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musica in metamorfosi con Gianmario Borio 12
MUSICA IN METAMORFOSI 12
Qualche mese fa, grazie all’intuizione di Paola Damiani e su commissione di Radio3 Suite, ho realizzato un ciclo di 12 puntate intitolato “Musica in metamorfosi“ . Un dialogo a più voci con compositori, interpreti, musicologi, ingegneri del suono ecc. su questo immenso proliferare di generi musicali… sintomo di una democrazia in ottima forma o effetto di una metamorfosi sotterranea di ciò che abbiamo chiamato, per diversi secoli presente compreso… musica?
Il programma è stato accolto con grande curiosità, ho ricevuto moltissime mail ed è stato candidato al Prix Europa. Mi è sembrato quindi potesse esser di un qualche interesse trascriverlo, seppur parzialmente, e metterlo a disposizione. In questo formato possono esser approfonditi elementi diversi, come le biografie degli autori o delle persone citate e in ogni caso, in fondo alla pagina troverete il link della puntata.
Insomma buona lettura e/o… ascolto !
Puntata 12
Andrea Liberovici – Gianmario Borio
Andrea Liberovici: Dunque, Musica in Metamorfosi finisce oggi e sono già, come dire, attraversato da una sorta di nostalgia preventiva e frustrazione latente, perché abbiamo trovato, da poche ora, un’altra riserva di generi musicali impressionante. Ma, come dire, ci fermiamo in ogni caso al dato di oggi che è già notevole e inaspettato: 4031 generi musicali. Non stiamo scherzando, ad oggi abbiamo censito, grazie alla rete, 4031 generi musicali diversi. Vedo in lontananza i nostri Hänsel e Gretel, serissimi come solo i bimbi sanno essere quando giocano, pronti con il catalogo in mano. Eccoli che arrivano…
Hänsel e Gretel: Techno Tech House, Micro House, Acid Techno, Deep Techno, Detroit Techno, Minimal Techno, Techno Europea, UK Grunge…
A.L.: Buonasera mi chiamo Andrea Liberovici e faccio il compositore e il regista di teatro. Il mio, diciamo così, imprinting teatrale, si fonda su una massima meravigliosa di Brecht, che ritengo, giorno dopo giorno, purtroppo, sempre più attuale. Non costruire sul buon tempo passato, ma sul cattivo tempo presente. Se quindi provassimo a reinventare, come faceva Bertolt Brecht con i classici, la fiaba di Hänsel e Gretel e provassimo ad interpretarla come una metafora della società dello spettacolo? È un azzardo un po’ forte? Seguitemi, entriamo nel bosco.
Musica
A.L.: Grazie a questo meraviglioso Cucù, composto da Gyorgi Ligeti ed eseguito dai King’s Singers e grazie a Into the Wood di Olga Neuwirth, che sta arrivando da lontano, possiamo cominciare la nostra promenade nel bosco. Proviamo innanzitutto ad immaginare che Hänsel e Gretel rappresentino le due discipline artistiche, tema delle nostre trasmissioni, Hänsel le arti visive e Gretel le arti acustiche. Abbandonati nel bosco per ben due volte dai loro genitori, si ritrovano affamati davanti alla casa di marzapane. La casa di marzapane che promette, finalmente, ad Hänsel e Gretel, un lauto e ricco pasto mentre, come sappiamo, è soltanto un’esca della strega per il suo ricco e lauto pasto. Non saranno loro ad essere sfamati ma saranno loro, nel progetto della strega cannibale, ad essere cucinati, mangiati, digeriti. Questo processo che cos’è – stiamo anche noi favoleggiando, quindi chiedo perdono – se non la metafora perfetta dello spettacolo? La grande illusione di un grande e immenso successo di marzapane per tutti, a cui dedicare la vita prima di essere mangiati? Quali strumenti vengono utilizzati per attuare questa grande seduzione? L’audio e il visivo, l’audiovisivo. Come riescono a fuggire dalla strega cannibale Hänsel e Gretel nella fiaba dei fratelli Grimm? Ci riescono attraverso la conoscenza e lo studio della realtà, il loro cattivo tempo presente. Ovviamente è bene chiarirlo subito per evitare ogni fraintendimento. Il problema non è affatto la relazione audio-visiva, anzi è proprio la materia della mia ricerca, ma il suo utilizzo, il come vengono utilizzati questi nuovi strumenti, potentissimi e meravigliosi. Ne parliamo con Gianmario Borio, direttore dell’Istituto per la Musica delle Fondazione Cini di Venezia e Professore Ordinario di Musicologia presso l’Università degli Studi di Pavia. Ne parliamo ricollegandoci a La mano felice, opera di Arnold Schönberg, di cui mi preme leggere un frammento del testo introduttivo. Schönberg scrive:
Da tempo avevo in mente una forma che ritenevo, in realtà, l’unica con la quale un musicista potesse esprimersi in campo teatrale. L’ho definita far musica con i mezzi della scena.
