Letteratura

L’usura tra San Tommaso e Dante

17 Giugno 2020

Prima che fosse identificata come un comportamento riprovevole da sancire a titolo di
reato, l’usura è stata considerata come un grave peccato.
L’usuraio è un ladro di tempo: il tempo, si badi bene, è una risorsa che appartiene a Dio e
non all’uomo. Dunque l’usuraio il furto lo commette ai danni di Dio.
Infatti l’usuraio non vende alcunchè: se egli presta una somma di danaro dovrebbe
ottenere, allo stesso modo, la medesima quantità di monete che ha elargito, null’altro.
Egli invece pretende in restituzione, in ragione del tempo in forza del quale il denaro è
stato trattenuto da chi poveramente l’ha richiesto, un compenso che non è scritto in
nessuna legge naturale ed in quella delle Sacre Scritture.
L’usuraio ritiene che sia giustificato tal compenso, che egli definisce interesse, perché si è
privato di una somma di danaro che ha dovuto prestare al misero richiedente: in forza del
tempo, per il quale tal somma è stata trattenuta, che si quantifica l’utile dell’usuraio.
È stato infatti scritto, magnificamente, che l’usuraio è un peccatore. L’usura infatti è un
furto.
L’usuraio commette un furto (furtum) o una usura (usuram) o una rapina (rapinam),
perché egli prende un bene altrui (rem alienam) contro la volontà del proprietario (invito
domino) cioè Dio.
L’usuraio è un ladro particolare, perché, anche se non turba l’ordine pubblico (nec turbat
rem publicam), il suo furto è particolarmente odioso, proprio perché ruba a Dio.

Cosa vende in effetti l’usuraio se non il tempo che intercorre tra il momento in cui presta e
quello in cui viene rimborsato con l’interesse? Ma il tempo non appartiene che a Dio.
Ladro di tempo, l’usuraio è un ladro del patrimonio di Dio.
Gli usurai perciò peccano contro natura, perché pretendono di far generare una cosa da
un’altra senza alcun intervento. Il denaro dunque si genera dal denaro, come un cavallo da
un cavallo o un mulo da un mulo. Siamo contro natura.
Oltre a ciò gli usurai sono ladri (latrones) dal momento che non vendono null’altro che
l’attesa di denaro cioè il tempo, i giorni e le notti. Ma il giorno è quel tempo della luce e
della notte che solo Dio può possedere.
L’usuraio è dunque un ozioso scandaloso. Egli pretende di cavare un profitto senza
lavorare affatto e addirittura dormendo, cosa che contravviene al precetto del Signore che
dice: “con il sudore della tua fronte mangerai il pane”.

L’usuraio dunque agisce contro il Creatore, perché non valorizza il lavoro, strumento di
riscatto, di dignità, di salvezza, di collaborazione all’opera di Dio. Egli è pertanto un
disertore, perché sfugge alla principale regola di vita: il lavoro costituisce la vera fonte di
ricchezza, rappresenta lo spirito del corpo, non vi è altra giustificazione al guadagno se
non l’attività dell’uomo (passim: Jacques Le Goff La borsa e la vita Dall’usuraio al
banchiere da pagina 33 a pagina 36).
In realtà è nella filosofia di San Tommaso d’Aquino che si apprende a chiare lettere
perché l’usura sia un peccato.
Il grande filosofo cattolico sulla scia del verbo utor ( usare) sostiene che l’utilizzo del
danaro non possa assicurare un corrispettivo.
La robusta lezione aristotelica costituisce il sostrato su cui si impianta la tematica
dell’usura.
Si ricordi che Aristotele nell’ ”Etica Nicomachea” considerava l’usura come una categoria
morale negativa, affermando, senza mezzi termini, come solo dal lavoro umano o dal suo
intelletto potesse nascere la ricchezza, mentre quella prodotta dal denaro fosse solo
dannosa (“nummus nummum parere non potest” ovvero “il denaro non può generare denaro”).
Tommaso ritiene che l’usuraio se vende denaro vende una cosa inesistente e perciò in
primo luogo commette un peccato di ingiustizia.
Sono illuminanti queste asserzioni: percepire l’usura o interesse per il denaro prestato è
per se stesso un’ingiustizia, poiché si vende una cosa inesistente, determinando una
sperequazione che è in contrasto con la giustizia.

