Letteratura
Maria, la grazia prima che si compia il mistero
La figura di Maria ha il fascino primigenio: deve essere Immacolata e nel mistero, pur non toccando alcun uomo, dovrà dare la luce al Figlio di Dio.
Nel Vangelo rappresenta la modestia, il candore, l’accettazione di ciò che non si potrà capire, la lieve dolcissima riflessione prima del Compimento delle Scritture.
Donna” piena di grazia“, prima che partorisse.
In questo lampo c’è il segno divino, perché l’avvolgente grazia viene prima della nascita del Cristo.
Maria possiede la passività meravigliosa, perché in Lei si annuncia il massimo vuoto e si compie la pienezza dell’Assoluto.
Ella è identificata come la figlia di Sion, ove si incontrano il cielo e la terra, perché Sion è la città vivente di Dio. «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re» (Zaccaria 9,9-10).
È anche il roveto che non brucia (Es 3,1-6), perché la Sua è una permanente verginità che non si consuma, rimane intatta come la raffigura Michelangelo nella Pietà: giovane contro il Tempo che passa. Eterna, non consunta, non corrosa.
È come, si legge nel Cantico dei Cantici, giardino serrato. Stella del mare, aurora, fiore, che, così bello, risplende in eterno; giglio fra i cardi. È lei che occupa il centro della candida Rosa ove siedono i beati di Dio, le cui anime sono fatte di pura luce, tanto che è quasi difficile riconoscerne i tratti.
Lo ricorda Dante nel XXXI canto del Paradiso. «In forma dunque di candida rosa mi si mostrava la milizia santa che nel suo sangue Cristo fece sposa.»
Come diceva San Bernardo di Chiaravalle, Maria era la più alta e umile fra tutte le creature (Pd. XXXIII, 2), che pose al centro della sua incessante meditazione l’umiltà . Senza l’intercessione di Maria, infatti, Dante non può sperare di accedere alla visione di Dio, poiché “qual vuol grazia e a te non ricorre, / sua disianza vuol volar senz’ali” (Pd. XXXIII, 14-15).
L’Angelo la interroga nella notte più lunga, quella del concepimento del divino: per una sola volta è il cielo ad ascoltare.
E qui si compie la poesia più toccante che l’uomo abbia mai potuto ascoltare.
Quando l’Angelo le annuncia che partorirà il Figlio di Dio, Maria si smarrisce, si perde, è incredula come una bimba indifesa, rapita nella sua ingenuità.
Si sta per compiere, rompere, svelare il mistero dell’inaccessibile, perché Dio si riconcilia con l’Uomo: sul volto di Maria c’è, come dice Jean Paul Sartre, “lo stupore ansioso che non è apparso che una volta su un viso umano”. Ha tra le sue braccia il Figlio di Dio che cambierà la storia del mondo.
Maria così risponde all’ Angelo: «Come è possibile? Non conosco uomo» (Luca,1,34).
Non ha toccato nessuno, neppure il silenzioso e buono come il pane, Giuseppe, il suo promesso sposo. «Giuseppe prese con sé la sua sposa e non la conobbe fino a quando non partorì un figlio, che egli chiamò Gesù» (1,24-25). Non la conobbe, non la lambì, non la sfiorò, non la toccò: tra i due sposi c’è stato solo il filo delicato della tenerezza, dell’unione intensa dei cuori.
Maria è pura: benché legata a un uomo, vive “come se non lo fosse” (v. 29); viveva “in assiduità presso il Signore, senza distrazione”.
La scissione tra Dio e l’uomo si colma, si rapprende, si rimargina, ciò che è separato si riunisce nel suo grembo.
E Maria è dolcissima: Cristo nasce nell’emarginazione, privo di un guanciale. Eppure nel racconto di Luca c’è un particolare sottolineato con tenerezza: Maria «avvolse il bambino in fasce e lo depose nella mangiatoia» (v. 7).
Ha patito la più atroce delle sofferenze: ha visto morire prima il Figlio.
Maria, accoglie l’Infinito: ha la grazia prima che si compia il mistero.
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