Letteratura

Matteo B. Bianchi: “Xfactor premia il potenziale inespresso, il pubblico no”

di
13 Dicembre 2017

Matteo B. Bianchi è barba e pizzetto. Ma è anche camicie a scacchi. Risate diaboliche. Un sorriso buono, da chierichetto. Matteo B. Bianchi, noto a Milano come uno dei più istrionici animatori culturali della città, è un ex pubblicitario, giornalista a intermittenza, prolifico scrittore, il padre di una delle riviste più snob del panorama culturale italiano e un autore televisivo (indimenticabile resta Very Victoria, su Mtv). Popola il mondo editoriale dal 1994, quando curò una raccolta di aforismi di Andy Warhol dal titolo moderatamente provocatorio: “La cosa più bella di Firenze è McDonald”. Il successo è del 1999 con l’uscita di quello che si sarebbe rivelato un long seller: Generations of love (ripubblicato l’anno scorso da Fandango Libri). Da ricordare la titanica impresa di mappare la narrativa nostrana attraverso Dizionario affettivo della lingua italiana (2008), mettendo in fila trecento narratori e poeti per raccontare il lemma preferito. Un’attitudine – quella a cavalcare ciò che non è scontato – esplosa nel suo ultimo romanzo, Maria Accanto (Fandango Libri, pp. 260), storia di Betty che lavora in uno studio dentistico, e che ha come amica la Madonna.

Perché la Madonna? E, soprattutto, perché uno studio dentistico?

Devo essere sincero, non ho idea del perché Betty lavori lì. Ricordo solo di aver chiesto delle informazioni a una ragazza che conoscevo e che lavorava da un dentista, poi è stato un cortocircuito. Forse perché ho problemi ai denti da sempre e frequentare il dentista è una cosa che faccio fin da quando ero bambino. Ma questo libro ha una storia lunga. All’inizio l’avevo pensato come trama per un cortometraggio, dunque mi sono reso conto che era troppo complessa per essere ridotta a dieci minuti di film. Quindi è rimasta nel cassetto per molto tempo.

E poi?

Poi passavano gli anni e continuavo a ripensare a questa idea, finché ho capito che avrei potuto scriverla come romanzo. Ma il mio non è un libro su una redenzione, anche se la protagonista è la Madonna. Betty è una ragazza non particolarmente religiosa, e anche dopo l’incontro con Maria continua a esserlo. La vita, lei, la prende con un’ottica diversa.

Quale? 

Spesso ci lasciamo vivere, non ci mettiamo in discussione, ci facciamo trascinare dalle cose. Mentre uno sguardo esterno sul mondo sarebbe fondamentale, e salvifico. Poco importa che sia, o meno, della Madonna.

Sei anche uno degli autori di StraFactor, il talent show nel talent show, che segue la messa in onda di un cult: XFactor. Nel tuo programma lavori con Elio, Drusilla Foer e Jake la Furia con un’unica missione: premiare il talento più fuori dalle righe d’Italia. 

StraFactor è un talent nel talent. Nella struttura ha le stesse caratteristiche di XFactor come giudici, squadre, ed eliminazioni. Si svolge anche sullo stesso palco, ma a sfidarsi sono i concorrenti più bizzarri che si sono presentati ai casting, del tutto inadatti alla vera competizione canora, ma talmente folli e surreali da meritare uno spazio tutto per loro. Confesso che mi sto divertendo moltissimo.

A proposito di casting, spesso il pubblico critica molto aspramente le selezioni dei concorrenti e le scelte dei giudici. Come mai?

Perché la gente non capisce che XFactor non è un semplice concorso canoro, è uno show, una trasmissione e quindi ha delle esigenze televisive da rispettare. A volte non basta essere un cantante mediamente bravo.

Cosa serve allora?

A volte il potenziale inespresso è più interessante perché permette di raccontare un’evoluzione. Ci sono cantanti meno bravi o meno completi, ma sui quali si può lavorare, costruire un percorso. In un talent diventa fondamentale avere concorrenti che possano crescere, anche a costo di suscitare perplessità nel pubblico all’inizio. Se tutti fossero già formati per la finale, non ci sarebbe niente da far vedere. E questo lo dico anche da spettatore. Se vedi ai casting uno che è bravissimo la prima volta resti sorpresi. La seconda è una conferma. La terza sai già cosa aspettarti. La quarta è noia.

Dunque non si premia il più bravo, ma cosa?

