Letteratura
Mottetti da un lago veneto
I
Lo sai: devo riuscire a non pensarti.
Come il remo che batte nel lago, insistito
e crudele è il tuo nome,
la parola cortese mia eco
nell’aria di vetro
di Assenza.
Paese di limoni e d’acqua ferma,
vele improvvise nel gelo di un mattino:
eccoli, i segni
si confondono tra i passi addormentati
dei turisti. E cerco un varco, freccia
senza bersaglio come sono,
tenuta prigioniera dal tuo arco.
II
Molti anni, e uno più duro sopra il lago
su cui s’illuminano aurore e attese.
Arrivasti improvviso, a diradare
la mia nebbia di sempre.
Imprimerli potessi, ridestarli
in uno schermo d’immagini
schiarite… E con te cancellare il vissuto
per niente, azzerarlo.
III
Perché tardi? Da sempre sono qui,
o così sembra alle mie dita inquiete
che tormentano le tasche
del vecchio impermeabile. È giorno fatto.
L’oscura primavera smuove appena
l’acqua del lago attento.
Nulla finisce, o tutto, se immobile
decido di non esserci.
IV
Al primo chiaro, quando
indiscreto un raschio
di motore penetra il sogno
(ma distorto e fatto labile),
a liquefarlo
nel pulviscolo d’oro
delle imposte malchiuse;
al primo buio, quando
ogni opera, ogni grido
smuore timoroso
e il piovasco si dilegua
sul selciato impassibile:
al chiaro e al buio, mie sole realtà
se tu pietoso ricompari e le fai vere.
V
Non recidere, forbice, quel volto,
solo nel pensiero che si ingombra
di altri occhi, e mani, e voci
che non sono le sue. Inessenziali.
È l’ora… Cerco il segno
smarrito, il pegno solo
che di lui renda l’ombra, almeno,
a ogni angolo più intensa.
Omaggio a Eugenio Montale, rileggendo i “Mottetti”
Da Omaggi, Einaudi, Torino 2017
Mottetti da un lago veneto
I
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