Gianmario Borio: Io penso che c’è un primo aspetto de La mano felice, che riguarda le modalità con le quali Schönberg sia arrivato ad un simile risultato. Sicuramente il contatto con Kandinskij è stato importante. Kandinskij nel primo volume della rivista del Der Blaue Reiter scrive anche un articolo breve su questioni teatrali, di azione teatrale. Ha in mente ovviamente Der Gel Becklang, Il suono giallo, a cui sta lavorando e di cui è rimasto il testo ma non è rimasta la musica, sulla quale abbiamo una visuale molto parziale. La mano felice è un’opera in cui Schönberg tenta per la prima volta di coordinare ciò che sono le dimensioni mediali del teatro. Siamo nel clima che io definirei post-wagneriano. Sia a Parigi che in parte in Germania, a Berlino, ma anche a Vienna, dalla ricezione di Wagner, soprattutto degli scritti e delle rappresentazioni del Ring, si diramano quelle che sono le prime avanguardie di tipo teatrale. Lo stesso processo avverrà in Russia, attraverso le rappresentazioni di Meyerhold, che poi è la radice di tutto il teatro contemporaneo sperimentale d’avanguardia. Wagner anticipa, soprattutto nei suoi scritti, questa tematica, che poi è stata resa nota col termine Gesamtkunstwerk, opera d’arte totale, un concetto che sviluppa l’idea della convergenza dei media, delle dimensioni mediali, soprattutto di parola, azione e suono e musica. Infatti uno dei suoi primi interpreti parla di Wort-Ton-Drama, cioè parola suono e azione, dove l’azione è il visibile. Ovviamente sono processi che durano decenni.
A.L.: È in quest’ordine gerarchico?
G.B.: Non è una gerarchia, ma in realtà la componente gerarchica è presente perché Wagner è un compositore, e quindi controlla tutto in quanto compositore. Lui usa questo termine del Tondichter, il poeta dei suoni, è lui che tiene il timone di tutto, ed è la partitura che centralizza il tutto. In realtà la dimensione visiva nella partitura è spesso implicita, alle volte indicata perché dipende dalle varie opere. Nella generazione di Alban Berg, Schönberg, in parte anche Debussy, diventa molto più esplicita quest’idea di coordinare anche se avviene in maniera sempre un po’ rudimentale dal nostro punto di vista. Noi abbiamo una consapevolezza molto più avanzata del controllo sistematico di tutte le dimensioni mediali, perché siamo passati attraverso il digitale ma anche, senza arrivare al digitale, attraverso tutte le esperienze degli anni cinquanta, delle avanguardie degli anni cinquanta e sessanta.
A.L.: Dall’elettronica in poi…
G.B.: In musica dall’elettronica in poi, ma anche attraverso lo sperimentale nel nuovo teatro, attraverso la scrittura scenica, l’idea di comporre la scena. Questo è veramente un approccio compositivo, cioè una mentalità compositiva rispetto al fatto scenico. Quindi io vedo un po’ in questi fenomeni dei germi di tutte queste cose.