Beh, è sempre il pubblico che vota e che premia, però è il pubblico stesso che nel corso delle settimane può cambiare idea e arrivare a premiare personaggi che magari prima apprezzava meno. In generale si premiano le caratteristiche del cantante in grado di andare oltre la singola performance. Ci sono concorrenti che hanno un’esperienza personale che viene fuori, anche dalle scelte musicali, dalle sofferenze, dai vissuti. Una volta stavo seguendo i casting da dietro le quinte con Mara Maionchi, quando una ragazza salì sul palco. I giudici la eliminarono perché era grezza, ma Mara si mise a piangere perché ne capiva il potenziale e ne era rimasta commossa.

XFactor, nonostante sia all’undicesima edizione, continua ad avere successo. Come te lo spieghi?

In Italia ogni edizione va meglio della precedente. Credo che da un lato ci sia l’aspetto visivo – le messe in scena di Luca Tommassini sono davvero incredibili, è come assistere a un musical ogni settimana -, dall’altro la capacità di osare e fare scelte musicali mai troppo scontate. Ai concorrenti vengono spesso assegnati brani di artisti poco conosciuti o di nicchia. Credo che tutto questo sia possibile perché è su Sky. Su un canale generalista non sarebbe lo stesso.

Che vuol dire essere pop oggi?

Essere pop non vuol più dire popular, nel senso di una volta. Secondo me pop è gusto contemporaneo, temi ampi trattati con una chiave alternativa. In letteratura significa guardare le cose da un angolo differente. E in Italia non è facilissimo, credimi.

Perché?

Lo dico per esperienza personale. Maria Accanto ha ricevuto una lunga serie di rifiuti editoriali, con motivazioni tipo “Questo libro non assomiglia a niente”. È vero che non assomiglia a niente – la protagonista è la Madonna, ma il testo non è religioso, inizia come commedia poi vira verso il dramma, e così via -, ma come autore lo ritenevo un pregio, non un difetto. Ma un libro difficile da incasellare per l’editoria è anche un libro difficile da vendere, da qui i rifiuti.

Però il romanzo ha finito due edizioni e i diritti cinematografici sono stati venduti. 

Alla fine la mia ostinazione è stata premiata. Però trovo corretto raccontare anche dei rifiuti che ho ricevuto perché di queste cose non parla nessuno, si vuole sempre vendere un’immagine di successo. Io da sempre lavoro con agli esordienti, ne ho aiutati in diversi a pubblicare, ma pensare che la strada dopo l’esordio sia una strada spianata è falso. Ogni volta, quando confesso di aver ricevuto tanti no, la gente rimane basita. “Come, anche tu?” chiedono. Sì, anche io.

L’ossessione editoriale per la produzione di testi in serie andrebbe indagata. 

Il problema è che l’editoria non si accorge che il lettore davanti a qualcosa di diverso si incuriosisce. Così preferisce battere solo sentieri noti.

Tu con ’tina, la tua rivista, fai l’opposto. 

’tina era nata come una fanzine fotocopiata negli anni Novanta. All’epoca lavoro in un’agenzia di pubblicità e nella pausa pranza facevo fotocopie a non finire. Poi la regalavo ai colleghi e agli amici perché non avevo spese. Lo ammetto: per anni ho rubato fotocopie alla mia agenzia. Un giorno, eravamo agli albori di internet, una mia collega, che conosceva un po’ di HTML, si offrì di aiutarmi a portare ’tina sul web. Nacque così una delle prime webzine italiane.

Dici sempre che il tuo, con ’tina, è il matrimonio perfetto. 

È come la moglie ideale, quella che c’è sempre quando la vuoi e sta ai tuoi tempi. È una rivista che faccio solo quando riesco. Forse è questo il segreto della sua longevità. Poi la curo completamente da solo, chiedendo aiuto ogni volta a persone diverse, e questo contribuisce a gestirla in modo più semplice.

Come scegli cosa pubblicare?

C’è un unico discrimine: seleziono solo cose che mi piacciono. Ogni numero di ’tina presenta cinque racconti inediti, anticipati da una mia breve introduzione. Mediamente protagonisti sono autori esordienti o autori che sono al primo, al secondo libro. Su ’tina hanno scritto un po’ tutti, da Paolo Cognetti a Marco Mancassola, passando per Paolo Nori. All’epoca erano semplici esordienti, oggi formerebbero un cast stellare della letteratura. Ma non ci vuole così tanto per riconoscere ciò che vale. Ogni settimana ricevo decine di racconti de sconosciuti, adesso però il tempo per leggerli è meno. Molto meno.

Perché c’è Stra Factor. Ecco: chi vincerà secondo te XFactor quest’anno?

Scusa se rido, ma ogni volta lo canno. Ho in mente un vincitore, ma questa volta il nome non lo faccio.

 

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