Letteratura
Pensioni, la Corte costituzionale ha deciso: Fiat iustitia pereat mundus
Ci sono un francese, un tedesco, un italiano… sì, è la solita barzelletta sul carattere dei popoli. Anch’io? Sì anch’io, corrivamente. Siccome faccio mostra di leggere libri – ma in realtà mi affanno dolorosamente su di essi per cercare la bussola della mia vita individuale come anche di italiano smarrito-, vi faccio pure un’alzata di palla: c’è nella tradizione letteraria un lignaggio nobile in questo tipo di comparazioni dei caratteri nazionali. Leggete La vedova scaltra di Goldoni (sono di scena un inglese, un francese, uno spagnolo e un italiano) oppure Corinna o l’Italia di M.me de Staël (uno scozzese, un francese, un’italiana): è a cavallo tra Settecento e Ottocento che inizia la comparazione dei caratteri nazionali poi finiti in barzelletta. C’è stato un momento alto, altissimo, di studi interculturali europei che fu promosso dal formidabile “Groupe de Coppet”, ideato e diretto sul lago Lemano dalla deliziosa Germaine Necker, meglio nota come M.me de Staël; luogo ameno Coppet, nella Svizzera francese, dove ogni italiano disgustato dalla Penisola prima o poi farà domanda di asilo politico.
Insomma, un francese, un tedesco e un italiano durante una pausa di un convegno internazionale di studi cross-culturali si interrogano su quali sono i tratti distintivi del loro stile manageriale nazionale, da riassumere tuttavia in una sola parola. Il tedesco dice: «Lo stile “panzer”, ossia potenza e organizzazione». Il francese: «Lo stile “Cartesio”: ossia razionalità e Stato centrale». L’italiano sornione aggiunge: «Lo stile “fungo”». Fungo? Chiedono gli altri. «Sì, risponde serafico l’italiano: tutti al buio e poi ogni tanto una secchiata di merda». Il connazionale spiritoso voleva alludere probabilmente alla gestione misteriosa delle decisioni (arcana imperii) e poi agli improvvisi scossoni della struttura organizzativa in termini di ribaltoni di organigramma o più prosaicamente di cazziatoni (termine intraducibile sia in francese che in tedesco).
Altra alzata di palla: ci sono fior di studiosi (all’estero, sì, non in Italia) che hanno esaminato, fuori dalle barzellette, seriamente, l’impatto delle culture nazionali sugli stili manageriali e non solo. Il pioniere e leader indiscusso di questi studi è lo psicologo olandese Geert Hofstede e in questa pagina troverete informazioni più dettagliate sulla “national culture”. Esiste anche un libro in italiano: BOLLINGER DANIEL, HOFSTEDE GEERT, Inter-nazionalità. Le differenze culturali nel management, Geerini&Associati, 2005)
La terribile secchiata invece in questi giorni è giunta sul governo ma anche sulla intera nazione da una sentenza della Corte Costituzionale. Essa stabilisce che il blocco della perequazione, ossia l’indicizzazione del rateo di pensione al costo della vita di quei trattamenti tre volte il minimo sociale (poco meno di 500 euro) decretato dal governo Monti è illegittimo, anticostituzionale. Stop, si torna indietro. Non voglio neanche discutere una questione come questa in un Paese che ha perso il senno e dove ci si caccia le dita negli occhi ognuno guardando il proprio tornaconto mentre la barca affonda. So che i beneficiari di questa sentenza sono contenti, so anche che il Tesoro è stato gettato nella costernazione perché nessuno sa esattamente qual è l’impatto in termini di esborso di denaro pubblico di questa dissennata sentenza. La CGIA di Mestre ha calcolato anche più di 14 miliardi di Euro, una cifra che ci ricaccerebbe indietro di tre anni, ai tempi del novembre del 2011.
Questa sentenza è stata data al buio, al buio fitto e doppio. Nel senso che nulla si sa su chi dei giudici ha votato a favore o contro, ma siccome questi segreti da arcana imperii da Paese dei Campanelli hanno la consistenza della carta velina, è filtrato che sei si sono espressi pro e sei contro e che abbia alla fine deciso il Presidente Alessandro Criscuolo, un arzillo ottantenne, che probabilmente non vedrà mai gli effettivi distruttivi della sua decisione. Ebbene sì: i verbali della Consulta sono secretati. Inaccessibili. Ma non solo la sentenza è stata pronunciata al buio, ma anche alla cieca. Lo ha detto Sabino Cassese (ai cui volumi mi rivolgo spesso per cercare di capire in che razza di Paese vivo) due giorni fa dalla Gruber, a “Otto e mezzo”. Cassese ha detto papale papale che una volta all’interno della Consulta c’era un Ufficio, poi smantellato, che aveva il compito di calcolare l’impatto economico delle decisioni della Corte. Quella Corte così idealmente nobile e ispirata che ha l’abitudine sistematica di eleggere a Presidente della medesima il Giudice più anziano, al fine di avere mandati brevi e soprattutto garantire al prescelto pensionando della Corte il rateo di pensione più robusto derivante da tale carica. Cassese quando fu il suo turno rifiutò ovviamente. Se volete anche dilettarvi con uno studio di questo grande Amministrativista (non tutto è perso nel nostro Paese fin quando ci saranno persone come lui) sulla cosiddetta “opinione dissenziente” all’interno della corte. Qui).
Se fosse stato ancora in essere questo Ufficio, e se esso fosse stato in grado di quantificare l’impatto esatto di questa terribile sentenza, il Presidente Criscuolo avrebbe optato ugualmente per la decisione alla fine presa? Non lo sapremo mai. Fatto sta che nel buio doppio di questa decisione si certificano almeno due cose: che il più grande dramma nazionale resta la Questione Amministrativa (uffici che vengono cassati quando servono e altri tenuti in vita quando non servono) e la questione della giustizia giusta in ogni settore della vita civile. Puoi metterci Mandrake a governare un Paese siffatto quando un TAR o una Corte Costituzionale accecata dallo splendore del Giure possono decidere senza battere ciglio di sconvolgere i conti pubblici. Siamo al più catafratto Fiat iustitia et pereat mundus.
P.S. Come andrà a finire? Che la sentenza “autoapplicantesi” cioè che ha in se stessa le regole della sua applicazione (qui l’Oracolo del Presidente forse sarà escusso in qualche antro buio di conversazione privata tra potenti ) sarà eseguita ad capocchiam dal Governo: nel senso che il Tesoro prima guarderà i soldi che ha in saccoccia e poi deciderà a chi restituire i soldi o meno della mancata perequazione. Ci saranno ricorsi e contro ricorsi come nella canzone di don Raffaè di De Andrè, ma verranno decisi da altre Consulte e da altri Criscuoli di turno. Beninteso se ci sarà ancora in piedi l’Italia, Paese culla del diritto, del diritto che è rimasto in culla. Noi speriamo nel frattempo di aver raggiunto a bordo di un barcone la riva di Coppet, sul lago Lemano, in Svizzera.
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