Letteratura
L’ultima leonessa
La saga dei Florio, la grande famiglia di imprenditori siciliana d’origine calabrese che, per tutto l’ottocento e per gli inizi del novecento, è stata protagonista della storia economica, ma anche mondana, del nostro Paese, non stanca di trovare espressioni letterarie.
L’anno passato, è stato il turno del romanzo di Stefania Auci, best seller che ha scalato tutte le classifiche che si appresta a debuttare sul piccolo schermo, ora “L’ultima leonessa”, la vita di Giulia Florio – edizione Sperling & Kupfer – ultima a portare legittimamente il nome Florio, testimone della malinconica decadenza della grande famiglia.
A scriverla è Costanza Afan de Rivera che ha tutti i titoli per farlo, è infatti l’ultima figlia di di Giulia Florio e, forse, quella che più gelosamente conserva e coltiva la storia di famiglia. Giulia Florio, la protagonista della biografia, rivela un tratto che nella famiglia Florio è stato, paradossalmente, poco presente, mi riferisco ad un’umanità e una sincerità d’animo non formale, fatta di slanci positivi, di semplicità e di relativa attenzione a quella mondanità che ha costituito un tratto specifico dei Florio.
Non si tratta certamente di una ribelle quanto piuttosto di una giovane, prima, e di una donna, dopo, alla ricerca di quell’affetto e di quell’intimità che non trova in una famiglia praticamente anaffettiva. Il padre Ignazio, compreso nei suoi “deliri” imprenditoriali o “sequestrato” fra le braccia delle sue amanti, la madre, la mitica donna Franca – definita la donna più bella d’Europa -, troppo interessata al lusso e alla mondanità e, in conseguenza, alla cura maniacale della propria persona.
Questa ricerca ansiosa di affetto Giulia la sublima nel legame con l’estroso zio Vincenzo, l’inventore della targa Florio, e con la sua moglie francese e la di lei figlia Renèe – considerata alla stregua di una parente intima – ma anche con l’abbraccio costante con Arabella, la sorella più grande, con la quale realizza un’intimità che durerà per tutta la vita.
Umanità e generosità, sono questi tratti che si accompagnano alla bellezza fisica che, diversamente da quanto accaduto alla madre, non esaurisce l’ambito della sua esistenza. Giulia condivide le sofferenze degli altri e lo fa non perché tale condivisione faccia parte di un dovere di casta, si ricorda in questo senso, la madre che, come tante altre signore e signori d’haute bord, si recarono a Messina devastata dal terremoto, per dare il suo aiuto, ma lo fa per moto spontaneo, rischiando di persona come nel caso del salvataggio di alcuni ebrei che si erano sottratti alla retata nazista nel ghetto di Roma, non aspettandosi nessun ringraziamento pubblico.
Giulia, donna acuta, che è anche una poliglotta ma con poca cultura, si ritaglia uno spazio identitario anche nella famiglia del marito e rispetto al resto della famiglia ha il merito di intuire il corso delle cose, il tempo che scorre a cui si adatta con intelligenza e senza pretenziose fughe in avanti, lasciando che il corso delle cose realizzi quelle che possiamo definire le sintesi naturali.
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