Letteratura
Moravia e Morante: l’amore a dispetto e la letteratura
Erano due grandi scrittori gelosi della loro autonomia ed indipendenza intellettuale; li univa un amore sconfinato per la letteratura: solo la scrittura, che è la costruzione del pensiero, riesce a dare un ordine al mondo.
Ai libri che scrivevano, si dedicavano animo e corpo, con una passione e dedizione estrema ed instancabile: le giornate con la letteratura erano totalizzanti.
Forse questa era l’effettiva ragione dell’intesa tra Alberto Moravia ed Elsa Morante, perché per loro stessa ammissione è stato un amore a dispetto, un “amore senza innamoramento”.
Fu Elsa che scelse Alberto senza neanche corteggiarlo, ma facendo cadere nel concavo della sua mano le chiavi di casa sua, a Roma nella birreria Dreher accanto a Palazzo Colonna nel 1936 in pieno fascismo.
Dirà Moravia che fu subito l’intimità a prendere i loro corpi: fu un colpo di fulmine, un amore nato all’istante, impetuoso e travolgente.
Moravia di lei non sapeva nulla, fu dunque un’improvvisa illuminazione.
Anche Capogrossi, l’amico pittore che gliela presentò, vaticinò: “è bizzarra e geniale, ha scritto qualche racconto, ti stupirà”.
Alberto era attratto da quella sua espressione un po’ smarrita e sognante, dalla sua bellezza così poco tradizionale: «Aveva i capelli bianchi fin da adolescente – racconterà ad Alain Elkann ricordando quella sera – un gran fungo su una faccia rotonda. Era molto miope, aveva occhi belli con lo sguardo trasognato dei miopi. Aveva il naso piccolo e la bocca grande, capricciosa. Una faccia un po’ infantile». Ma in quel primo incontro, ad affascinarlo più della bellezza è la sua impervia dolcezza, l’aria appassionata eppure lontana dal mondo.
Si avviarono a vivere un’intesa che durò oltre 25 anni, caratterizzata da un matrimonio e da una separazione.
Ma Elsa ebbe altre relazioni: Alberto la trascurava, perchè voleva conservare la sua libertà, fatta di viaggi e di frequentazioni salottiere con i migliori intellettuali del tempo.
Elsa si innamorò, si infatuò perdutamente di Luchino Visconti e successivamente di Bill Morrow, un malinconico e disperato pittore americano.
Mentre sono tante le lettere che le ha scritto Moravia, non si hanno quelle di Elsa; diceva che Alberto era uno sbadato, distratto e le avrebbe perdute o avrebbe consentito ad altri di leggerle, perché sarebbero state incustodite.
Solo nel suo “Diario”, che tenne dal 19 gennaio al 30 luglio del 1938, Elsa dedica molti passaggi ad Alberto identificato con la lettera A.
Si dispera, ripete che tutto è finito, ma la delusione nel sentirsi disprezzata scompare appena Alberto torna da lei e allora scrive piena di speranza: «Pentito e tenero, sorridendo mi aveva accarezzato una guancia… Quella breve carezza-sorriso diventa una grande tenerezza… Non ricordo più le sue parole ma sono simili a queste: non è vero quello che ti ho detto. Non pensarci. E poi io amo tutto in te, qualunque cosa tu avessi e tu fossi”.
Mentre Moravia era razionale, metodico ed innamorato prima di se stesso, cinico e freddo nel rapporto, Elsa era passionale; l’amore era per lei un sentimento assoluto e travolgente, che provoca grandi sofferenze: «A difficili amori io nacqui» scrive nella sua unica raccolta di poesie.
Elsa è un groviglio di sentimenti e di pensieri: fiera e battagliera, ma anche timida, femminile, preoccupata di non essere abbastanza amata. «Era una cannibale – scrive il critico letterario Cesare Garboli – con lei bisognava aggredire e difendersi, addentare e lasciarsi mordere».
Nei sentimenti Elsa non conosce la misura: ama, oppure odia con la stessa intensità.
