Letteratura
L’ora di greco, un tempo infinito
14 Novembre 2024
Ho letto L’ora di greco non per rimediare al fatto di non aver letto niente dell’autrice, ultimo Nobel, ma perché anch’io, da adulto, ho studiato il greco antico, come la protagonista di Han kang, per immergermi nella perfezione e nel suono di una lingua che da sempre esercita il suo fascino perpetuo. E posso garantire che leggere il greco e qui e là tradurlo (con l’aiuto del Rocci, ovvio) riconcilia in qualche modo con l’esistenza, offrendo nuove sollecitazioni. Gran bel testo quello tradotto da Lia Iovinetti, edito da Adelphi.
Due solitudini che si incontrano, come quelle narrate da Han Kang ne L’ora di greco, non diventano una sola, ma generano, nell’unione, un campo sensibile di percezioni intense, raffigurate con una scrittura lieve e lenitiva, come a preservare il senso delle cose non dette e l’immagine di quelle viste in penombra. Un mutismo sintomatico, che osserva e distingue senza tradurre nulla in parole, cercando di ricostruire il suo mondo mediante un linguaggio antico; una cecità in fase di avanzamento che vede quel mondo ridursi sempre più, non avendo occhi per assorbire ciò che viene dall’esterno.
Tutto lascia pensare che si va, inesorabilmente, verso la complicanza, la tortuosità e l’oscurità, con le parole di Platone, che nell’ora di lezione di greco, suonano ammonitrici: «Questo è un luogo da cui è difficile avanzare in qualunque direzione dove regna un’oscurità impenetrabile ed è difficile trovare alcunché.» Invece, nell’aula quasi deserta di un’accademia privata, il silenzio carico di prostrazione e sfinimento della donna incrocia lo sguardo adombrato dell’uomo. E tra i due si crea l’assonanza profondissima che idealmente restituisce la parola e la luce piena, recuperate come in un sogno che non travalica la realtà, simile a un sentimento platonico, dove l’idea stessa della bellezza supera ogni forma che la contiene e ne emana i riflessi. La delicatezza raggiunta dal testo, in chiusura, è tale che le parole smettono di esprimere un senso sistematico e si fanno poesia, dove il verso innalza l’esistenza fino a un punto di salvezza. Evitare di sprofondare, quando tutto sembra essere predisposto perché ciò accada, è un miracolo della mente e dei sensi: una forma di resistenza, la cui forza risiede nella grazia e nella finezza delle percezioni che stringono alleanze e relazioni.
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