Letteratura
Ma l’Occidente si deve vergognare delle Crociate?
Cosa sono state le Crociate e perché la loro cattiva nomea ? Alessandro Barbero da storico, nel suo “Benedette guerre, Crociate e Jihad”, edito da Laterza, offre, al di là dei luoghi comuni che sul tema si sono assommati soprattutto in questi anni, delle risposte intelligenti e sicuramente interessanti per chi ha voglia di capire ed è quindi libero da paraocchi ideologici. Intanto l’autore richiama la necessità della contestualizzazione, operazione difficile per chi è abituato a leggere il passato con gli occhi del presente. Le Crociate nascono in un tempo lontano dal nostro e meritano di essere lette utilizzando le categorie di quel tempo. E, quel tempo, è caratterizzato anche dal mutato atteggiamento del mondo islamico nei confronti dell’Occidente cristiano. Un cambiamento che si manifesta, in modo evidente, nell’aperta ostilità nei confronti dei pellegrini cristiani che, tradizionalmente, si recavano in Terrasanta. Quei viaggi, di per sé difficili e disagiati, un tempo considerati una normalità, divenivano ora ancor più pericolosi e, per il pellegrino, “c’erano probabilità di lasciare la pelle lungo la strada”. Questo cambiamento di atteggiamento aveva una ragione, le elite islamiche padrone della Palestina – che per la cronaca erano ancora abitate da popolazioni in parte cristiane – non erano, infatti, più quelle di un tempo; ora a dettare le regole erano quelle turche “meno colte, più bellicose, e anche meno tolleranti di quelle arabe”.
La Chiesa di Roma, uscita vincitrice dalle lotte per le investiture, prendeva atto di quanto accade rendendosi conto che non sarebbe stato possibile il perpetuarsi di una situazione che suonava scandalo per la cristianità. Sarà Urbano II, sostenuto da un eccezionale intellettuale del tempo, qual era Bernardo da Chiaravalle, a concepire la svolta che porterà a Lione al bando della Crociata per la riconquista (liberazione) dei luoghi santi. La Chiesa, però, dovette risolvere un problema di fondo che si poneva come ostacolo all’intervento armato. La dottrina cristiana considerava la guerra peccato, il comandamento “non uccidere” aveva travagliato il rapporto del cristiano con lo “Stato” fin dai primi passi del cristianesimo. Basta infatti fare riferimento ai contorcimenti intellettuali di Sant’Agostino per averne un’idea chiara. La formula che risolveva in qualche modo il problema era quella di trasformare il pellegrinaggio penitenziale in pellegrinaggio armato. L’invito del Papa è dunque quello di andare in Terrasanta, sotto la guida dei principi cristiani ma di andarci armati per prendere possesso con la forza dei luoghi santi, ora negati. Una formula di grande successo visto la risposta di massa all’appello papale e considerata l’adesione di tanti principi e feudatari dell’occidente cristiano. Un appello che poté trovare terreno favorevole nella nuova situazione dell’Europa cristiana, ormai in grande crescita con notevoli disponibilità di risorse materiali e umane disponibili ad essere impeiegate per la grande impresa. Lo spirito crociato, ci racconta Barbero, fu sincero e carico di motivazioni spirituali, le degenerazioni che purtroppo ne risultarono furono conseguenze inaspettate e spesso, perfino, non volute. Esempi come Goffredo di Buglione, personaggio mitico di cui è difficile ricostruire una biografia corretta, o di Luigi IX, sovrano che pagò di tasca propria le crociate a cui partecipò mostrando una dedizione che contraddice qualsiasi accusa di opportunismo o interesse personale, sono espressioni dello spirito crociato non dimenticando che, però, ci fu chi, come Francesco d’Assisi, interpretò lo stesso spirito come risposta non violenta e aperta al dialogo e al confronto.
Le Crociate furono, purtroppo, segnate da violenze, spesso gratuite, che non furono a senso unico; anche da parte musulmana infatti, la violenza e lo spargimento di sangue non furono lesinati. I primi successi e la fondazione del regno di Gerusalemme, scrive barbero, ebbero anche l’effetto di accelerare il processo di islamizzazione in atto da tempo. Dopo la caduta dei potentati cristiani, le popolazioni non musulmane divennero, infatti, sempre più minoranza. Ma furono anche strumento per la conoscenza di due mondi, Occidente e Islam, che fino ad allora avevano avuto pochi contatti reali. Quell’occidente, ancora in fase di riacculturazione scopriva quell’oriente che, sotto la spinta della grande cultura centroasiatica e il confronto con l’ellenismo, aveva elaborato una raffinata civiltà. Si può dire che le crociate siano state oggetto pure di scambio positivo perché anche l’Occidente meno colto aveva tuttavia qualcosa di prezioso da portare. Barbero si sofferma sullo stupore che suscitò il contatto e sul fatto che i musulmani non riuscivano a convincersi che dietro quelle imprese ci fossero grandi idealità. Ne registravano l’aspetto violento e, nonostante ciò, era come se nutrissero ammirazione nei confronti di quei cavalieri coraggiosi ed espertissimi in armi che li affrontavano e li vincevano in battaglia. Ma anche sull’impatto che ebbero sulla raffinatissima cultura cristiana bizantina che rimase insensibile al richiamo della crociata confermando che il comandamento “non uccidere”, anche se per una causa santa, restava in ogni caso imprescindibile. Barbero, definendo le Crociate come vero e proprio scontro di civiltà, non trascura di evidenziare le deviazioni dello stesso spirito crociato e il suo utilizzo , voluto da papi e principi, verso obiettivi poco nobili come la lotta contro le eresie o l’aggressione, in questo caso contraddicendo le raccomandazioni della Chiesa romana, contro le minoranze ebraiche. Le violenze contro gli albigesi e le pulizie etniche di Federico II, sarebbero l’effetto di questo spirito crociato deviato. Tornando alle crociate in Terrasanta, Barbero evidenzia un aspetto, che nell’affrontare l’argomento, è stato trascurato e cioè che quegli uomini “venuti per conquistare e massacrare” furono conquistati dalle culture incontrate al punto lasciarsi scappare frasi del tipo “nos qui fuimus occidentales” pronunciata qualche anno dopo dal teologo e cardinale francese Jacques de Vitry.
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