Alberto, spaventato dalla forza dei sentimenti che lei gli dimostra, fa fatica ad abbandonarsi e all’entusiasmo di Elsa oppone dubbi e reticenze.
Lei è tenera, disarmata, gli chiede amore e attenzioni ma lui si ritrae, prova a temporeggiare, parte per lunghi viaggi che assomigliano a una fuga, poi ritorna sempre.
Qualcosa gli impedisce di allontanarsi da quella giovane donna così imprevedibile e appassionata: «Ero affascinato da qualcosa di straziante e di passionale che c’era nel suo carattere. Pareva che ogni giorno della sua vita fosse l’ultimo prima della morte».
Elsa, che avverte il mancato coinvolgimento di Alberto, è piena di dubbi, sfibrata dalle attese e dalle delusioni: «Oramai ho rinunciato a essere non dico felice ma calma – scrive all’amica Luisa Fantini – Quello che tu sai non accenna a cambiare e a mio parere non mi vuole bene affatto».
Se Elsa fin dalla prima sera ha intuito l’importanza che Alberto può avere nella sua vita e sinceramente lo ama, lui conserva la misura, mette un limite all’impeto della passione.
È sempre la Morante che lo cerca, mentre Alberto si sottrae e rivendica la propria libertà. Elsa di converso vuole tutto: attenzione, fedeltà, rispetto, stima e amore incondizionato. Nessuno può sostenere la tensione continua che pretende da chi le sta vicino. Per reggerla, sono necessari momenti di pausa, che lei non è disposta a offrire.
Moravia non si lasciava coinvolgere dalla tempesta di affetto di Elsa e frenava i suoi impeti e nelle lettere cercava di capire la misteriosa motivazione di un amore che nutriva per lei, ma senza un effettivo innamoramento. “Vorrei veramente poterti dire qualcosa che ti consolasse, ma mi rendo conto che è impossibile, anche perché le ragioni della tua infelicità sono oscure ed oscuramente espresse” (Solda, 7 agosto 1950).
A Roma, dove vivevano a via Dell’Oca, non stavano bene: Moravia sosteneva che la città in pieno fascismo fosse volgare, caotica, piccolo-borghese ed ambiente ostile per gli intellettuali ed uomini di pensiero.
Fu Capri l’isola che diede felicità alla coppia. «La meravigliosa natura di quell’isola – racconta lui – mi ha fornito negli anni della guerra un contrappeso di eternità se vuoi disumana che equilibrava gli orrori sociali della guerra e del fascismo». Elsa ne è altrettanto presa: in quel mare le sembra si nasconda tutta la bellezza del mondo. «Ogni volta che la ritrovo – scrive – scopro nuovi incantesimi che sono sorprese per me».
La bellezza dell’isola e le giornate chiare, trasparenti, regalano a entrambi un’insolita tranquillità. A volte si divertono ad assumere atteggiamenti stravaganti: Elsa gira con un gatto siamese al guinzaglio, Alberto cammina con un gufo sulla spalla.
La Capria, scrittore partenopeo ed amico della coppia, dirà di Elsa: “Aveva un viso tondo con due grandi occhi dall’iride screziata, pieni di luce e ombre, denti piccoli e distanti che quando rideva si vedevano tutti, e ricordava in modo impressionante la faccia di un gatto… Elsa amava tutto ciò che è immediato e spontaneo e si sentiva “fatta per la felicità”. Credeva che la felicità esistesse e che bisognava essere tanto intrepidi da andare a cercarla. Ma chi ha in sé una certezza così assoluta spesso rimane deluso. Per lei è avvenuto proprio questo: si è sentita tradita dal suo sogno».
“Non esiste scrittore italiano di questo secolo – scrive Cesare Garboli di Elsa – che sia stato posseduto, tiranneggiato, lavorato con altrettanta fatalità dalla propria fantasia come da una forza progressiva o da un demone sconosciuto”.
