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musica in metamorfosi con gualtiero dazzi 02/12
MUSICA IN METAMORFOSI 02/12
Qualche mese fa, grazie all’intuizione di Paola Damiani e su commissione di Radio3 Suite, ho realizzato un ciclo di 12 puntate intitolato “Musica in metamorfosi“ . Un dialogo a più voci con compositori, interpreti, musicologi, ingegneri del suono ecc. su questo immenso proliferare di generi musicali… sintomo di una democrazia in ottima forma o effetto di una metamorfosi sotterranea di ciò che abbiamo chiamato, per diversi secoli presente compreso… musica?
Il programma è stato accolto con grande curiosità, ho ricevuto moltissime mail ed è stato candidato al Prix Europa. Mi è sembrato quindi potesse esser di un qualche interesse trascriverlo, seppur parzialmente, e metterlo a disposizione. In questo formato possono esser approfonditi elementi diversi, come le biografie degli autori o delle persone citate e in ogni caso, in fondo alla pagina troverete il link della puntata.
Insomma buona lettura (parziale) e/o… ascolto !
Andrea Liberovici – Gualtiero Dazzi
Puntata 02
Andrea Liberovici: 108 la differenza fra ieri e oggi. 108, impressionante, cioè veramente non credevo così tanto, nel senso che ieri, se avete seguito la puntata, eravamo a 503 generi musicali e oggi, contando, continuando a contare, siamo arrivati già a 611 differenti generi musicali. Così anche stasera abbiamo chiesto ai nostri fantastici Hänsel e Gretel, ovvero Sofia e Jan, di leggere un po’ di questi generi nuovi che stanno emergendo un po’ come briciole nella foresta del web. Mi sembra di sentirli arrivare…
Hänsel e Gretel: Musica Leggera, Gothic Rock, Dance Harder Style, Oratorio, Musiche di scena, Techno Hardcore, Psycho, Two Step, Dixieland…
A.L.: Buonasera, mi chiamo Andrea Liberovici e faccio il compositore e il regista di teatro. La migliore definizione del mio lavoro, come ho già detto ieri, l’ha data il mio ex amministratore di condominio “Liberovici, lei è un registra”, e quindi, in qualità di registra, ho registrato vari dialoghi intorno a una domanda. La domanda è: questo enorme arcipelago di generi e stili musicali che si stanno moltiplicando sono il segno di una buona salute della democrazia o, forse, il sintomo di una metamorfosi sotterrane che, prima o poi, si manifesterà all’improvviso?
Musica
A.L.: Questo tema dei generi musicali, della loro proliferazione, evidentemente mi era già caro, nel 2001, quando ho scritto un brano per il festival di Marsiglia “Musique d’aujourd’hui” che, non a caso, si intitolava Frankenstein Cabaret. Con questo brano horror mi interessava approfondire il perché, da parte di compositori a me contemporanei, si stesse, a mio avviso, perdendo una sorta di tensione creativa rivolta verso la complessità di noi bipedi. Complessità che contiene tutto sia l’alto che il basso, privilegiando, al contrario, della musica rivolta come a delle porzioni di corpo – Elvis the Pelvis docet. Quindi una musica per la testa, una musica per la pancia, e poi magari nel futuro prossimo una per il malleolo sinistro, la cervicale e via dicendo, immaginando, appunto, l’essere umano, non più come un essere umano, ma come un assemblaggio di pezzi: Frankenstein. Durante questa riflessione mi è venuto incontro, non so più da dove, e per fortuna, un pensiero di Gillo Dorfles dedicato alle arti visive a noi contemporanee, che mi sembra sia assolutamente applicabile anche alle arti acustiche. Dorfles ci dice infatti che ci troviamo di fronte a isole linguistiche chiuse dentro uno