Letteratura
Nel grandioso strazio di Grade ci sono tutti i dilemmi dell’ebraismo moderno
Posso dire che in qualche modo mi pento di quanto scritto nella “prima puntata” della recensione di questo gran bel libro di Chaim Grade, Fedeltà e tradimento? Sì, posso; anzi, devo. Il perché è presto spiegato. Dopo la lettura della novella d’apertura, Il giuramento, avevo ribadito sperticati elogi già espressi all’uscita de La moglie del rabbino – in linea con il giudizio wieseliano secondo cui non la genia Singer bensì Grade era stato «il più grande romanziere yiddish di sempre». D’altronde La moglie e Il giuramento giocano nel medesimo spazio geografico-temporale e appassionano chi ama la pia e umanissima, popolare quotidianità ottocentesca che brulica intorno a Vilna, la “Gerusalemme di Lituania”,
Il problema è che, avendo osannato giustamente la lunga novella, adesso è più complicato trovare le parole per descrivere la forza, la genialità, la freschezza e l’attualità, la liricità de La mia contesa con Hersh Rasseyner, il lacerante dialogo poetico-filosofico dato alle stampe nel 1951. Chaim Vilner e Hersh Rasseyner – i cognomi indicano semplicemente le città di provenienza – hanno studiato nella stessa yeshivà di Novaredok, ottimi allievi di altrettanto ottimi talmudisti. Ma Chaim (medesimo nome di Grade) e Hersh hanno poi preso strade divergenti: laicizzato, scrittore, seguace della haskalà, l’illuminismo ebraico, il primo; ferreamente legato alla tradizione e divenuto capo di importante yeshivà il secondo.
La sorte vuole che i due si incontrino per caso in tre momenti della vita: a Bialystok, a Vilna, e a Parigi poco dopo la Shoah. Il confronto – meglio definirlo guerra di cervelli e di cuori – è serrato, sofferto, a tratti crudele e a tratti amorevole. Differenti esperienze di vita e concezioni religiose. L’artista che ha abbandonato gli studi rabbinici per confrontarsi con la letteratura profana e con il dolore dell’umanità, contro il rigido uomo di Dio che non risparmia micidiali fendenti. Insomma, modernità o supposta tale da una parte, eternità talmudica, peòt e capo coperto dall’altra. Il succo, di nuovo, è o sembra essere quello del titolo: fedeltà o tradimento? Dilemma irrisolto, credo. Conflitto interiore che attanaglia l’anima di ciascuno e l’ebraismo nel suo insieme, di ieri, di oggi, di domani.
L’accusa che scarnifica la pelle è quella di volersi sottrarre al giogo divino, ossia all’osservanza di Torà e halakhà, per compiacere i goym, alla ricerca di un successo personale che comunque in questo mondo non arriverà mai. «I vostri intellettuali secolarizzati hanno cantato in rima: ebreo in casa e uomo in strada. Così vi siete tolti il caffettano e vi siete rasati la barba e i cernecchi, ma quando siete usciti in strada e l’ebreo vi è corso dietro nel linguaggio, nei gesti, in tutto il vostro essere – un vero disatro – l’avete bandito da dentro di voi. E così l’ebreo se n’è andato via, come un vecchio padre disprezzato dai figli si ritira prima nella casa di studio e poi, non avendo scelta, in un ospizio. Adesso però che aveve visto che cosa è successo, gridate il contrario: uomo in casa ed ebreo in strada. Di essere devoti in casa non siete capaci, perché vi manca la fede. Ma per lo sdegno nei confronti dei goyim e per la nostalgia del padre con cui avete tagliato i ponti volete mostrare il vostro ebraismo per strada…». Contro accusa:«Perché dovrei giustificarmi con voi? Siete stati voi a chiudere tutte le porte, per non lasciare uscire in strada nessuno. Quando qualcuno provava soltanto a mettere fuori la testa… l’avete spinto all’esterno e serrato l’uscio… Di generazione in generazione siete diventati più bigotti e oscurantisti. Avete cuori insensibili e orecchie sorde a tutte le scienze del mondo… Sapete almeno quali persecuzioni subì rebbe Moshe Chaim Luzzatto, di quanti sospetti fu oggetto, quanto sangue gli cavarono e quanto frugarono nei suoi scritti a caccia di pensieri eterodossi?».
Un meraviglioso strazio che, grazie anche alla traduzione “innamorata” di Anna Linda Callow, ci fa introiettare quanto il giovane studioso di yeshivà Chaim Grade viva in realtà in entrambi i personaggi. Come dire: la millenaria declinazione di una identità ebraica che contiene in sé quasi infiniti modi di rapportarsi ad essa, e come ogni modalità venga letta e vissuta quale tradimento reciproco. Ieri come oggi, come sempre sarà.
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