Insoddisfatta del suo rapporto con Alberto, per lei la scrittura diventa una passione assoluta. E quando scrive non c’è spazio per nulla di diverso: non ci sono giorni di vacanza, né tempo da dedicare a nient’altro che non siano i suoi personaggi. Lei stessa a volte si prende in giro per una tale ossessione: «Devo andare a casa – dice ridendo – e lasciare gli amici per scrivere di un tipo che se incontrassi nemmeno saluterei, non mi sarebbe neanche simpatico. Eppure devo andare a scrivere di lui». Presa da questa ansia creativa, Elsa vive con fastidio qualsiasi impegno della vita matrimoniale e scrive ad Alberto: «Vorrei pensare soltanto al mio libro, che è la cosa essenziale per me e invece sono costretta eternamente ad altro».
Dirà Alberto: “Elsa odiava la realtà, la sfuggiva, come il gatto teme l’acqua, perché la identifica con la concretezza della vita, con la routine giornaliera. Lei amava il sogno, desiderava vivere in un’atmosfera poetica, perché lei stessa era poetica”.
A differenza sua Alberto era un realista e cercava di capire ed esprimere il quotidiano, guardava il mondo con spietatezza chirurgica.
Elsa ha un’attitudine visionaria, nella sua narrativa si sentono i rintocchi di fiaba, un senso retrostante che cela la realtà.
Questa storia d’amore è stata caratterizzata anche da momenti tragici, nei quali tuttavia Elsa ed Alberto cementarono un affetto ritrovato.
Alberto era ricercato dai fascisti per alcuni sui articoli pubblicati sul “Popolo di Roma” e decisero perciò di abbandonare la capitale per raggiungere Capri. Siamo all’indomani dell’otto settembre del 1943. Ma il viaggio è breve: dopo due ore, a metà strada tra Roma e Napoli, il treno si ferma in aperta campagna, perché le rotaie sono state bombardate e non si può proseguire.
Furono ospitati in una specie di stalla e restarono lì quasi un anno. Il loro rifugio è una capanna con una parete di roccia viva, il pavimento di terra battuta e il piccolo tetto di lamiera, così basso che in piedi si tocca con la testa il soffitto. «La stanza era talmente piccola – racconta Alberto – e stavamo talmente l’uno addosso all’altra mentre dormivamo che non soffrivamo il freddo». Senza nemmeno la carta per scrivere, per una volta nessuno dei due pensa al proprio lavoro, ma solo a sopravvivere: «Abbiamo passato mesi interi senza far nulla – ricorda Alberto – a guardare la pioggia che scrosciava di fuori e formava una nebbia liquida che impediva la vista… Con tutte le paure che avevamo quello fu uno dei momenti più felici della mia vita. Ero sposato da poco: avevo in tasca ottantamila lire, con quelle abbiamo vissuto quasi per un anno».
Dopo 10 anni di matrimonio contrassegnati da delusioni ed amarezze per Elsa che si sente trascurata da Alberto, diventa folgorante l’incontro con Luchino Visconti, il bellissimo regista che amava il lusso smodato.
“Era giovane e bellissimo, ricorda Alberto. Faceva pensare a un personaggio della grande pittura del Rinascimento». Luchino ha una sorta di aura regale, uno straordinario ascendente su chi lo circonda e persino il suo stile di vita grandioso, l’amore per il lusso e la mondanità sono un’inconfessabile attrattiva per Elsa.
L’infatuazione per Visconti era la risposta di Elsa ad Alberto che ha confessato di non averla mai amata veramente.
Ad Elkann, Alberto, dopo 40 anni, dichiarò: “Non sono mai stato innamorato della Morante. L’ho amata, questo sì, ma non sono mai riuscito a perdere la testa. Lei l’ha sempre saputo e questo è stato forse anche il motivo principale delle difficoltà del nostro rapporto. Così, in un’atmosfera di passionalità aggressiva in lei e di affetto difensivo in me siamo vissuti venticinque anni».