Musica
A.L.: A proposito di musica fatta con i mezzi della scena, in questo caso composta con svariati strumenti di lavoro, stiamo ascoltando un frammento di Experimentum Mundi di Giorgio Battistelli.
(Rivolto a Gianmario Borio) Il novecento è stato il secolo dove tutte le discipline hanno attraversato delle crisi, delle trasformazioni molto importanti. Se guardiamo avanti forse l’unione tra le varie discipline artistiche potrebbe essere l’effetto, di tutto questo lavoro del secolo breve, che potrebbe esser considerato come preparatorio a ciò che sta nascendo adesso. Vorrei esser da te non tanto confortato in questa intuizione che, ovviamente, deve affrontare tutta una serie di difficoltà immense, per cominciare l’assenza dei luoghi. I teatri non sono ancora così attrezzati tecnologicamente per poter affrontare questa complessità mediale. L’audiovisivo da computer fine a se stesso non ha quel minimo di aura rimasta…
G.B.: e gli esecutori nello stesso luogo e nello stesso momento.
A.L.: Esatto. Secondo te è un tema che ha un suo fondamento?
G.B.: Dunque, io sulle cose che tu dici, e in generale, sono molto d’accordo. Cioè il modello della ricerca scientifica, quello delle scienze naturali, che già da diversi decenni si è imposto, quindi la scrittura di articoli quando si scopre qualcosa di interessante, è sempre firmata da una decina di persone. Per noi delle scienze umane sembra molto strano perché siamo legati a modelli di ricerca individuale. Adesso, però, si sta affermando anche nelle scienze umane, secondo me anche nella pratica artistica si affermerà sempre di più, l’autorialità multipla che, col passare del tempo, sarà veramente una necessità. È vero che i sistemi tecnologici permettono ad un individuo di gestire molte cose, ma la capacità umana, proprio del cervello, di gestirle nella maniera migliore ed efficace dal punto di vista comunicativo, è al di là delle possibilità del singolo essere umano. Quindi i lavori in team potrebbero essere uno degli orizzonti, ma è una cosa difficile. Tra un po’ entreremo negli anni venti del XXI secolo e siamo così disorientati, tutti quanti. Chissà se Kandinskij e Schönberg si sentivano così disorientati. Ad ogni modo le cesure storiche sono assolutamente comparabili, tra allora e ora.
Musica
A.L.: Sicuramente un pioniere di un teatro musicale che tiene conto diciamo delle pari dignità di tutti i media è stato il compositore americano, poco conosciuto da noi, Robert Ashley, classe 1930, morto nel 2014, di cui stiamo ascoltando Characters con la cantante Joan La Barbara, tratto da Celestial Excursion. (Rivolto a Gianmario Borio) Quella del gruppo è un’opzione utilizzata, soprattutto teatralmente. C’è quello che fa i video, quello che allestisce le scene, quello che fa i costumi, che fa il testo, la musica ecc….quindi tante competenze. Come dicevi giustamente tu, appunto, siamo in un momento in cui tutte queste cose possono essere metrisè da uno o due persone, o da una persona sola ma con dei supporti tecnici, perché magari non è capace di arrivare ad ottenere un certo effetto e quindi si appoggia ad un tecnico che segue la sua visione. Se apro una pagina on-line di un giornale qualsiasi, tendenzialmente se c’è un articolo che mi racconta una storia, e a questo articolo è allegato un audiovisivo , 90 volte su 100, mi guardo prima quel minuto di video e poi se mi interessa mi leggo l’articolo, ma non il contrario. Questo è il segnale di una sorta di mutazione antropologica della fruizione abbinata alla possibilità del “farmelo io” l’audiovisivo, anche semplicemente con un telefonino. Questa modalità, secondo me, può raccontarci quello che potrà essere, forse, la fisionomia di un compositore che elabora una sua visione audiovisiva, acustica e visuale contemporaneamente, proprio grazie a dei nuovi strumenti, che sono, in qualche modo paragonabili a un nuovo pianoforte che mette insieme le due cose, immagine e suono insieme.