specifico idioma utilizzato, sovente, non come sapere condiviso ma come forma di potere. Non è tanto la forma di potere che mi terrorizza, ma proprio questa assenza di sapere condiviso. È lì, che secondo me, si nasconde il nodo, per rimanere in clima horror, potenzialmente scorsoio. Ma, come si dice, passo molto volentieri queste tematiche ad un compositore italiano, ma ormai naturalizzato francese da parecchi anni, Gualtiero Dazzi, di cui stiamo ascoltando …en bordure d’espaces… e che abbiamo incontrato a Strasburgo qualche mese fa. Gualtiero…
Gualtiero Dazzi: Per me la questione centrale, parlando di musica, è la non pertinenza della questione dello stile. Perché abbiamo visto, e lo sappiamo, che negli ultimi ottant’anni, quando si è voluto parlare di stile, si sono creati due grossi equivoci. Uno in cui i nostri padri delle avanguardie hanno preparato il territorio per un solipsismo che continua anche adesso e due la nozione di repertorio. Parlo essenzialmente della musica “classica“, del concerto, o del rito della messa o del concerto classico, dove si fa una piccola overture, il concerto per pianoforte o per violino, la sinfonia. Questo rituale qui, questa nozione di repertorio è, propriamente parlando, una tara o una caratteristica del ventesimo secolo. Questa nozione di stile, che per me è riduttiva, e poi c’è anche questa cosa della musica barocca, tutte queste cose qui che, probabilmente per ragioni commerciali, della riproducibilità della registrazione, sono diventati dei compartimenti dei negozi di dischi. Che si riesca a sorpassare questa nozione di stile, che nella musica commerciale è terribile, perché quando io parlo con i miei figli uno mi dice – ma io faccio il folk metal – e un altro dice – io faccio il death metal – poi mi fanno sentire e io non capisco la differenza, perché non sono preparato a queste piccole sottigliezze. Credo che se si riesca a sorpassare veramente questa nozione di stile diciamo che le xenofobie che questo comporta, sarebbero anche loro, finalmente, dimenticate. La nozione di stile, però, se la vediamo da un punto di vista puramente filosofico, estetico, teorico, è difficile da sorpassare senza distruggere, in qualche modo, una certa eredità generale, che abbiamo nella terra intera qualunque sia la cultura a cui ci interessiamo. Nella musica indiana c’è una codificazione estrema a tantissimi livelli.
A.L.: Qui stai tornando a Deleuze…
G.D.: Voilà… si però capisci…
A.L.: In realtà del celebre filosofo francese Gilles Deleuze ne abbiamo parlato prima di fare questa registrazione. Molto ispirati da tante cose ma sicuramente da una frase che è contenuta nell’“Abecedario di Deleuze“ pubblicato da DeriveApprodi. La frase che ci ha ispirato e che ci sembra corretto riportare, altrimenti non si capisce il discorso, dice questo: “Il pittore non dipinge sulla tela vergine, né lo scrittore scrive su una pagina bianca, ma la pagina o la tela sono già talmente ricoperte da luoghi comuni e preesistenti e prestabiliti che bisogna prima di tutto cancellare, pulire, ridurre, addirittura dilaniare, per far passare una corrente d’aria generata dal caos che ci porta alla visione”.
Musica
A.L.: Di Gualtiero Dazzi stiamo ascoltando un madrigale amoroso “Noche Oscura” per quartetto vocale femminile e euphone, cristal bass e nove campane cantanti tibetane, su testo cinquecentesco di Jean Delacroix. La musica è un effetto di un periodo, di una società, di un mondo, di un’organizzazione anche del farla, di insegnarla…. dove siamo in questo momento storco secondo te?