In un bel libro scritto su questo amore(Morante-Moravia.Storia di un amore) Anna Folli ha argomentato: “La storia dell’amore tra Elsa e Alberto è la storia di una mancata corrispondenza, di un continuo sfasamento nei tempi che li condanna, tranne che per brevi momenti, a non ritrovarsi mai in un sentimento reciproco e compiuto. Il loro rapporto insegue geometrie misteriose che si ricostituiscono in modi sempre diversi senza portare mai la tranquillità alla quale, forse mentendo a se stessi, entrambi dicono di aspirare”.
Enzo Siciliano amico della coppia dirà: “Elsa creava costellazioni in continua metamorfosi, congiunzioni fatali di cui si sentiva arbitro unico”. È pronta a scatenare guerre per una parola sbagliata, ma è anche capace di ricredersi e di chiedere scusa. «Il motivo della bufera, con la luce del giorno, le appariva povera cosa, e allora, sul lago delle sue angosce filtrava dal fondo una luce purissima, la sua dolcezza, che è stato prezioso conoscere».
L’altra grande infatuazione di Elsa fu per il pittore Morrow, bellissimo uomo che per la sua ambiguità sessuale le ricorda forse Visconti. Quando morì, suicida, Elsa ne soffrì moltissimo cadendo in una tragica depressione.
In realtà la separazione tra Moravia e la Morante nasce anche per un’altra ragione che Elsa racconterà nel suo Diario: la mancanza di un figlio.
L’istinto materno di Elsa era stato frustrato da Alberto che ha solo badato a se stesso, senza mai pensare di creare una famiglia, immaginare un erede.
Il 27 aprile 1938 la Morante annota nel Diario un sogno: «Lo stringevo, lo stringevo perché non sfuggisse, ed ero in uno strano miscuglio di felicità e di angoscia… Dio – pensavo – se fosse vero! Non sarei più sola, tu sei qui, amore mio. La certezza di non averlo e la sensazione di stringerlo si confondevano, è chiaro. Torna nelle mie notti questo momento di struggente, disperato amore. In quel momento pensavo a quel bimbo che… chiedevo perdono a Dio. Ma come potevo tenerlo? No, dovevo. Proprio l’assurdo, strano caso della sua nascita diceva chiaramente che Dio voleva così. Forse sarebbe stato un grande. Ho peccato». Per la prima volta, Elsa accenna a un bambino mai nato e riversa in queste poche righe la sua sofferenza. Da quel momento non ne fa più cenno in nessuno dei suoi scritti, eppure quella ferita getta un’ombra d’angoscia su tutta la sua vita. Anche Moravia in quegli stessi anni ha scelto di rinunciare ad avere un figlio, ma le lettere a Lélo Fiaux, più del rimorso per il bambino non voluto, rivelano il rimpianto per la fine del loro amore.
In lui, la decisione è razionale e senza tentennamenti: i suoi romanzi sono gli unici figli che desidera. In Elsa, invece, che la maternità l’ha vissuta dentro di sé, la scelta non diventa mai davvero definitiva. E quella rinuncia le lascia un dolore che negli anni della maturità, quando sarà ormai troppo tardi per tornare indietro, diventa una lacerazione cocente.
Alberto non vuole separarsi da Elsa, che seppure con strappi, tormentati momenti è stata la donna che ha voluto bene.
In una drammatica lettera scritta poco prima di lasciarsi ebbe a confessare: “Per me nulla è finito e nulla può finire. Io ho per te esattamente lo stesso sentimento che ho avuto negli ultimi dieci anni, forse più forte e sono sicuro che questo sentimento non cambierà. Certo tu hai fatto di tutto negli ultimi anni affinché cambiasse… ma quello che io penso e sento per te andavano al di là di queste irritazioni per quanto sconcertanti e io non riuscivo che a ricordarmi le tue qualità, il tuo valore e il grande affetto che mi avevi sempre dimostrato nei momenti più difficili della vita. Ahimè, tutto questo è adesso messo in forse e io non so davvero che cosa succederà. Tutto mi sembra scardinato, distrutto e al tempo stesso non so che cosa potrò mettere al posto di quello che c’era e c’è tuttora. Io non credo però che tu cesserai di essere nella mia vita. Di questo sono sicuro… “.