G.B.: Fausto Romitelli per An Index Of Metals, che è un’opera che ha tantissimo successo, che continua anche dopo la sua scomparsa ad essere eseguita in un sacco di posti, si è valso della collaborazione molto importante di Paolo Pachini. È chiaro, però, che siamo di nuovo in una situazione simile a quella che tu descrivevi prima, cioè il compositore che ha in mano l’intera drammaturgia audiovisiva e la gestisce. Romitelli era molto interessato a questo, aveva partecipato anche ad un’azione collettiva in cui alcuni compositori erano chiamati a scrivere della musica su delle conduzioni visive e cinematografiche antiche. Lui aveva partecipato a questo, quindi era molto interessato agli audiodroni, gli interessava David Cronenberg, ecc.. Però lì si vede che di nuovo, vi è, in fondo, un avvicinamento a La mano felice come atteggiamento, cioè trattare l’aspetto visivo come se fosse musica. Io la vedo una possibilità collegata a tutta una serie di sforzi mentali e di fatiche veramente difficili da realizzare e non ho tanti esempi in mente a cui io abbia assistito che siano veramente e pienamente soddisfacenti da quel punto di vista. Vedrei una chance proprio in una sorta di collaborazione; è chiaro che noi veniamo fuori da secoli di estetica, chiamiamola del genio, per facilitare, oppure del soggetto forte, che è proprio quello che la modernità ci ha consegnato in musica, a partire da Monteverdi. Nel momento in cui uno inizia a controllare le stampe della sua musica, è chiaro che afferma un’autorialità forte. Il modello della collaborazione è molto difficile da attuare perché siamo ancora figli di quel modello individuale, ma nello stesso tempo l’impressione è che proprio tutta la tecnologia e l’assetto della società ci porti in una situazione orizzontale. Alle volte gli antropologi, almeno prima, parlavano di nuova tribalizzazione. A me non piacciono tanto questi termini però effettivamente si sta procedendo in questa direzione dove il collettivo è una forma sociale o produttiva quasi obbligatoria. Lo vedo nei miei campi, da solo riesci a fare pochissime cose dal punto di vista della ricerca, hai bisogno di un gruppo e il gruppo deve essere molto coeso e convinto degli obiettivi da raggiungere, perché se cominciano ad esserci dei dissidi forti, non la pluralità, quello è un altro discorso, la pluralità va bene, è creativa, ma dei dissidi forti all’interno del gruppo è difficile e allora non si raggiunge più niente. Del lavoro di gruppo che noi facciamo per esempio a Venezia, i risultati si vedono e sono eccellenti, e imparagonabili sia in termini di rapporto tempo e quantità di materiale elaborato, ma anche della reciproca alimentazione, in quanto la mia idea diventa anche parte del tuo processo mentale e viceversa.
Musica
A.L.: Di Georges Aperghis, Leone d’oro alla biennale di Venezia 2015, stiamo ascoltando l’inizio di Avis de Tempete.
G.B.: C‘è anche il fatto che tu dicevi che ormai le nuove generazioni, così come noi, sono sempre più abituate a quel tipo di contaminazione, quindi siamo andati un passo avanti. Facevo l’esempio prima della danza, però pensiamo all’interno del cinema, le ultime produzioni di David Lynch, il quale viene chiaramente incontro all’elaborazione elettronica del suono, delle voci, dei rumori.
A.L.: Credo che la sua drammaturgia parta proprio dal suono.