G.D.: Credo che stiamo passando nel momento successivo a quello che è stata l’estrema individualizzazione. Le avanguardie hanno creato questa idea che bisognava riferirsi ad un certo modo di fare la musica, allora c’erano i seriali, gli spettrali, adesso ci sono quelli che saturano il suono, vuol dire che questi ragazzi di quarant’anni sono così ottusi, così come potevano essere quegli altri a 25 anni. Ma perché ne fanno una categoria stilistica. Metamorfosi si, coscienza, quella che io ho chiamato in un’intervista del 1996, di una mutazione antropologica fondamentale che ha fatto si che, fin dalla metà degli anni settanta, ho voluto partire, forse perché in Italia sentivo questa mutazione antropologica e avevo una specie di ideale che altrove le cose sarebbero state più solide, diciamo. Quindi già adolescente, nel 1976/77, sono andato a Londra prima, poi a Parigi, poi sono ritornato per continuare a studiare in conservatorio, e nel 1982 definitivamente ho lasciato Milano perché l’82 è l’anno della prima fine degli anni di piombo diciamo, e nello stesso tempo è l’anno in cui si è liberalizzato il fatto che le televisioni private potessero emettere sul territorio nazionale. Quindi la mutazione antropologica era in atto.
Musica
G.D.: …a quel punto lì c’è stato un lungo momento di nostalgia di quello che era negli anni settanta Musica nel nostro tempo, Abbado alla Scala, le opere di Nono , Al gran sole carico d’amore , comunque anche il fatto che Donnerstag aus Licht di Karlheinz Stockhausen ha debuttato a Milano … diciamo che il fatto che la musica o la creazione artistica possa scrivere il mondo, tradurre il mondo in creazione sembrava già essere sul declino, sembrava che, lo potesse fare in posti sempre più periferici e sempre più d’élite e, nello stesso tempo, la mutazione antropologica mi ha fatto paura e ho preferito andare a Parigi, dopo l’82, per essere al centro e non alla periferia dell’impero, quanto meno per ciò riguarda la creazione musicale, e quindi passare un certo tempo a studiare anche cose più serie, diciamo, anche se poi sono andato all’ Accademia Chigiana con Franco Donatoni, come si doveva fare sempre negli anni ottanta, non sono mai riuscito ad essere un’epigono di Franco perché avevo troppo rispetto per lui, e il rapporto era molto interessante perché molti altri bevevano le sue parole come fosse la verità, quando lui in realtà era una persona estremamente stimolata dalla confronto con altre visioni. Con me aveva sempre paura perché a me in quell’epoca piaceva molto Fernando Pessoa, e lui aveva fatto un pezzo con Fernando Pessoa che si chiama Ultima Sera, con una poesia di Fernando Pessoa, ma gli faceva paura, appunto, questa molteplicità di personalità che è Pessoa, che non è nessuno ma è tutti nello stesso tempo.
Musica
G.D.: Stiamo parlando ancora del XX secolo, poi per me è stato evidente che, per riuscire ad organizzare tutta questa molteplicità bisognava trovare un cammino che non sia totalizzante ma che, nello stesso tempo, che gli dia un senso nei due sensi del termine, cioè un significato e una direzione. Questo per me è la dimensione teatrale, nel senso drammaturgico brechtiano se vogliamo, della composizione musicale in generale, che siano cose orchestrali o che siano cose teatrali da mettere in scena, o che siano opere vocali che in generale sono la maggior parte del repertorio che faccio perché c’è sempre testo, c’è sempre voce, non tutte ma molte. Per me è indissociabile la composizione musicale dalla componente drammaturgica, e anche nei pezzi puramente strumentali c’è sempre un testo da qualche parte.
Musica
G.D.: Un po’ come, parlando di Nono, ci sono in Fragmente – Stille, An Diotima, questi frammenti di Friedrich Hölderlin, che bisogna leggere suonando ma che il pubblico non conosce, solamente i musicisti lo conoscono, o forse solamente il compositore, se i musicisti non leggono il tedesco o non si interessano a questo. Ma che per il compositore è assolutamente fondamentale, quindi esiste un livello che è quello puramente tecnico e, un altro livello che è quello di una messa in teatro, anche se il suono da solo è già teatro.
… continua via radio a questo link: Musica in Metamorfosi 02/12
alla prossima puntata!
Ringrazio Armando Ianniello per l’aiuto nella trascrizione
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