Costume
musica in metamorfosi con Helga Davis 10/12
Qualche mese fa, grazie all’intuizione di Paola Damiani e su commissione di Radio3 Suite, ho realizzato un ciclo di 12 puntate intitolato “Musica in metamorfosi“ . Un dialogo a più voci con compositori, interpreti, musicologi, ingegneri del suono ecc. su questo immenso proliferare di generi musicali… sintomo di una democrazia in ottima forma o effetto di una metamorfosi sotterranea di ciò che abbiamo chiamato, per diversi secoli presente compreso… musica?
Il programma è stato accolto con grande curiosità, ho ricevuto moltissime mail ed è stato candidato al Prix Europa. Mi è sembrato quindi potesse esser di un qualche interesse trascriverlo, seppur parzialmente, e metterlo a disposizione. In questo formato possono esser approfonditi elementi diversi, come le biografie degli autori o delle persone citate e in ogni caso, in fondo alla pagina troverete il link della puntata.
Insomma buona lettura (parziale) e/o… ascolto !
Puntata 10
Andrea Liberovici – Helga Davis
Andrea Liberovici: Questo sito che abbiamo trovato recentemente, dedicato ai generi musicali, contiene, realmente, una sorta di caveau ricco e pieno di documenti su tutte le oscillazioni, le mode, i trend, i brand e tutti le parole che terminano con end ma, apparentemente, senza fine. La vera difficoltà nostra è quella di continuare a censire generi musicali, con oggi siamo arrivati a quota 3410, ripeto 3410 differenti generi musicali, senza inciampare in doppioni. Per fortuna nel team ci sono due giovanissimi e brillantissimi esperti, ovvero i nostri Hänsel e Gretel, che, imperterriti, continuano la conta. Eccoli che arrivano.
Hänsel e Gretel: Seth pop, Post Punk, Death Rock, Cold Wave Industrial, New Romantic, Dark Wave, Musica New Age, Gothic Metal, Ambient…
A.L.: Buonasera mi chiamo Andrea Liberovici e faccio il compositore e il regista di teatro. Perché? Perché sono convinto che ogni suono abbia al suo interno una narrazione e che la disciplina teatrale sia un buon metodo per rivelarla.
Musica
A.L.: Come sappiamo, al centro della scena teatrale non può che esserci un interprete altrimenti il teatro non esiste. Quindi sono veramente molto felice di ospitare stasera, all’interno di questa trasmissione, la cantante e attrice newyorkese Helga Davis, musa di grandissimi artisti. Recentemente è stata protagonista dell’ultima versione di Einstein on the beach di Bob Wilson e Philip Glass, musica che ci accompagnerà durante tutta la puntata e che stiamo per ascoltare fredda ed algida dopo l’incendiario incipit di …en bourdeur d’espaces… di Gualtiero Dazzi.
Musica
A.L.: Carmelo Bene aveva fatto una sintesi, devo dire una delle sue prodigiose sintesi, sul microfono, e l’aveva paragonato ad una sorta di microscopio, in grado di far emergere tutto, non soltanto il canto, il parlato, il recitato, ma l’essenza acustica di chi lo utilizza. La domanda, quindi, è questa: in che modo il microfono incide o ha inciso, o forse non ha inciso per nulla sul tuo lavoro di cantante e attrice?
