Letteratura
“Moro” di Massimo Mastrogregori è in libreria. Eccone un estratto
Giovedì 17 novembre è arrivata nelle librerie la biografia di Moro scritta da Massimo Mastrogregori (Moro, Salerno editrice, 444 p.).
L’opera. Nel centenario della nascita, una nuova biografia di Aldo Moro, raccontato nella sua fisionomia storica di abile uomo di partito, ideologo, persuasore e incantatore. Non è un’agiografia, né l’esaltazione di una vittima: Mastrogregori presenta nel libro alcuni aspetti, del tutto inediti, della sua gestione del potere e della sua corrente nel partito della Democrazia cristiana. Particolare attenzione è dedicata agli anni della formazione, con un quadro ricco di notizie finora sconosciute. Dopo la laurea, Moro raggiunse un invidiabile status personale, come professore universitario e uomo politico. Nel ventennio successivo, consolidò la sua posizione, fino a renderla talmente forte, da permettergli di partecipare da protagonista al grande gioco politico, dal quale alla fine sarà ferocemente escluso.
Il capitolo V si apre con un incontro tra il presidente del Senato, Fanfani, e il direttore de “la Repubblica”, Scalfari, la sera dei funerali di Moro in Laterano, il 13 maggio 1978: funerali, come si ricorderà, celebrati da Paolo VI in assenza del corpo di Moro.
Riceviamo e ne pubblichiamo, ringraziando l’autore, un estratto.
L’attività politica di Moro, e specie di governo, fu contrastata in molti modi, da quelli più ordinari fino all’assassinio. Nella sua storia, gli avversari hanno un rilievo dominante. Alcuni, come Fanfani, furono alleati, poi avversari, oppure avversari e alleati nello stesso tempo. Altri, come il giornalista Scalfari, furono avversari e basta.
I due si incontrarono a cena, dopo una lunghissima interruzione dei rapporti, la sera del sabato 13 maggio 1978: nel pomeriggio si erano tenuti i funerali di Moro, senza il suo corpo, in San Giovanni in Laterano. Scrive Fanfani nel diario:
Ceno – dopo sedici anni – con Scalfari e lo invito a non pretendere di farmi interviste né chiare né supposte. Discorriamo a lungo. Vorrebbe una intesa a quattro tra Zaccagnini, me, Berlinguer e Lama; dice che il Pci vede come il fumo negli occhi un avvicinamento Dc-Psi. Ribatto che il mio dovere è di avvertire che la situazione andrà peggiorando, che una impotente confusa maggioranza rallenta l’esecutivo, che non spetta a me offrirmi. Mi sembra vada via scosso nei suoi entusiasmi. [i]
Molte cose sono interessanti in questa situazione. Scalfari non incontra Fanfani come cronista, è subito formalmente diffidato dal fare interviste. In un ruolo, dunque, che non è più quello del giornalista, fa, con entusiasmo, una specie di ardita proposta politica al presidente del Senato: vorrebbe che si accordassero le ali di destra e sinistra delle forze che fanno capo ai due maggiori partiti (rispettivamente Fanfani e Lama, Zaccagnini e Berlinguer). Si tratterebbe di escludere dal gioco il Psi. A tale accordo secondo lui è interessato il Pci, perché teme che si riavvicinino i due vecchi alleati del centro-sinistra, Dc e Psi, dopo un periodo abbastanza lungo di discordia.
Fanfani non sembra per niente stupito della singolare avance, che gli viene dal direttore di un giornale. Ma registra a futura memoria nel diario – qualunque risposta gli abbia effettivamente dato quella sera – una specie di rifiuto: ribatte che egli non ha approvato, nel marzo precedente, la nuova maggioranza col Pci (la impotente confusa maggioranza); che il suo ruolo è avvertire che se non cambieranno, le cose peggioreranno; quanto a equilibri nuovi, osserva solo che non spetta a lui offrirsi. Forse la registrazione del suo no dissimula la tentazione di una risposta diversa, di un’effettiva disponibilità.
Sarebbe ingiusto dire che i due fanno questo discorso perché Moro non c’è più. Ma forse non sbaglierebbe chi vedesse in quest’incontro, a ridosso dell’assassinio del leader Dc, nella stessa sfrenatezza dei velleitari propositi di Scalfari, il segno di un’improvviso senso di libertà, quella di spaziare in un campo non più controllato da uno stratega ingombrante e abilissimo.
Abbiamo lasciato Moro nel 1962, alla fine del capitolo precedente, segretario della Dc nel pieno controllo di un quadro politico che si avvia al governo organico con i socialisti, attentamente delimitato nei confronti dei comunisti. I quindici anni successivi sono per Moro quelli del governo come presidente del consiglio di centro-sinistra, fino al 1968; della crisi del centro-sinistra e del suo passaggio all’opposizione nel partito, tra le elezioni del 1968 e il 1973; della guida della politica estera italiana, tra il 1969 e il 1974; del ritorno nella maggioranza della Dc, grazie a un accordo con Fanfani, nel 1973; del ritorno alla presidenza del consiglio e del naufragio della formula del centro-sinistra, tra il 1974 e il 1976; della navigazione su una zattera malferma nel mare in tempesta, dopo le elezioni del 1976. […]
[i] Diario Fanfani, 13 maggio 1978.
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