Letteratura
Malcomune, nessun gaudio
Un ritratto impietoso ma divertente del potere, consigliato a chi non teme di ridere (e arrabbiarsi) davanti allo specchio distorto della democrazia con cui abbiamo a che fare oggi.
Le peripezie di un artista consegnatosi alla gestione amministrativa del comune di Livorno come assessore alla cultura sono il focus di “Malcomune. Inclusione, resilienza e una beata minchia negli enti locali” di Simone Lenzi, già cantante e leader dei Virginiana Miller, scrittore e sceneggiatore di film.
L’autore ci regala un memoir tragicomico che è al contempo un affondo satirico alla macchina amministrativa italiana e un’autopsia delle contraddizioni della sinistra nazionale (e non solo) contemporanea. Pubblicato da Linkiesta Books nel 2025, il libro mescola ironia, frustrazione e riflessioni taglienti, offrendo uno sguardo dall’interno su un mondo fatto di burocrazia kafkiana, retorica politica vuota e guerre ideologiche .
Il libro racconta l’esperienza di Lenzi come assessore in una città di provincia, tra progetti(ni) culturali, richieste di finanziamenti e lo scontro (ma anche il quieto adattarsi) con un sistema amministrativo paralizzato da formalismi. La svolta arriva quando, dopo aver espresso opinioni scomode su Twitter, viene travolto da accuse di transfobia e costretto alle dimissioni in 48 ore, in quello che definisce un “processo mediatico” orchestrato dalla sinistra neomoralista. La narrazione si divide tra aneddoti surreali (come le infinite discussioni su mozioni inutili in consiglio comunale) e l’analisi della deriva tribalista della politica, dove il conformismo (diventato articolo di dogma) sostituisce il dibattito.
Lenzi descrive un mondo dove ogni azione richiede una delibera, anche “per versarsi un bicchier d’acqua”, dominato da un gergo autoreferenziale (“resilienza del territorio”, “inclusione sostenibile”) che maschera la vuota parafrasi dell’immobilismo effettivo. La sua critica si estende ai “progettini” culturali, spesso richiesti da compagnie teatrali che sopravvivono solo grazie a fondi pubblici, in un circolo vizioso di autoreferenzialità e lotta per la sopravvivenza.
L’autore accusa la sinistra di aver sostituito i principi universali con un “narcisismo etico”, riducendosi a una tribù ossessionata dalla correttezza politica e incapace di ridere di sé. Un esempio emblematico è la sua epurazione: tre tweet ironici su temi gender, estrapolati dal contesto e non letti per quello che erano (l’autore in uno dei capitoli finali ne fa una lunga e puntuale disamina), diventano il pretesto per una gogna pubblica, sintomo di un’ideologia che privilegia l’apparenza alla sostanza.
Nonostante il tono caustico, Lenzi non risparmia se stesso, definendosi un “quieto borghese con il gusto della provocazione”. La scrittura è pervasa da un umorismo livornese, che stempera la rabbia con battute come: «Ti pare che uno si suicidi per aver dato le dimissioni da assessore alla Cultura?».
Il libro può richiamare Luciano Bianciardi per la capacità di trasformare la rabbia personale e sociale in satira dissacrante. Lenzi usa un linguaggio diretto, a tratti scurrile (a partire dal sottotitolo), alternando capitoli riflessivi e di osservazione della “fauna amministrativa” a dialoghi che possono apparire surreali con artisti presuntuosi e senza speranze, a caccia di riconoscimento pubblico a spese del (denaro) pubblico.
L’onestà intellettuale nel denunciare ipocrisie trasversali (dai grillini ai colleghi di partito) e la capacità di rendere universale un’esperienza locale.
Malcomune è un libro necessario per chi vuole comprendere le patologie della politica italiana, tra burocrazia asfissiante e guerre identitarie. Lenzi paga il prezzo della sincerità in un’epoca che preferisce i “pacifier” linguistici alle verità scomode. Nonostante qualche eccesso polemico (segno di quanto questo sia un instant pamphlet, in cui l’autore dà un chiaro segno di non aver ancora rimarginato la ferita), resta una lettura illuminante, soprattutto per chi ancora crede che la cultura e la politica possano essere un motore di cambiamento, non un rifugio per conformisti. Basta essere liberi di testa e volerlo davvero.
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