G.B.: Tra l’altro lui ha anche delle competenze musicali, come anche Kubrick le aveva. Tutti i new audiovisivi avevano delle competenze musicali, o suonavano degli strumenti. Tarkovskij è uno che, nell’ultima fase soprattutto, si faceva accompagnare e lavorava insieme a un compositore. Pensare quella che allora si chiamava colonna sonora, ma bisognerebbe chiamarla in un altro modo, con l’elaborazione elettronica del suono, pensarla come una totalità sonora da comporre, dove dentro ci sono voci, ci sono suoni di strumenti, ci sono suoni elettronici, suoni concreti elaborati, questo è notevole. Vuol dire che si sta già pensando ad un livello superiore.
A.L.: Quindi potremmo dire prima la musica, per chiudere.
G.B.: Questo lo dici tu, ovviamente. Dal mio punto di vista, ripeto, io lo vedo come un network quando, ritornando a Wagner, c’è questa cosa del Wort-Ton-Drama, Parola Suono e Azione. Per lui ovviamente il suono è primario, questo è chiaro, però dal mio punto di vista, storico della musica e delle arti, lo vedrei sempre più diventare un network, da girare in diverse direzioni. Wagner, tra l’altro, lo gestisce proprio come un network e anche nei suoi scritti parla dell’equilibrio della comunicazione, cioè gli elementi comunicativi devono sempre stare in un equilibrio. Cioè, tu spingi avanti il visivo, ritrai un po’ la parola, o ritrai un po’ il suono, e vai avanti nel tempo, spingi avanti il suono e il visivo diventa più statico. Lui già un po’ le aveva pensate tutte queste cose.
A.L.: Quindi, in realtà, avevano un rapporto dialogico le arti fra di loro.
G.B.: Si, un’azione reciproca l’una con l’altra, e questo è di un’attualità notevole, secondo me, perché moltiplica anche le modalità di congiunzione e si esce fuori dall’idea che la musica accompagni l’immagine. Nel cinema, come in tante teorie, Adorno stesso, ma anche Nicholas Cook, da un certo punto di vista, cadono in questo errore, che la musica fa o da contrappunto o da sostegno. No, la musica può entrare, invece, all’interno della drammaturgia e uno come Ejzenštein l’aveva capito.
A.L.: Quando ho avuto l’unica avventura con Greenaway, componendo le musiche per una sua istallazione, mi ricordo che iniziò con una litigata furiosa, perché lui sosteneva che la musica fosse assolutamente poco necessaria. La cosa necessaria era l’immagine, la costruzione dell’immagine, che sarebbe stata poi la sua opera.
G.B.: A proposito di Greeanaway, ad un certo punto lui fa un video, che si trova su internet, con Anne Terese de Keersmaeker che danza su musica di Bartók. Lì si vede chiaramente che lui incolla la sua estetica. Della povera Keersmaeker, che è una grandissima artista, rimane pochissimo e rimane poco anche di Bartók. La musica è come se venisse schiacciata secondo la concezione estetica di Greenaway, diversa da quella di Lynch.
A.L.: Sulle note di Music for Marcel Duchamp di John Cage, che ci ha accompagnato dall’inizio alla fine di questa trasmissione, vi saluto e vi ricordo che tutte le puntate di musica e metamorfosi potete trovarle, riascoltarle, e scaricarle direttamente dal sito di Radio Tre Suite. Prima di lasciare la chiusura ai nostri ormai celebri Hänsel e Gretel, ovvero Sofia e Jan, che ringrazio moltissimo, volevo leggervi un mini frammento da Musica una poesia di Reiner Marie Rilke.
Musica, metamorfosi tu di tutti i sensi in paesaggi che l’orecchio ascolta.
Hänsel e Gretel: Brake Beat, Progressive Brakes, Hard Techno, New Soul, Tek Step, Ambient Brakes, Funky Brakes, Drama Bass, Tek Step, Liquid Funk, Trance Commercial, Italo Dance, New World Dance, Heart Dance, Dream Progressive, Melodic Trance…
Alla prossima!
… se vuoi ascoltarla via radio questo è link: Musica in metamorfosi 12
Ringrazio Armando Ianniello per l’aiuto nella trascrizione
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