Letteratura

Novelle toscane tra letteratura e politica

4 Aprile 2016

Novelle toscane # 1
In questo periodo in cui la parlata toscana è nell’aria, nella bocca dei politici come dei comici sul proscenio nazionale, vado con la mente ai miei anni di Poggio Gherardo a Firenze. Fine anni ’60, tra l’alluvione del novembre del ’66 e il ’69. Eravamo ragazzetti svantaggiati provenienti da tutta Italia, ma per lo più dal Sud, in cerca di un destino e premiati già dalla vista di uno dei paesaggi più belli d’Italia. Nessuno sa cos’è la vera bellezza italiana se non si è aggirato per un po’ tra questi luoghi. Gli inglesi, allora padroni del mondo, lo sapevano e scelsero questa tenuta sul poggio Gherardo per vivervi con il tuscany landscape sotto gli occhi da una parte e una straordinaria vista su Firenze dall’altra. La grande tenuta sul poggio appartenne  a una famiglia ricca inglese, i Ross. La padrona di casa fino alla fine della seconda guerra mondiale fu Janet Ross, l’autrice di “The fourth generation
Ero alle medie. Il mio prof di lettere, l’amatissimo e indimenticabile fin che vivrò don Pesci (parroco di Ontignano cui servii mille volte messa, e insegnante fantasioso e geniale al Poggio) con la sua bella e rotonda parlata toscana ci diede da leggere come lettura di prima “Le novelle toscane” (1920) di Ferdinando Paolieri .

In tema di Novelle devo ricordare che Poggio Gherardo, a torto o ragione, era indicato come il luogo in cui “l’allegra brigata” del “Decamerone” s’era ritirata per sfuggire alla peste che imperversava in città. Ma le novelle di Ferdinando Paolieri mi sono rimaste nel ricordo più che altro per quell’italiano anticato (“io era” vi si leggeva ancora) e per quell’aria campagnola che vi spirava, evocante poderi e mezzadrie toscane. Me ne ricordai anni dopo quando all’università studiai il libro di Giorgio Giorgetti sui patti agrari in Italia, o gli studi di Emilio Sereni sul capitalismo nelle campagne. Nelle “Novelle” di Paolieri vi si parlava spesso di “barrocci” quei carretti ottocenteschi a due ruote che si attaccavano alle groppe delle bestie da soma. Il destino di quegli animali affaticati dal peso da trasportare impressionava molto me bambino, e tuttora mi sembra la metafora perfetta della vita. Siamo somari che trasciniamo barrocci, in verità, pesi della vita, cui si aggiungono quelli dei ricordi, vita rammemorata.

Ciò che mi ha vivamente impressionato nelle mie “zingarate” tra i libri (termine toscano, zingarata, da “amici miei”, qui necessario) fu che i due scrittori siciliani più importanti di sempre, due novellieri prima di ogni altra cosa, Giovanni Verga e Luigi Pirandello ebbero come ultima lettura  quella che fu la mia prima lettura, proprio le “Novelle toscane” di Ferdinando Paolieri. Corrado Alvaro nella prefazione di “Novelle per un anno” nei due volumoni della Mondadori, narra il fatto: Pirandello prima di morire ebbe il libro di Paolieri sul comodino. Ed è Ercole Patti in “Diario siciliano” a raccontare che anche Verga ebbe sul comodino prima di morire lo stesso libro, allora uscito da poco. Il libro di Paolieri è del ’20, Verga morì due anni dopo. Patti non era presente alla morte di Verga ovviamente. Ma è una buona fonte: era nipote del critico letterario etneo più noto in quegli anni, Giuseppe Villaroel, e grazie allo zio, narra in “Diario siciliano” fece una volta visita allo scrittore che s’era ritirato a Catania, che non scriveva più e che parlava solo in dialetto. Villaroel era intimo di Verga, sapeva quel che diceva.

^^^

Novelle toscane #2

Dicono: non è colto e cita da google, come se loro leggessero direttamente i testi in originale, questi Des Esseintes redivivi. E’ un cazzone (dagospia): senti chi parla. Non deve scegliersi gli amici, ma persone competenti. Loro, che sono familisti e vivono con la favola del ciònamico qui e ciònamico là. Ma scegliere i bravi lo ha fatto quando ha potuto, all’INPS, alle Poste, all’Anas, ecc.Guarda l’alleanza con Verdini!? Embé, il mio D’Alema aprì con Cossiga (il sardo muto) a Mastella e a Messerville. La politica è quella cosa lì: una cucina dove si fanno i piatti con quel che c’è nella dispensa. Si lavora, come nella vita, in condizioni date: non ti capita di scegliere i parenti, figurati gli amici o i compagni di strada. Primum vivere è una regola che vale per tutti.

Fa quel che può Calandrino nel Paese degli estremisti esteti come Cremaschi o Cavalli, che dall’antagonismo ricavano reddito e che intingono la lingua nel fiele, da marxisti immaginari di sempre. Calandrino, al fondo non piace neanche a me, anzi a volte ho moti di sincero disgusto al suo indirizzo. E poi anche politicamente ha sbagliato la finanziaria di quest’anno: avesse fatto la flessibilità sulle pensioni piuttosto che togliere l’IMU sarebbe stato meglio per l’economia, per tutti e anche per lui. Errore che forse pagherà. Ma vada avanti comunque: per quel che mi riguarda temo di più il comico tragico genovese, quel bullo scassapagliai di Salvini, gli impomatati della destra berlusconiana, quel ringhioso di Brunetta, gli ameba della mia sinistra d’antan (Cuperlo, questo Scipio Slataper redivivo sta tirando fuori adesso la testa, ma doveva tirare gli attributi ieri). Civati si è nullificato da solo, facendo nessuno sforzo. Fassina che quand’era al governo si prese a occhi chiusi tutto, dal fiscal compact, alla Fornero, al pareggio di bilancio in Costituzione, scopre adesso la politica antagonista. Mi faccia il piacere.

E poi fossi stato io al governo, in un Paese in cui la burocrazia si mette di traverso per complicare il semplice e agguantare mazzette, sarei andato col bullodozer, altro che con lo sblocca-Italia. Annunziata ieri in tivù balbettava, sì Presidente lei ha “racione”, un governo compie atti doverosi per produrre lavoro e occupazione, però possibile che non sapesse nulla degli origliamenti della magistratura di Potenza? No, un governo non deve saperli, anche perché “esce pazzo” con una magistratura che fa cadere il governo Prodi con l’atto di un Procuratore che la settimana dopo sarebbe andato in pensione, anche perché, mi spieghi, intercettazioni di due anni fa, tirate fuori al momento… No, in questo Paese una cosa è certa: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo, ma Calandrino me lo tengo. Alla prossima elezione vedremo ciò che la dispensa della cucina mi offre. Ma che vada avanti fino al ’18. C’è tempo per far deflagrare per sempre la bella Italia.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.