Letteratura

Nel mito di Pier Paolo Pasolini

2 Novembre 2020

Se c’è un poeta che ha condizionato il valore dell’esistenza, facendone capire il significato rispetto alla morte, questo è stato Pier Paolo Pasolini.
Ha avuto una relazione tragica e conflittuale con la vita, non essendo capace di viverla con ironia, perché ha sempre introiettato e compreso la sofferenza degli altri, il loro anelito ad un necessario riscatto sociale. Gli scritti corsari depongono in tal senso.

La felicità, per quello che banalmente può significare, è di tutti e tutti la devono conseguire. Questo è stato il testamento di Pier Paolo.
Aveva addosso la malinconia come un profumo della sua pelle, disse di lui Oriana Fallaci. E Franco Fortini, quando all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre del 1975 Pier Paolo fu atrocemente ammazzato, esclamò desolato e derelitto: “ora hanno ucciso la poesia”.

Pier Paolo era il compagno che tutti desideravano avere; nei salotti degli intellettuali romani e delle belle signore della Capitale, sin dalla fine degli anni ‘50, la sua presenza era richiesta per necessità, altrimenti la serata poteva anche non incominciare.
Pier Paolo, infatti, parlava da finissimo pensatore di poesia, prosa, giornalismo, cinema, teatro, pittura, arte ed è stato forse l’ultimo intellettuale organico, nel senso gramsciano, che questo Paese ha visto sulle sue scene, completo in tutte le sue declinazioni.

È stato capace di avere un rapporto profondo con la massa, con il popolo, anche con il narcisismo necessario per riscuoterne il consenso (si ponderi, in proposito, la sua relazione con la macchina da presa e con la fotografia) e per provocare il palazzo del Potere. Da qui, come dice altro suo allievo Vincenzo Cerami, la lotta contro l’omologazione del potere, di qualunque colore fosse e secondo anche la sottesa gestione, fascista, democristiana, comunista. Infatti, Pier Paolo non ha digerito il conformismo di una cultura che ha ucciso ogni anelito di quella contadina, quasi ad apparire, impropriamente, reazionario o fuori di ogni ambito progressista ed anacronistico : “darei una lucciola per l’intera Montedison”. Qui si vede la sua dissacrante provocazione, che sconvolge ogni relazione sociale: la paura che il progresso possa distruggere le radici del mito.

Enzo Siciliano, che ha scritto un libro bellissimo, “Vita di Pier Paolo Pasolini”, ritiene che Pasolini non possa essere imitato o contraffatto, né sarà mai possibile inventare  le sue provocazioni: era sempre fuori dal coro, dalla parte di chi aveva torto, perché voleva comprendere la profondità del dissenso per farlo rientrare o per capirne le radici.

Moravia adorava Pier Paolo e forse è stato quello tra i suoi amici che lo ha aiutato a mantenere viva la sua relazione con Elsa Morante: attraverso Pier Paolo, Elsa amava ancora Moravia.
Pasolini per Moravia era un poeta totalizzante, il migliore della seconda metà del ‘900, capace in modo assoluto di raccontare la letteratura e farne una ragione di vita. Il bisogno di poesia per Pier Paolo era vitale, per respirare, vivere.

Se c’è un mandante che ha ucciso Pier Paolo Pasolini, ha scritto Emanuele Trevi, è stata l’ipocrisia di questo Paese.

Ed è la verità ultima: Pier Paolo Pasolini è nel mito della letteratura, unico nelle sue acutissime intuizioni, brillanti e profetiche per una società che ha perduto l’ossatura della coesione ed è slabbrata nei suoi cardini.

Ma la notte era sua nemica: ogni notte non sapeva se avesse incontrato il giorno. Anche questo era Pier Paolo.

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