Letteratura
Pasolini e Parise, storia di “Antipatia”
Rileggo, dopo molti anni, un racconto di Goffredo Parise, dal titolo “Antipatia”.
E’ forse, tra i vari racconti contenuti nei “Sillabari”, quello del quale si è discusso e chiacchierato più a lungo.
Il motivo è presto detto: i due protagonisti del racconto sono Parise stesso e Pier Paolo Pasolini.
Il primo ad intuirlo, a colpo sicuro, non appena letto il racconto, fu un comune amico di entrambi, Raffaele La Capria.
Ecco le prime frasi, con le quali, stando alla interpretazione di La Capria, l’autore, nell’introdurre uno dei due protagonisti della storia, descrive se stesso:
“Un giorno un uomo un po’ pigro che non si era mai interessato di politica perchè non riteneva affatto, nonostante i rimproveri che gli piovevano da tutte le parti, che «ogni azione umana è una azione politica», udì il telefono squillare in modo che gli parve antipatico.
Quest’uomo, contrariamente a molti che possiedono la certezza di spiegare ogni cosa con la ragione, spesso non spiegava un bel nulla e, forse a causa della sua pigrizia, si accontentava di ricevere dagli uomini e dalle cose dei segnali che, senza alcuna spiegazione, contenevano già la spiegazione. Se quel giorno, ad esempio, il suono del telefono era antipatico ciò non costituiva una legge da «approfondire» con la ragione, bensì un caso, perchè, infatti, altre volte il suono era simpatico, saltellante, o frivolo, o pettegolo, e preannunciava qualcosa di buono e di amichevole.”
Il protagonista del racconto va a rispondere al telefono, di malavoglia e con un brutto presentimento, che spera sia smentito dai fatti.
Dall’altro capo del filo sente una voce che definisce “dolcina”, “in maschera”.
Chi parla è una persona che “molti ritengono importante, o meglio, che molti giudicano segno della propria importanza ritenere importante” (impagabili l’ironia e la eleganza di questa frase…).
Non manca una descrizione del “disturbatore”.
Ha una “brutta faccia ossuta a forma di pugno, una bocca chiusa dentro un incavo osseo come certi sdentati e soprattutto occhi mobilissimi che non si fermano mai negli occhi della persona con cui parla”.
Dando del tu al protagonista del racconto, il “disturbatore”, con la sua voce “dolcina” va subito al sodo: chiede una sovvenzione per alcuni rifugiati politici spagnoli in lotta contro il regime del Generalissimo Franco, che si trovano in quel momento in Italia.
“Mi rivolgo a te perchè so che sei un progressista e che sicuramente non vorrai far mancare un contributo al processo di rivoluzionalizzazione del paese che in questo momento si sta realizzando in Spagna”
Nell’uomo pigro scatta subito una reazione di antipatia nei confronti del suo interlocutore.
Da un lato trova ridicola e senza senso la frase che ha appena sentito, dall’altro prova un senso di invidia e quasi di inferiorità nei confronti della abilità fonica dell’interlocutore, che riesce a dire senza difficoltà “parole non solo prive di senso, ma anche difficilissime da pronunciare”.
Raccogliendo tutte le sue forze, l’uomo pigro risponde di non considerarsi progressista, visto, tra l’altro, che neanche si occupa di politica.
L’interlocutore a quel punto sentenzia con tono grave che “ogni azione dell’uomo è un’azione politica”.
L’uomo pigro ribadisce il suo rifiuto, l’interlocutore lo incalza, sempre con voce “dolcina”: “Guarda, pensaci, perchè questo è un tipico lapsus: significa che tu sei un qualunquista per non dire fascista”.
“Può darsi, non me ne intendo” replica sfinito l’uomo pigro.
L’altro non demorde, gli dà un consiglio: “Dovresti andare da uno psicanalista”.
L’uomo pigro a quel punto si ripromette di stare alla larga dal “disturbatore”, ma quest’ultimo non demorde e, nei mesi successivi, lo chiama ancora una volta per chiedergli una sovvenzione per dei guerriglieri palestinesi di passaggio in Italia.
Ottenuto un rifiuto, come la volta precedente, l’uomo dalla voce dolcina parla di “indifferenza colpevole”.
Nella scena finale del racconto l’uomo pigro, invitato ad una cena, viene piazzato, suo malgrado, dalla padrona di casa proprio di fronte all’uomo dalla voce dolcina.
Quest’ultimo si mostra, come sempre, ansioso di impartire qualche lezione delle sue.
L’uomo pigro vorrebbe reagire, poi decide di essere troppo pigro per continuare a coltivare la sua antipatia nei confronti dell’uomo dalla voce dolcina.
Lo aiuta, del tutto inconsapevolemente, il suo interlocutore, ficcandosi in bocca, contemporaneamente, una pomme soufflée con la forchetta e un grosso pezzo di pane con le dita.
Lo fa “in un certo modo curvo, tra umile e ingordo, di una umiltà e di una ingordigia così antiche, irredimibili e lontane da ogni speranza futura, che l’uomo, sapendo quanto breve è la vita, con suo grande sollievo, cessò di provare antipatia per lui”.
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