Letteratura
Nuova vita con Lloyd: un’intervista a Simone Tempia
Il periodo del lockdown ha profondamente modificato le nostre vite. Saltate le relazioni, lontani gli affetti, chiuse le vie di fuga – reali ed emotive – di confinati in casa in attesa di risposte. Sono tanti i percorsi creativi che hanno visto la luce in questo periodo e nei mesi immediatamente successivi, spesso motivati dal tentativo di trovare un senso a qualcosa di tremendamente inedito, tragicamente straordinario. Il mondo si è fermato e lo spazio ristretto delle nostre case è diventato rifugio, prigione, territorio da esplorare e, in molti casi, forse scoprire. Per quanto ristretta, infatti, la casa è diventata il nostro mondo, passando da luogo a cui voler tornare terminate le fatiche quotidiane, il turbinio delle relazioni, a spazio da cui partire, per una ricerca su di noi, al di là di schemi precostituiti. Da qui nasce “Una nuova vita con Lloyd. Ricostruire in compagnia di un maggiordomo immaginario” di Simone Tempia. Un libro che, riprendendo le fila dei surreali dialoghi esistenziali fra Sir e Lloyd, il suo fedele maggiordomo, personaggi già amatissimi dal pubblico, accompagna il lettore nella ri-scoperta di luoghi ordinari, di casa e dell’anima, in un continuo rimando fra spazio fisico e interiore, arredo e organizzazione del pensiero.
“Nonostante le buone notizie, mi sento appassire, Lloyd. Secondo me ho qualcosa che non va…”
“I sottovasi Sir”
“Cosa diamine c’entrano i sottovasi, Lloyd?”
“A volte fanno ristagnar qualcosa nel profondo e fanno marcire le piante, Sir”
“Per svuotare i sottovasi bisogna ribaltarli, Lloyd”
“Non se hanno qualche piccola apertura verso l’esterno, Sir”
“Non stai parlando solo di piante vero, Lloyd?”
“Sto parlando di tutto ciò che cresce, Sir”.
In un percorso per capitoli che si dipana, stanza dopo stanza, dall’ingresso al giardino, Lloyd e Sir ricostruiscono spazi di vita, di azioni minime, di cambiamento radicale. Un libro che con grande ironia, uno stile semplice ed essenziale, quasi aforistico, regala sorrisi, commozione e riflessioni, suggerendo, indicando, senza mai offrire morali scontate e facili soluzioni. Non vuole strappare una risata Tempia, nè accennare a possibili nuove filosofie contemporanee. Racconta la vita, nei suoi fatti minimi, con una prosa elaborata per sottrazione, attenta al dettaglio. Forse per questo Lloyd e Sir, con la loro attività di “ristrutturazione domestica”, parlano in modo diretto e intimo a ciascuno di noi. Ne abbiamo parlato con l’autore, in una chiacchierata in occasione del festival Scintille di Editoria, tenutosi a Parma nel mese di aprile.
Partiamo dalla domanda più classica e banale: come nasce Lloyd e perché hai deciso di dialogare con un maggiordomo immaginario – professione fra l’altro a oggi non così comune – tanto vicino a un filosofo?
Lloyd nasce come tutte le intuizioni felici: per caso, senza alcun preavviso, con la velocità di uno schiocco di dita. Il tema del maggiordomo mi è molto caro perché ne ho sempre voluto uno. Ma non potendo assumerne uno vero, me ne sono creato uno immaginario. Non pensavo che sarebbe stato tanto impegnativo da mantenere.
Quanto c’è di biografico nei mondi popolati da Sir e Lloyd?
Tutto. E per tutto, intendo dire… tutto.
Sir in fondo siamo tutti noi, con le nostre paure, ansie, nevrosi quotidiane. Tutti impegnati nel continuo “arrabattarsi” delle nostre vite. In questo tuo ultimo libro tutto avviene in uno spazio domestico, così cambiato e, direi, risemantizzato dal lungo periodo di reclusione forzata pandemica. Le nostre case hanno cambiato contorni e confini, così come le nostre abitudini. La letteratura, e in particolare quella che utilizza il delicato espediente dell’ironia, può aiutarci a ridefinire i nostri schemi, a ridefinirci?
La letteratura serve sempre a ridefinirci e a ritrovarci nelle pagine. Il termine ritrovarsi, peraltro, è molto emblematico. Ritrovarsi infatti non è rivedersi o riconoscersi: ritrovarsi è la soluzione a chi si è perduro. E questo è il potere straordinario della parola scritta.
I latini parlavano del “mescolare utile e dolce”, Lloyd ha molto a che fare con questo principio, forse più vicino, oggi, al mondo anglosassone che al riso della commedia di tradizione Italia. Tu come ti rapporti a questi due differenti generi e, dato che Lloyd non è, di sua natura un “ammonitore”, in cosa consiste il suo ruolo rispetto al lettore a tuo parere?
Lloyd è un punto di vista esterno che è tanto generoso quanto spietato. Come tale, nella sua stessa essenza di maggiordomo (e quindi depositario di antichi valori di eleganza che travalicano il rapporto servitore-padrone e che rimangono come lettera viva e immutabile), Lloyd si pone con lo spirito di chi cerca di sottolineare la realtà, non di modificarla. E questo, da lettore di me stesso, è a mio avviso il punto di forza del suo personaggio e della sua capacità di metterci di fronte alle nostre vere potenzialità.
La scrittura breve impone un lavoro per sottrazione, di cesello: ti va di raccontarci qualcosa su come costruisci i tuoi testi?
Penso. E penso. E poi penso. E penso ancora. Finché le parole non si vanno a mettere in ordine come cerchietti di plastica colorata all’interno dei paletti di quei giochi ad acqua degli anni 80. Il resto è controllare che quello che io abbia scritto arrivi in maniera chiara e diretta.
Se dovessi pensare ai tuoi modelli, anche non esclusivamente letterari, a chi potresti fare riferimento nel percorso che ti ha portato e che tutt’ora alimenta l’universo di Lloyd?
Giovannino Guareschi, Dino Buzzati, René Goscinny, Elio Petri, Piervittorio Tondelli, Guido Silvestri (in arte Silver) e Leo Ortolani.
Quale lavoro editoriale c’è alle spalle di Lloyd?
Il giorno che lo capirò, probabilmente smetterò di scrivere Lloyd. Per ora vivo nell’assurda convinzione che sia uno svago.
Ci sono novità in vista per il prossimo futuro? Stai lavorando a qualche progetto?
Un nuovo libro a novembre con la partecipazione, tra le pagine, di Marco Paolini. Probabilmente la mia opera più ambiziosa. Talmente tanto ambiziosa da essere leggerissima e ironica.
Ph. Elisa Contini
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