“Finché tu stavi con me io avevo una spinta potente a lavorare. Quando te ne sarai andata, ho proprio paura che mi sentirò per qualche tempo paralizzato. Cara Elsa ti amo ancora tanto che basta una tua parola sgarbata per farmi tanto soffrire. Purtroppo c’è in te un demone che ti spinge a dirmi delle cose spiacevoli. Perché non sarebbe possibile cambiare tutto ciò? Sono orribilmente disperato ed infelice e non so come andrà a finire. Scusami per tutto quello che posso averti fatto di male, se puoi. E cerca di comprendermi”(Roma 1950).
Tra i due si dice che l’amore fosse a dispetto.
Alberto ne diede questa giustificazione: “Ieri sentivo terribilmente la tua mancanza. Sono andato da solo a mangiare al caffè Caprile e non ho fatto che pensare a te. Tu non mi credi quando dico queste cose e fai quei soliti ragionamenti dell’amore a dispetto. Invece è tutto vero e tutta la mia colpa, se colpa può chiamarsi, è stata ed è tuttora la mia difficoltà di espressione sentimentale ereditata da lunghi anni di malattia (ricordiamo che durante l’infanzia Moravia ebbe la tubercolosi ossea) e di tristezza della mia infanzia ed adolescenza”( Anacapri 13 agosto 1951 ).
Scriverà in un’altra lettera:” vorrei trovare con te un modus vivendi, ossia una maniera stabile di essere in rapporti. Non voglio affatto dividermi da te, vorrei soltanto che tu ti rendessi conto che tu hai in me una persona che ti vuole bene e che ti sarà sempre vicina, qualsiasi cosa avvenga”(…).
Non voleva perderla anche se aveva la terribile consapevolezza che il loro rapporto fosse logorato. “Tu sei l’unica persona che conta nella mia vita e desidero di renderti felice e di stare con te. Non credere però come tuo solito che io dica queste cose perché sei andata via e sei lontana. Le dico perché oggettivamente questa è la verità”.
Moravia racconta ad Enzo Siciliano quali fossero per lui i sentimenti dopo la separazione: “Ognuno attraversa un momento della vita in cui gioca psicologicamente il tutto per tutto. Si può anche soccombere. La vita è sempre piuttosto tragica e non è una cosa che si possa prendere alla leggera. Ero arrivato a una svolta: forse non mi piaceva più vivere. E ho avuto il coraggio di spezzare tante cose che allora mi erano molto care e che avevano per me un grande significato. Ma non potevo fare altro. L’ho intuito oscuramente. Quel distacco, quella rottura hanno prodotto una forma di rinnovamento, credo”.
Seppure divisi continuano a vedersi ed a rispettarsi ed ognuno esprime buone opinioni dell’altro.
“Credo si siano amati moltissimo, racconta Mario Fortunato; la Morante era una donna esigente e molto severa nei suoi giudizi e Alberto nutriva per lei un amore un po’ masochista. Nel loro rapporto c’era qualche cosa di tormentoso, un incastro nevrotico dal quale non riuscivano a sottrarsi. In Alberto esisteva un lato infantile che tendeva a punirsi e a volte, dai suoi discorsi, traspariva la gelosia che come scrittrice fosse migliore di lui. Ma fino all’ultimo ha sempre sentito che anche Elsa gli voleva bene”.
Dopo la separazione Elsa affronta il momento più delicato della sua vita: dovrà subire una dura malattia che la porterà ad una consunzione fisica e mentale.
Smarrirà «la gioia della sua grazia».
La bellezza e la passione per lei appartengono alla giovinezza.
Non si è mai davvero piaciuta fisicamente, ma Elsa invecchiando arriva a odiare il suo corpo: «Io ho il terrore che si parli di me – confessa in una rara intervista sul Messaggero –. Io sono vecchia, sono aumentata di peso, ho i capelli bianchi, sono malata. Che cosa si potrebbe dire di me? Io non voglio essere considerata una persona vivente, vorrei essere un fantasma, uno spettro, detesto il mio corpo. Non mi dispiace, invece, che si parli dei miei libri».
