Letteratura

“Nemesi. Roma non dimentica” di Riccardo Sciuto

9 Settembre 2021

La storia romana è certamente affascinante ed ha segnato, profondamente, soprattutto la cultura di noi occidentali al punto che, nonostante siano trascorsi millenni da quel fatidico 476 d.c. che ne ha segnato convenzionalmente la fine, continuiamo in modo evidente e perfino inconscio, a praticarne il mitico culto. Proprio la complessità di quella storia, unitamente alla sua lunga durata, ha fatto innamorare fior di letterati ed artisti che, nel tempo, ne hanno celebrato ed esaltato la gloria “imperitura”.

Riccardo Sciuto, che per mestiere è stato molto lontano dal culto delle lettere, avendo esercitato per lunghissimi anni  il mestiere del commercialista, ci offre un esempio di questa passione per la romanità, e per il mondo classico in genere, offrendoci un romanzo storico che non ha nulla da invidiare alla migliore letteratura in materia; ricordo a questo proposito il classico “Gli ultimi giorni di Pompei” di Bulwer-Lytton ma anche le opere di Massimo Valerio Manfredi.

Nemesi. Roma non dimentica”, è questo il romanzo di cui parliamo, ripercorre una pagina topica della storia di Roma agli albori dell’età imperiale che s’intreccia con la vicenda complessa della famiglia imperiale della dinastia Giulio-Claudia, a cui apparteneva Augusto, fondatore dell’impero.

Un tempo segnato dalle glorie di Augusto e delle sue invincibili legioni ma, anche, da una sconfitta clamorosa, quella toccata a Varo nella Selva di Teutoburgo che decise, in modo drammatico, la fine dell’espansione imperiale in Occidente e, abbandonando il sogno di trasformare la Germania in provincia imperiale, la fissazione del confine imperiale sul Reno.

E’ una storia densa d’intrighi, di bramosia di potere, che travolge perfino gli affetti familiari più intensi, al centro dei quali sta un imperatore, come Tiberio Augusto, che l’autore dipinge a tinte nere perché segnato da un carattere instabile, facile all’ira e alle suggestioni, avido e geloso di quanti, a suo giudizio, possono in qualche modo oscurare le sue glorie o attentare al suo potere.

Un personaggio facile preda della calunnia che, nel caso in specie, la nuora Livilla e il suo amante l’ambizioso prefetto del pretorio Lucio Ennio Seiano, montano per scalzare l’erede designato al trono Giulio Cesare Germanico.

Ma è anche la storia dello stesso Germanico, valoroso e generoso generale che intendeva riscattare, e in parte c’era riuscito, l’umiliazione di Teutoburgo e che, pur esaltato dalle sue legioni a prendere il potere scalzando Tiberio, rimane fedele al suo imperatore fino ad accettarne – cioè di fermare l’avanzata in Germania – quelle che in cuor suo giudica improvvide decisioni.

Germanico, nel romanzo è l’eroe positivo, senza malizia, capace di perdonare e, soprattutto, di frenare le sue anche legittime ambizioni in nome dell’interesse superiore dell’impero, per lui vale come regola ineludibile il detto “salus Romae suprema lex esto”.

La narrazione si arresta con il ritorno dell’eroe a Roma, con un Tiberio che assiste al trionfo di germanico facendo, come recita un saggio proverbio, “buon viso a cattivo gioco”.

Il pregio del volume è innanzitutto offerto dalla puntuale informazione storica supportata dalle fonti più note ma anche, e soprattutto, da una cifra di scrittura invidiabile capace di avvincere, senza soluzioni di continuità, il fortunato lettore dalla prima all’ultima pagina.

 

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