Letteratura
“Lingua, estetica della soglia”: un libro sul miracolo che abbiamo in bocca
Bizzarrie quotidiane – a dire che l’esistenza riserva infinite microscopiche interessanti e gioiose sorprese. Con la mia adorata nipotina Anna, 4enne, (per me Annele) ho da qualche mese iniziato un gioco – meglio una giocosa consuetudine – in realtà già esercitato con la sua mamma parecchio tempo fa. Senza preavviso pronuncio una parola e secondo regole non dette né tanto meno programmate lei risponde, e io ribatto: «palla», «gioco», «acchiapparello», «correre»… Ovviamente la sorpresa non è questa – ché immagino accada alla quasi totalità degli adulti a cui piace trascorrere tempo con i bambini –, la bizzarra sorte è quella di imbattersi in tempo reale in “Lingua – estetica della soglia”, lettura strampalata e profonda, dotta e leggermente “schizzata”. Ovvero un libriccino di Valeria Cantoni Mamiani edito da Fefè Editore (sì, lo ammetto, è un’amica, però giuro che i nostri rapporti sono tali per cui avrei potuto tranquillamente sorvolare evitandomi questo pezzullo).
Ovviamente Cantoni non scrive né ragiona né tanto meno si interroga sul gioco di Annele e mio, però lo fa in qualche modo suo. Insomma, terra terra, procede per più o meno libere associazioni. Ponti culturali che spaziano dalla scienza alla storia, dalla linguistica alla medicina, dall’etica alla religione, dall’arte alla musica, all’amicizia, alla psicoanalisi, su su fino all’amore, al sesso, al piacere. Viva, dinamica, molteplice come l’identità di ognuno di noi. Mai fissa. Soglia per eccellenza: «E a stare sulla soglia ci si prende gusto». Senza lingua non esisteremmo così come siamo. Perché «guardiana della soglia, è dunque l’organo che nutre, che si prende cura, che mescola, è l’organo mediatore tra il dentro e il fuori». E poi, diciamolo, nessuno di noi europei, eredi della tradizione ebraico-greco-latina che caratterizza tutti gli idiomi alfabetici, può oggi pensare ad alcunché senza pensarlo con parole. «Persino i sogni, che sono immagini, quando li pensiamo lo facciamo con parole-pensiero che danno senso alle immagini». Solamente i bambini piccolissimi possono pensare senza parole, solo immagini, e gesti e pianti e sorrisi. «Ma in pochi mesi, per imitazione e per bisogno di farsi capire apprendono che ogni cosa corrisponde a un suono che è sempre lo stesso». Così la prima parola fa la sua comparsa verso i dieci mesi; verso la metà del secondo anno sono una ventina; a venti mesi circa cento; a ventiquattro trecento, a tre anni più o meno mille. Però Valeria affronta anche le difficoltà, a iniziare dalle proprie di dizione corretta, quel maledetto frenulo linguale troppo corto… storie personali, aneddoti, e Alejandro Jodorowsky. E Mosè rabbenu, “impacciato di bocca e di lingua”. Come può Mosè farsi profeta, cioè soglia tra Dio e il suo popolo? Se è vero che balbetta, che è duro di lingua, se è vero che inciampa nel parlare, è altresì vero che sa ascoltare. E per comprendere in modo tale da poter trasmettere, l’ascolto è dote primaria.
Associazione per associazione, la Valeria che conoscevo stiff e elegantemente professorale salpa verso il mare dell’eros e della passione: «Con la lingua ci si riconosce, in un bacio appassionato, attraverso la lingua e la saliva, ci si scambiano ormoni, si confondono (fondono insieme) desiderio e fantasie». Da qui, infine, un viaggio attraverso la lingua (spesso epistolare) degli amanti: Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir, Paul Celan e Ingeborg Bachman, Tolstoj e Sonja, André Lou Salomé e Rainer Maria Rilke. Poi ancora associazioni e associazioni, e associazioni.
La piccola Annele e io abbiamo ancora un’infinita strada da percorrere insieme.
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