Per averne l’evidenza si deve considerare che ci sono delle cose, il cui uso consiste nel loro consumo; tali sono, per esempio, il vino che consumiamo usandolo per bere ed il grano per mangiare. Perciò in
codeste cose l’uso non si deve computare, come distinto dalle cose stesse. È evidente che
il prestito di queste cose implichi un passaggio di proprietà. Perciò se uno volesse vendere
il vino separatamente dall’uso del vino, venderebbe due volte la stessa cosa, oppure
venderebbe un’entità inesistente.
È chiaro che commetterebbe un peccato di ingiustizia. Per lo stesso motivo commette
un’ingiustizia chi presta il vino od il grano, chiedendo due compensi cioè la restituzione
della merce equivalente ed in più il prezzo dell’uso, denominato usura.
Ci sono invece altre cose, il cui uso non consiste nel loro consumo: l’uso della casa per
esempio consiste nell’abitarla, non già nel distruggerla. Si può concedere l’uso,
consistente nel godimento da parte di un altro conservandone la proprietà; ciò è evidente

nei contratti di locazione.
Dunque per certe cose è possibile vendere l’uso: non per il denaro che è stato inventato
per facilitare gli scambi; il suo uso è per il consumo o la spesa che avviene negli scambi.
Perciò è illecito percepire un compenso per l’uso del denaro prestato cioè per usura” (San
Tommaso D’Aquino Summa Theologiae II-II,q.78,a.1,resp).
La pretesa dell’interesse dunque risulta indebita, perché non vi è alcun titolo a
giustificarla. Si vuole vendere ciò che non esiste.
L’usura è un peccato contro la giustizia, piuttosto che contro la solidarietà; pretendere un
compenso per un prestito, significa contravvenire prima ancora che all’obbligo del
soccorso nei confronti del prossimo, all’equità della relazione economica, perché
attraverso l’usura, ossia il sovrappiù richiesto, si ottiene più di quello che si sia dato a
discapito del bisognoso. Ecco perché il prestito deve essere gratuito, in quanto la sua
logica sottesa è solidaristica ed il suo orizzonte non può essere il lucro, ma la sola
compensazione degli svantaggi subiti dal prestatore.
In San Tommaso, che ha delineato una teoria medioevale dell’usura, il disprezzo per
l’usuraio affonda le sue radici nella caritas e nell’aequitas.
Si è ritenuto infatti che solidarietà e giustizia costituiscono i due coefficienti dell’etica
medioevale.
Siamo al cospetto della giustizia commutativa, che si applica alle relazioni tra individui e
agli scambi di beni e servizi, e poiché è basata sul principio di uguaglianza, si richiede che
tale principio vada sempre osservato (Summa theologiae, cit., pp. 318-22).
Non a caso Dante, (che colloca Tommaso nel Paradiso tra gli spiriti sapienti del IV Cielo
del Sole) considera gli usurai peccatori, in quanto operano violenza contro la natura e
l’arte: il danaro per essi non è frutto del lavoro e del sudore dell’uomo. Hanno violato una
legge fondamentale, sottraendosi alla volontà divina che impone all’uomo di trarre
sostentamento solo dal lavoro e non anche da guadagni conseguiti con il prestito di
danaro.
Ecco allora che gli usurai nel canto XVII dell’Inferno debbono subire la legge impietosa
del contrappasso: come in vita tranquillamente e senza sforzo alcuno sedevano al loro
banco, facendo guadagni illeciti, devono, di converso, patir le pene, sopportando la
pioggia di fuoco che cade dall’alto seduti ed immobili sul sabbione infuocato.
Dante nutre profondo disprezzo: li definisce gente mesta e li paragona a cani il cui dolore
scoppia dagli occhi e, come questi in estate con il muso e con i piedi quando sono morsi

da pulci, mosche o tafani si dimenano, allo stesso modo gli usurai si grattano e si riparano
con le mani dalla sabbia infuocata.
Il contrappasso vuole che alla calma serafica della vita parassitaria segua nell’inferno un
movimento continuo che li faccia impazzire: perciò il grattarsi ed il soccorrersi con le
mani per schermirsi dalle piogge di fuoco. Tuttavia il loro sguardo è basso e si pasca, si
sazia, nel contemplare la borsa che pende dal loro collo.
Negato alla terra cristiana – scrive Le Goffil cadavere dell’usuraio non pentito è
sepolto immediatamente e per sempre all’inferno. L’usura è peccato. La maledizione
colpirà la borsa che l’usuraio riempie e predilige da cui non vuole separarsi. Egli cadrà
nella morte eterna: ecco la grande lotta tra la ricchezza ed il paradiso, il denaro e l’inferno.

Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è un progetto di giornalismo partecipativo

Vuoi diventare un brain?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.