Letteratura

‘L’infanzia di Hans’, il primo volume de ‘Lo splendore’ di Pier Paolo Di Mino

30 Agosto 2024

‘L’infanzia di Hans’ di Pier Paolo Di Mino (Laurana Editore), è il primo volume de ‘Lo splendore’. È un romanzo dai colori ottocenteschi. Da questo primo romanzo è già evidente che ‘Lo splendore’ promette di essere una di quelle saghe la cui incarnazione principale sono i personaggi, con tutto il loro carico di ansie e di bisogno di senso, che animano tutto il racconto. Un’opera che promette, per i prossimi volumi, solo di crescere in ritmo e intensità. L’autore, infatti, ha concepito la storia di Hans Doré in una serie di libri. Dovrebbero essere altri cinque o sei. Una storia totale, dentro cui si mescolano generi, trame, epoche, dogmi, significati e significanti, quindi perfettamente adatta a tutti coloro che amano la letteratura in tutta la sua vastità. E per orientarsi in quest’opera così vasta serve una mappa. Essa è fornita dal ‘Libro azzurro’, un libro che muta di continuo negli occhi di chi lo guarda, una sorta di specchio dei secoli, perché le vicende di questo primo volume partono da Berlino, anno 1911, per poi procedere a ritroso, fino agli avi di Hans Dorè, figura centrale e propulsiva di tutta l’intreccio narrativo.

Una saga. Questo primo volume si presenta come racconto promiscuo, in cui è possibile trovare mescolati, così come ci si presentano nella vita, storie di ogni sorta, avventurose, intime, drammatiche, comiche, orrorose, sentimentali, erotiche, mistiche, esoteriche. Tutto muove da una profezia: nel 2030 l’umanità è destinata a estinguersi se il vero re non la salverà. La trama di questo primo romanzo si estende per generazioni, andando indietro nel tempo, mescolando testo profetico, storia filosofica e magica insieme, esoterismo e mito, crimine e santità. Tutti questi elementi collaborano sapientemente a creare un clima di attesa per il messia che verrà. E la fila dei personaggi che collaborano alla creazione del salvatore è lunga nella sua genealogia diretta e indiretta. Questi personaggi si chiamano: Gustav e Joseph Idel, Clea, Gérard, Hermine, Fassbinder e Bilia e Hausherr, Kaiser e il Libraio. Ma soprattutto la storia ruota attorno a tre libri che non esistono.

Tre sono i capisaldi della costruzione letteraria de ‘Lo splendore’, tre libri immaginari che non ha scritto nessuno, libri che se qualcuno aprisse vedrebbe solo pagine bianche. Tre libri dal titolo misterioso: «Acque morte», dove è nascosto il destino materiale della trama del romanzo, che del romanzo è il corpo; «Il re degli zingari», dove è nascosto il destino spirituale del romanzo, che del romanzo è lo spirito; «Il libro azzurro», dove è nascosto il destino animico del romanzo, che del romanzo è l’anima. Corpo, spirito, anima. Sono queste le tre dimensioni che proiettano l’uomo verso la divinità e verso la nozione di sacro, quindi verso la salvezza, a cui l’uomo stesso, in quanto essere spirituale, è chiamato. «Il libro azzurro», in questa costruzione, è il luogo al centro degli altri due libri inventati, è il luogo dove si riflettono le loro immagini, immagini che, nel loro insieme, costituiscono l’intero ciclo de ‘Lo splendore’.

L’opera letteraria di Pier Paolo Di Mino si aggancia a un ciclo figurativo, perché, lascia intendere l’autore, solo vedere è sacro. Nasce da questa intuizione la necessità di far sì che la cattedrale di parole del romanzo, nei suoi sette volumi, si rifletta in una cattedrale di immagini. Le immagini e le figure di tutto il ciclo de ‘Lo splendore’ sono a cura di Veronica Leffe, impegnata con la sua arte a dare corpo, sulla pagina Facebook del ‘Libro azzurro’, a ognuno dei frammenti immaginari dei tre libri che non sono stati mai scritti, quelli su cui poggia l’intera architettura dell’opera letteraria. È sempre a cura di Veronica Leffe anche l’edizione del ‘Libro azzurro’ che si può acquistare online, libro la cui ispirazione è vastissima, in quanto ambisce a contenere davvero tutto. D’altronde serve proprio fare ricorso all’elemento figurativo per dare piena coloritura alle narrazioni bibliche e pre-bibliche richiamate in tutto il testo di questo primo volume de ‘Lo splendore’.

Dietro l’opera di Di Mino c’è un pensiero. E’ quello della bellezza, una bellezza, che per stessa ammissione dell’autore del libro “ci inchioda, si impossessa di noi, ci eleva spiritualmente, ci avvicina alla visione della realtà”. E i richiami letterari a questo pensiero sulla bellezza sono moltissimi, a cominciare dagli Hypnerotomachia Poliphili. