Letteratura
Lucia Berlin, la donna che scriveva racconti
“Cos’altro mi sono persa? Quante volte nella vita sono stata, per così dire, sul portico dietro casa invece che su quello davanti? Cosa mi è stato detto che non ho sentito? Quale amore potrei non aver percepito?”
Lei scriveva sempre. Cambiava casa e scriveva, cambiava lavoro e scriveva, combatteva contro l’alcolismo e una scoliosi e scriveva. Si innamorava e scriveva, metteva al mondo figli e scriveva. Lucia Brown Berlin, americana, durante la sua esistenza tormentata e intensa ha composto una considerevole quantità di racconti. Oggi questi scritti sono nella raccolta La donna che scriveva racconti (Bollati Boringhieri, magistrale traduzione di Federica Aceto), libro che ha convinto prima la stampa estera (“Una grande scrittrice americana”, The New York Times) e poi quella italiana (“È un libro sontuoso, stracolmo di meraviglie, vale la pena tenerlo vicino al comodino”, La Repubblica). I riconoscimenti sono giunti un anno fa, quando in America è apparso A manual for cleaning women, l’antologia che ha collocato la Berlin tra le scrittrici di classe inspiegabilmente sottovalutate in vita. Per tutti si è trattato di un madornale errore o forse di uno scherzo del destino. Sta di fatto che in poco tempo lettori, editori e giornalisti hanno inteso di avere a che fare con un talento (“Beau aveva proprio bisogno di parlare. Per me era meraviglioso ascoltare qualcuno, oltre a Ben e alle poche parole che diceva, perciò ero felice di vederlo. E poi, Beau parlava d’amore”). Penna pregevole e ironica quella di Lucia Berlin: ha raccontato per lo più esperienze personali, inventando sì, ma non troppo. Paragonata alla perizia di Raymond Carver e all’arguzia di Grace Paley, si è ispirata al quotidiano: le gag con gli amici, le stranezze nei luoghi di lavoro, gli scontri con la famiglia, la difficoltà di essere donna, moglie e madre, gli innamoramenti, certe paturnie (“Mi segue di stanza ripetendomi sempre le stesse cose. Io mi sto rincoglionendo insieme a lei. Continuo a dire che me ne vado, ma mi fa pena” oppure “Un tempo facevo la centralinista in un ospedale, parlavo tutto il giorno con vari medici che non vedevo mai”). Scritto dopo scritto, viene fuori anche l’amaro di certe esistenze, stemperato dall’ironia, vera e propria arte per la sopravvivenza. Se è buona regola vivere, sperimentare e poi scrivere, la Berlin ha fatto centro. Quando scegliamo un libro, quando lo apprezziamo, tanta parte la fa il gusto, lo so. Eppure, un buon racconto è tale e basta. I racconti di Lucia Brown Berlin sono perle. Leggere per credere.
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