Letteratura
Non essere di Alberto Cellotto, l’altra parte del pensiero e della realtà
Non essere, il libro di poesia più recente (Vydia, 2019) di Alberto Cellotto, è un’opera coraggiosa e difficile, in cui la scrittura viene giocata su più piani, attraverso un continuo spostamento del percorso logico e del punto di vista individuato dal testo. Paradossalmente, l’operazione di Cellotto è forse ancora più evidente proprio in uno dei testi più narrativi della raccolta, o quantomeno in una delle poesie caratterizzate da una coesione più riconoscibile del racconto, della cosa rappresentata, se così si può dire:
Cerco cosa unisce le ciabatte rosa troppo grandi
della bambina della Cina occidentale in una foto
mentre scappa via su marciapiede, con il mio panino
e la nostra nuvola, a un sereno esplosa dopo giorni, giorni
di pioggia, una soltanto bordata di calce e sete. O come
c’entra la villa abbandonata con tutto quel giardino attorno,
un acquitrino all’inizio della salita dei parcheggi di un’ora
e un unico albero vecchio potato da un solo lato. La vita va
avanti, sotto i denti va avanti
una mente che spariglia momenti.
Leggendo la prima frase della poesia si vede come, pur all’interno di una consequenzialità logico-sintattica, nel giro di pochi versi, passando da “le ciabatte rosa troppo grandi della bambina della Cina occidentale” a “la nostra nuvola, a un sereno esplosa dopo giorni, giorni di pioggia, una soltanto bordata di calce e sete”, ci si trova in un campo semantico e di significato del tutto diverso e soprendente. Lo spostamento viene attuato su più livelli. Senza dubbio, nel campo dei significati, ma, verosimilmente, anche in quello dei significanti: la metamorfosi del discorso sembra voler registrare le dinamiche, anche inconsce, che riguardano il vedere le cose, il pensiero e il linguaggio.
Altre variazioni all’interno dei testi di Cellotto si ravvisano nella scrittura che a tratti sembra avere un andamento narrativo per poi invece piegarsi in contrazioni inattese o manifestare tensioni che, in contesti diversi, potrebbero anche definirsi liriche. E, ancora, lo spiazzamento, l’elusione, l’esercizio di deviare, o negare, una definizione possibile, di non essere, per citare il titolo, si rivela nella forma delle poesie che, se da un lato tendono chiaramente verso la prosa, dall’altro non confermano mai del tutto questa scelta, andando a capo, anche con enjambement e cesure violente, che in certi passaggi finiscono per frammentare il testo con modalità imprevedibili soltanto poche righe prima.
Emblematico e, tra gli altri, rappresentativo della raccolta è anche il testo che segue:
I paesi sono rimasti dove erano. Solo più ammantati
di strade nuove e nuvole per non scomparire. Io
più non rimango ma freno, al semaforo fermo.
Il bambino down nel marciapiede stretto di un mattino
sta tutto nei suoi occhiali, la donna lo precede, lo segue poi
come aggrappata alle lentiggini sopra le palpebre.
Non c’è amore in un incrocio, non c’è aria sui teli
dei camion che svoltano largi invadendo il vuoto in corsia,
non c’è davvero nulla se non il desiderio di essere tutti
altrove tra poco dopo una diastole mancata ai cuori.
Nei primi due versi, già mentre si legge “scomparire”, più che una rottura del principio di realtà, si può osservare un’evasione dagli schemi del pensiero razionale, e quindi una scrittura che mira a mettere in discussione i meccanismi della percezione e del rapporto con l’esistente, e a restituirne un’ipotesi diversa, forse l’altra parte, ovvero un’altra parte possibile, più o meno nascosta e sottotraccia. E l’ultimo verso, che inizia indicativamente con la parole “altrove”, chiudendosi con “diastole mancata ai cuori”, ove possibile, conferma la poetica della contraddizione, se si vuole, della negazione, e quindi dell’elisione che segna tutto lo svolgimento del libro.
Maria Anna Mariani nella sua prefazione sottolinea lucidamente che: “Tutto è beffardamente sconnesso e la sintassi riflette questi nessi saltati nel mondo, esasperando la metaforicità del dettato, unendo quel che è senza rapporto e spezzando quel che è collegato, comportandosi insomma come se fosse plasmata da “una mente che spariglia momenti””.
Non essere è un’opera originale e, nelle sue continue eccezioni, non certo esente da rischi, la cui riuscita tuttavia viene suggerita anche dal fatto che gli slittamenti della scrittura finiscono per creare un linguaggio e un universo di senso di cui si avvertono la tensione e la coerenza implicita. In sintesi, l’impressione è di trovarsi di fronte a una sperimentazione virtuosa, e libera, svincolata da schemi preesistenti e sterili, che più che decostruire, ricostruisce, riprogramma la scrittura, aggiungendo prospettive estetiche e concettuali nuove.
Foto di copertina: Serie 13, Errori di logica, di Alberto Cellotto.
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