Helga Davis: La verità è che non ho lavorato molto senza microfono, quindi sono letteralmente cresciuta con questo strumento, come parte del mio lavoro e del mio comprendere cosa faccio. Ho subito capito che il microfono, tuttavia, non sostituisce il vero lavoro. La tecnica, la padronanza dello strumento, non rimpiazza il vero lavoro di artigianato. Questa è la lezione più importante che ho imparato fin dall’inizio. Se non ti sei scaldata la voce, il microfono non ti aiuta, se non sei in buona salute il microfono non ti aiuta. Se non hai studiato la tua musica o il testo, il microfono non ti aiuta, perché quello che fa il microfono è molto simile a quello che succede con i violinisti. Il violino è uno strumento che viene definito come un sismografo del cuore, lo strumento tocca il corpo e nell’istante in cui l’archetto tocca le corde, tutti capiscono immediatamente cosa stai provando, cosa stai pensando e cosa stai per fare. Il microfono è esattamente lo stesso tipo di strumento, registra il tuo respiro, la tua ansia, la tua forza, la tua vulnerabilità ed è immediato. Non è qualcosa che puoi controllare o lavorarci su e pensare e sperando in una reazione del microfono. È un’immediata risposta alla tua vita interiore psicologica ed emotiva. Il microfono è una meravigliosa aggiunta a quella che un performer può fare. Usando il microfono fin dall’inizio, ho capito che posso essere molto più intima, onesta, molto più connessa alla mia essenza e al mio pubblico. Io amo lavorare con il microfono, le vibrazioni non si perdono nella stanza, non sono solo mandate fuori nell’etere, ma sono catturate e inviate al pubblico che li rimanda a te. È per questo che amo lavorare con il microfono. È assolutamente uno specchio dell’anima ed uno specchio di quello che succede nello spazio. Capita di sentire nelle registrazioni persone che tossiscono nel bel mezzo del momento più delicato della musica. A volte sembra quasi che le persone aspettino l’inizio della performance per scartare una caramella o tirare fuori un fazzoletto. Questi suoni che verranno registrati diventeranno parte della partitura. Quindi il microfono è assolutamente uno specchio dell’anima.
Musica
A.L.: Credo che uno dei grandi apporti, diciamo così, della musica americana, sia aver introdotto lo swing, poi il groove, ecc… un po’ come nuovo parametro musicale. Anche qui grazie al teatro, o meglio, alla danza. Che cosa ne pensi?
H.D.: C’è un modo in cui l’orchestra può swingare, non importa se suona Tchaikovsky, Joni Mitchell o Arvo Pärt. C’è moltissimo groove per me in Arvo Pärt, anche se viene suonato un accordo di quarta per cinque minuti. C’è sempre un modo con cui i musicisti possono trasmettere vita.
Musica
H.D.: Una delle cose che mi eccita ascoltando una grande orchestra è sentire che hanno groove e swing. Ciò significa che hanno un altro tipo di relazione non solo con l’individuo ma con la collettività. Decidono di permettere a sé stessi non solo di suonare quello che c’è sulla carta ma di portarsi dentro quello che c’è sulla carta. È quello che succede anche al direttore d’orchestra. Ho visto recentemente Sir Simon Rattle, Alan Gilbert e un giovane direttore messicano che lavora a New York Alejandro Hernandez Valdes. La musica è letteralmente nel loro corpo. Quando alzano la bacchetta, quando danno un segnale, se il musicista ha il coraggio di suonare quello che lei o lui vedono in quel corpo, siamo proiettati in un altro tempo e spazio. Questa è l’idea di groove e swing. Il direttore tiene tutto questo potenziale nel proprio corpo, e lo vedi soprattutto in questi tre direttori che conosco. Quando ti danno il segnale di entrare, prendi l’energia da quella mano, da quella bacchetta. Non dipende da quanto hai studiato, ma dipende totalmente da chi sei come essere umano che fa un accordo con la comunità per rendere vivo un pezzo di carta. È la cosa più importante, perché è la cosa più umana. È qualcosa che sta oltre le parole, che connette l’orchestra e il pezzo di musica ad un pubblico. Senza questa motivazione spendiamo tempo, soldi, facciamo uno sforzo per andare alla sala da concerto per sentire qualcosa, ma non cambia nulla nella nostra vita. La cosa più importante che la musica può fare non è solo cambiare il tuo umore rispetto a quando entri nella sala, ma connetterti a persone che non conosci, che sono sedute di fianco a te
A.L.: … e “persone“ che non conosci dentro di te…
H.D.: ….e persone che sono in te stesso e che non conosci, sicuramente. Abbiamo sempre più bisogno di opportunità come queste nel mondo.
Musica
… continua via radio a questo link: Musica in Metamorfosi 10/12
alla prossima puntata!
Ringrazio Armando Ianniello per l’aiuto nella trascrizione
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