Letteratura
Lo stancante e rigurgitante privatismo narrativo
Abolire l’Io narrante non sarebbe la soluzione a una narrazione che sembra essere unicamente e solo un post più lungo del solito. Alla fine, Facebook ha fagocitato anche la letteratura contemporanea (italiana), e tanta parte della narrativa ha fattezze e contenuti da social media. Scrittori e scrittrici trovano sempre più agevole e funzionale affidare il proprio racconto a un Io, smodatamente autorale, che si mette comodo a spiattellare i fatti di una vita privata che sembra proprio tale, con risvolti, cioè, da reality show, e per questo in una forma spudorata, priva di qualunque virtuosismo letterario. Così, in molti casi, l’Io narrante, non si dissocia dall’Io narrato, sì che presente e passato diventano un tutt’uno, a mescolarsi in una dimensione temporale che non scorre, tenendo fermo il racconto a un’intenzione che non ha sviluppo se non in un linguaggio più urticante che complesso. Posso capire che a non tutti piaccia Italo Svevo e che non necessariamente bisogna aver letto la “Coscienza di Zeno” per poter scrivere un romanzo sulla distinzione dei tempi dell’Io, ma, sant’Iddio anche i fatti propri e familiari andrebbero raccontati valutando l’accaduto alla luce dell’analisi momentanea. Vedrete, anche i finalisti del premio più prestigioso della nazione, lo Strega, saranno autori e autrici che avranno strombazzato, come da protocollo editoriale, un privatismo e un biografismo di maniera. Oltre non si va. Siamo nelle mani di editori che stanno facendo della letteratura un privilegiata riserva per gente che rifugge il pensiero, senza vocazione e stoffa per sviluppare una coscienza non dico superiore, ma tale da saper raccontare diversamente da un ragioniere, una crocerossina, o un impiegato al catasto che hanno l’hobby della scrittura. Ecco, hobbisti e innamorati della figura caratterizzante del narratore e della narratrice, spesso, prendono le sembianze di autori e autrici che finiscono per guadagnare gli ambiti scaffali delle librerie, occupandoli con le loro confidenze più o meno salottiere, che non si discostano molto dalle tipiche conversazioni sotto il casco del coiffeur, o davanti allo spritz del solito bar. Qualche aggettivo in più e ben azzeccato e, voilà, le parole prendono corpo anche sulle pagine oltre a riempire l’aria del loro vuoto.
Non credo si viva un periodo in cui scarseggiano i talenti. In giro, per fortuna, ci sono anche romanzi imperdibili, spesso pubblicati da editori indipendenti, qualche volta dai grandi marchi. Per dirla tutta e senza tentennamenti di sorta, penso che gli scrittori modesti siano sempre esistiti, ma solo in quest’epoca abbiamo editori mediocri. Davvero più nessuno, o quasi, scrive storie avvincenti, sintomatiche e sorprendenti? Come si può non pensare, in un contesto sociale del genere, che il mutismo intellettuale dei romanzi editi dalle più importanti case editrici debba essere soppiantato dall’irruenza mentale di storie legate da un filo diretto all’attualità? Quale scarsa sensibilità bisogna avere per non accorgersi che la letteratura non può essere modellata sconvenientemente dalla realtà predominante, essendo essa, per sua natura, deputata a raccontarla, a deviarla e a confutarla? Rieducare alla lettura! Ecco cosa compete a un editore che, senza prescindere dalla sua funzione manageriale, ama la letteratura nella sua autenticità. Tuttavia, credo in una nuova narrativa, che, per la sua forza intrinseca, ridimensioni quella data dalle sopravvalutate esercitazioni di impostura, riproponga il valore sociale e spirituale del romanzo, intrattenga favorevolmente un pubblico di lettori esigenti e sempre più rassegnati al peggio. L’ultimo intellettuale del novecento, Edoardo Sanguineti, che ho avuto la fortuna di conoscere, ebbe a scrivere in un saggio dedicato al compositore John Cage: “Non sarebbe né importante né appassionante sforzarsi di modificare l’arte, di innovare il linguaggio, se non ci fosse, più che la speranza, la certezza che, modificando l’arte, si modifica la mente, e si può così avviare una vera e progressiva rivoluzione dei comportamenti sociali, onde pervenire a mutare il mondo, a cambiare la vita”. Ecco, partendo da qui, si giunge a contrapporre un diverso orientamento al dilagante biografismo automatico dell’ultima narrativa italiana, dove gli autori non fanno altro che soffermarsi maniacalmente sui propri ricordi, legandoli a una psicanalisi di facile consumo, mai significativamente indagatrice e da supporto per la rivelazione dei personaggi stessi. Una letteratura che si adegua alla realtà e si pone come suo prospetto, rinunciando alla sperimentazione su di essa, limitandosi a catalogarla in termini di “bello” o “brutto”, è una disciplina che ha per finalità l’inutile e buffo egotismo di chi la produce.
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