“Il nostro proprio corpo – ha scritto in Aracoeli, come in un sogno preveggente – è straniero a noi stessi quanto gli ammassi stellari o i fondi vulcanici. Nessun dialogo possibile. Nessun alfabeto comune. Non possiamo calarci nella sua fabbrica tenebrosa. E in certe fasi cruciali, esso ci lega a sé nello stesso rapporto che lega un forzato alla ruota del suo supplizio“.
Quando Alberto andrà a visitarla in ospedale la Morante con un filo di voce le sussurra: “Alberto, tu parli solo di letteratura”». In realtà, in quei lunghi mesi, gli scambi tra loro non sono solo intellettuali.
Lei confessa di averlo sognato mentre lui le mormorava: «Tu sei stata la mia giovinezza».
Ginevra Bompiani ricorda di un pomeriggio passato con loro a Villa Margherita: «Moravia era seduto accanto alla finestra, in una delle sue abituali posizioni un po’ impazienti, con la gamba che si muoveva nervosamente. Elsa lo guarda e a un certo punto dice: “E pensare che…” Poi si è fermata, ma per me è stato facile capire che cosa ci fosse dietro quelle poche parole. Credo volesse dire: “E pensare che ci è voluto tutto questo per farti stare qui con me…”».
Le ultime parole che Elsa chi ha lasciati risalgono al 1 gennaio 1985. “Soltanto oggi mi risveglio nella memoria di quell’incanto, che pure lasciò qualche segno sulla mia vita – scrive –. C’è stato di mezzo un intervallo di tenebre e oblio totale, come se il fiume Lete mi avesse inghiottito dopo». È ancora lei, nonostante il buio, la malattia, i momenti di smemoratezza. C’è ancora la parola che ha sempre amato: l’incanto. Fin da bambina, ha voluto che la sua vita scorresse nel segno di questa magia. Elsa l’incanto l’ha cercato per tutta la vita, ma l’ha raggiunto soltanto nelle pagine dei suoi libri.
Enzo Siciliano sul “Corriere della Sera” all’indomani ( martedì 26/11/1985 ) della sua morte così la ricorda: “raggiante che prende la luce numinosa, adorata ed inarrivabile”.
Vi è una costante negli amori della Morante: l’amore non può mai essere corrisposto, è perso, infelice, invivibile. La sua colpa è non essere mai amata.
Amava invece le creature dei suoi romanzi, della sua inesauribile fantasia, dei sogni che mitigavano la sua solitudine. Qualunque testo che uscisse dalla sua penna era un’incarnazione.
Morante come Arturo ( protagonista del romanzo da Elsa scritto “L’isola di Arturo, ambientato nell’isola di Procida)aspetta il “giorno pieno”, la perfezione della vita; l’isola infatti rappresenta la “primitiva felicità “, “l’imperfetta notte” e si attende che il giorno arrivi, simile ad un fratello meraviglioso, con cui si raccontano i ricordi, gli abbracci per rimuovere la lunga noia.
La Morante conosce i sospiri, l’arte illusoria ma anche rivelatrice dell’amore che lo vive nella sua assolutezza carnale.
Alberto, che confessa di aver perduto il baricentro quando si separa da Elsa, afferma tuttavia che ha amato solo la letteratura, l’unica verità e menzogna per la quale è valsa la pena di aver vissuto.
Vivere nelle nubi della letteratura è un privilegio che rompe con la noia ed il tedio del mondo, con la sua futilità, la barbarie e ti pone in contatto con il lessico dell’infinito per superare la decomposizione del pensiero.
Fu così che entrambi amarono Pier Paolo Pasolini che ebbe il grande merito di riavvicinarli.
E c’era la ragione della Poesia che incarnava.
Adriana Moravia scrisse di loro: “fece di Elsa la sua croce, il suo angelo sterminatore,la sua oscura coscienza critica”.
Ma amarono incessantemente la letteratura: e per questo sono stati preziosi.
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