Letteratura
L’uomo nero, e noi. Nessun Kurtz di Nicoletta Vallorani
Chi ama la saggistica sa bene quale forza narrativa contenga. Personalmente, ritengo che un saggio ben scritto sia in grado di emozionare, istruire, formare, spiegare. Un bel libro, anche un libro alto, è in grado di parlare a un pubblico più ampio rispetto a quello dei soli specialisti. È appunto da non specialista che ho letto Nessun Kurtz. Cuore di tenebra e le parole dell’occidente di Nicoletta Vallorani. Vallorani è scrittrice affermata e professoressa alla Statale di Milano, dove insegna Letteratura Inglese e Studi culturali. Cercherò, in 4.000 battute, di fare affezionare anche voi a questo libro che mi ha profondamente coinvolto. Non mi nascondo, come vedo che spesso in giro si fa: Nicoletta Vallorani è un’amica, una collega, per certi versi addirittura – per me – una maestra. Se il libro non mi fosse piaciuto lo avrei recensito ugualmente. Nemmeno Vallorani si nasconde: “Il mio approccio in questo volume è un esperimento. Voglio capire se è possibile, e con quale vantaggio, applicare al testo conradiano un sistema di lettura orientato all’interpretazione del sociale e della storia, farne qualcosa di (esplicitamente: implicitamente lo è già) utile a capire il qui e ora della nostra contingenza. Questo tentativo nasce da una preoccupazione non solo sul ruolo delle humanities nell’epistemologia contemporanea, ma anche da una ben più banale preoccupazione sui motivi per cui sempre più persone, in Europa, si arrendono a una inquietudine informe e magmatica, così facilmente impugnabile in nome di una garanzia di maggiore sicurezza, che è certamente il proclama politico di maggior successo in molte democrazie – o presunte tali – contemporanee […] Questo lavoro ha quindi l’ambizione di accendere una piccola luce, modesta e inefficace, ma iniziale e forse illuminante nel chiarire quali siano i compiti degli studi umanistici nella ricalibrazione del concetto di umanità” [p. 19].
Se anche a voi – come capita a me che ho appena trascritto queste poche parole – dichiarazioni del genere colpiscono non solo l’intelletto, ma anche il cuore, forse potrete capire in che termini ho dichiarato che avrei recensito il volume ugualmente, qualora non mi fosse piaciuto. Vallorani fa molto di più che ricercare una nuova ideologia dell’alterità. Vallorani è intellettuale libera e militante; libera perché militante. Della sua posizione mi sento partecipe.
Il volume è apparso nella collana DeGenere di Mimesis Edizioni. È diviso in cinque capitoli potenti fin dai titoli: Riparare i morenti; La sindrome di Medusa; Alla ricerca di Mistah Kurtz; Le geografie del caos; Sotto gli occhi dell’occidente. Questo libro è molto di più di un viaggio dentro Cuore di tenebra. È molto di più di uno studio conradiano. Le chiavi di lettura attraverso cui accedere a Nessun Kurtz sono molteplici. Si tratta di uno studio di sicuro interesse per chi scrive, per chi si occupa di letteratura dai più diversi punti di vista, per gli storici, per gli intellettuali culturalisti, per i lettori impegnati: “Quel che accade in pratica è che, in linea generale e dal punto di vista del metodo, l’approccio culturalista degli anglisti italiani tende a mantenere come primario il discorso letterario, ma attorno a esso si costruisce un impianto analitico transdisciplinare, finalizzato a dipanare le complessità originarie (nel nostro caso ottocentesche) del testo e i rimodellamenti, le variazioni, gli adattamenti, insomma le riscritture del significato di partenza alla luce di situazioni contestuali molto diverse, appunto, da quelle che avevano determinato l’elaborazione del testo fonte” [p. 34].
Come dice Vallorani in chiusura, l’uomo nero esiste ancora in alcuni reportage giornalistici, e ancora lo si dipinge come il male assoluto, il profittatore che si imbarca per l’Italia per vivere alle nostre spalle in alberghi che agli italiani poveri vengono negati, usando cellulari che gli italiani non hanno: “In questo genere di rappresentazione, non solo Kurtz non esiste, ma non è mai stato contemplato, poiché la sola idea di avvicinarsi alla comprensione del fenomeno migratorio è di per se stessa paralizzante” [p. 147].
E, aggiungo io, compito di chi lavora con la cultura è affrontare di petto le ideologie vecchie e nuove: senza semplificare, senza abbassare il livello, senza farsi immischiare. Leggete Nessun Kurtz.
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