Letteratura
“Né focaccia né birra”. Contro ogni fondamentalismo
Proviamo a inquadrare, se ci riusciamo, la personalità di base del fondamentalista, del puro che più puro non si può, da cui siamo assediati nelle cronache di questi giorni. Ogni uomo che è immerso nel mondo e nelle passioni sa di che “lacrime grondi e di che sangue” la vita con le sue follie, le sue tentazioni, le sue asperità, le sue nequizie, le sue ingiustizie, ma anche le sue dolcezze, le sue consolazioni, i suoi piaceri. Vivere nel mondo significa vivere nel viluppo delle passioni. C’è chi, di fronte a queste, alle sue seduzioni e ai suoi incantamenti o perché non le ha assaporate o perché (più spesso) ne è stato eluso, deluso, sconfitto, elabora un indirizzo dell’anima in cui dette passioni in qualche modo sono irreggimentate o al peggio bandite.
Si può vivere senza passioni? Certo che sì: la vita è atto di libertà supremo, e ognuno, a proprio rischio o beneficio, può interpretarla come vuole; e non ci sono maestri – benché i guru e paraguru di spiritualità balsamica abbondino nelle librerie (da Coelho a Terzani)- , che ti possano indicare quale direzione dare alla tua occasione terrena. Personalmente prediligo quei filosofi, come Spinoza, che ti suggeriscono di misurarti con le passioni, ma so che ne esistono altri che predicano l’aponia, l’atarassia. L’ascetismo prima di essere cristiano fu stoico, cinico (Diogene che si libera della ciotola quando scopre che si può bere con le mani). In ogni caso fuggo dai generici spiritualisti, e non appena li fiuto scappo a gambe levate. Di pannicelli caldi non ho bisogno.
Ma ciò che distingue l’uomo purificato dalle passioni – l’uomo puro – è che a partire dalla propria scelta individuale, soggettiva, qualsiasi essa sia, non necessariamente ideologica o religiosa, costruisce la pietra di paragone dei comportamenti altrui. Non è il primo movimento – la scelta individuale – che preoccupa, ma il secondo, immancabile, della proiezione della propria scelta nel mondo, sul mondo, contro il mondo. Non mangio carne? E ti distruggo la macelleria. Sono vegano? E ti assalgo gli abruzzesi di Torino che si sono riuniti a mangiare arrosticini. Sono contro la TAV, e ti blocco le stazioni sotto Natale. Sono uno sfigato egotista? E ti imbratto tutta Milano con le mie firmette e i miei disegnini con bombolette spray, che ti piaccia o meno, dove mi pare e dove mi piace. Sono salafita? E ti copro tutte le donne. Sono sunnita? Ecc. ecc.
Siccome lui è ossessionato dalla sua idea e ha messo la braghe alla propria anima pretende che tutti gli altri gliele mettano. Non esistono né fondamentalisti né “purissimi”, e qui sta il dramma, che limitino al proprio foro interno la propria scelta di vita senza volerla imporre agli altri, agli impuri, a tutti coloro che vivono nel mondo e ne sanno tutti gli inganni e che proprio per questo hanno appreso l’arte della tolleranza, che non vuol dire assenza di limite, perché proprio dal limite trova forza e alimento: la mia libertà inizia dove finisce quella degli altri. (Concetto nato in Europa dopo i massacri delle guerre di religione tra Cinquecento e Settecento).
È vero che “tutto comprendere non è tutto perdonare”, ma sapere individuare le radici delle debolezze altrui è il minimo impegno richiesto dalla convivenza civile tra peccatori. Atteso che le norme e le regole del vivere associati sono già codificate nelle leggi, che socraticamente occorre sempre rispettare, e per le quali è lecito tutto ciò che esse esplicitamente non vietano, al fondamentalista, al puro, si deve rispondere con la battuta di Shakespeare nella “Dodicesima notte”: “ Dost thou think, because thou art virtuous, there shall be no more cakes and ale?” che traduco con Goffredo Raponi di “Liber Liber” in: “Credete che, essendo voi virtuoso non ci debbano più essere al mondo né focaccia né birra?”
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