotto le suggestioni di un articolo di Giorgio Bocca proprio sulla … componenda tra Carabinieri e mafia, uscito su “L’Espresso” in pieno ferragosto di quest’anno (2009) e seguìto di lì a qualche giorno da una lettera risentita del Comando Generale dei Carabinieri al settimanale, che ogni componenda rifiutava indignato, ma anche da una dichiarazione spettacolare di Berlusconi (non esplicitamente connessa con quanto sopra e tuttavia contestuale in modo stupefacente) che annunciava, sotto la canicola tunisina, nientemeno che: «Io vorrei passare alla storia come il presidente del Consiglio che ha sconfitto la mafia». Una dichiarazione temeraria, sconvolgente, forse un’ulteriore prova che quando Sirio si arrota (come ricorda Giovenale) se rende lascive le donne, certamente non lascia indenne la capa dei nostri governanti. E la componenda?, ho pensato… Già, la componenda. Forse, mi sono detto, è sfuggito a tutti che nell’annuncio di Berlusconi c’era l’impegno, storico, storicissimo, della fine di ogni componenda tra stato (e governi) e la mafia… Ma no, non c’era; sono andato a rileggere la sua dichiarazione tunisina: non c’era. Forse perché Berlusconi, a differenza di Camilleri, non crede che ci sia mai stata questa componenda, figurarsi la bolla di componenda… Eppure, quello della lotta senza quartiere alla mafia dovrebbe essere l’impegno primo e quotidiano di qualsiasi capo di Governo italiano. E certamente così non è mai stato proprio per via di una … componenda ormai secolare. Ma adesso che finalmente abbiamo un Capo di Governo, che contro ogni componenda, o forse a dispetto di ogni componenda, intende lottare e distruggere la Piovra, perché, mi sono chiesto, la notizia non è uscita su tutti i giornali del mondo col dovuto clamore? Forse perché i giornali sono scettici come noi, forse perché i giornali sanno che fino a quando c’è di mezzo la componenda…

Ma cosa aveva scritto Giorgio Bocca nel suo articolo del 13 agosto  2009  sull’Espresso? Ricordava semplicemente ai connazionali «che il problema numero uno della nazione non è il conflitto fra il legale e l’illegale, fra guardie e ladri, fra capi bastone e le loro vittime inermi, ma il loro indissolubile patto di coesistenza. L’essere la mafia la mazza ferrata, la violenza che regola economia e rapporti sociali in province dove la legge è priva di forza o di consenso», e aggiungeva: «Se ci sono due scrittori italiani e siciliani che hanno larga e meritata popolarità nel paese essi sono Giuseppe Tomasi di Lampedusa autore del “Gattopardo” e Andrea Camilleri i cui libri sono in testa alle vendite, salvo il libro migliore, uno dei primi edito da Sellerio in cui spiegava per filo e per segno i compromessi fra mafia e Stato su cui si fonda l’unità d’Italia» (corsivo mio). Bocca chiudeva l’articolo rammentando «che i carabinieri “nei secoli fedeli” si attennero nelle operazioni di mafia ad attenzioni speciali, clamorosa quanto rimasta senza spiegazioni credibili la mancata perquisizione nella villetta in cui Riina aveva abitato e guidato per anni la “onorata società”».

Bocca non cita espressamente La bolla di componenda, come si vede, ma non possiamo sbagliare, il libro non può essere che questo.
L’argomento del nostro libro è proprio la “bolla di componenda”, non un tacito accordo dunque, ma proprio un documento scritto mai ritrovato peraltro (un singolare “tariffario” che precede e preannuncia le indulgenze contro cui si scagliò Lutero), risalente al Medio Evo, il cui acquisto comportava la remissione parziale o totale dei peccati, tranne l’assassinio che non era contemplato fra le componende. Ma al di là della caccia, anche narrativa, di questa fantomatica “bolla”, il libretto, che pure in superficie è un’inchiesta – come quelle condotte da Sciascia, ossia con personaggi di carta, stramorti, e resuscitati con l’aiuto di ricerche d’ archivio-, in profondità è invero una meditazione su un tratto della nostra storia nazionale, forse sulla nostra identità italiana(o siciliana, a condizione che si considerino i siciliani nient’altro che degli italiani esagerati).

La storia del compromesso, del tacito accordo tra il potere dello Stato e quello della mafia (altra cosa della trttativa Stato -mafia)  si intreccia, nel libro, con la storia della “bolla” vera e propria e segna un pendant tra la storia siciliana e l’ ethos pubblico siciliano (e nazionale). Componenda, infatti, come recita Il dizionario storico della mafia di Gino Pallotta, citato da Camilleri nel libro, è anche una « forma di compromesso, transazione, accordo fra amici. Veniva stipulata tra il capitano della polizia e i malviventi o i loro complici in una data età storica della Sicilia. Grazie alla componenda, il danneggiato poteva rientrare in possesso di una parte di ciò che glie era stato sottratto; in cambio ritirava ogni denuncia».

Ecco che Camilleri abbozza sottotraccia, nel proliferare delle tante storie della sua narrazione, una connessione tra lo spirito di componenda e l’inclinazione tutta siciliana e nazionale – di origine cattolica secondo lui, certamente di un cattolicesimo corrivo risalente alla pratica secolare delle Indulgenze, non di alto lignaggio teologico ma popolare e ancora in mezzo a noi -, di “comporre”, di aggiustare le forze del male con quelle del bene. La storia del bandito Giuliano – per Camilleri una “gigantesca componenda” sbirresca tra la mafia, Pisciotta e Scelba (l’allora Ministro dell’Interno)- è una fra le tante che Camilleri inanella, e ad essa Bocca sicuramente faceva riferimento nel lodare Camilleri.

Che la “bolla di componenda” non si trovi, infine, non è che il “come volevasi dimostrare” dei teoremi; la bolla non esiste, non è un documento scritto, è qualcosa di più ahimè: una ferra legge operante nel nostro vivere associati. La componenda è in noi, è nel nostro spirito sia privato che pubblico. È insomma un “pensiero debole” (rubo la formula a Vattimo, piegandola alle mie necessità) disposto a indulgere, transigere, e perdonare soprattutto i Caino e punire gli Abele (che in fondo “se la sono cercata”), che dà per scontata la potenza del male e la sua irredimibilità, e che trova saggiamente, realisticamente e filosoficamente un accordo con esso che lasci alfine tutti tranquilli, da qui all’eternità.

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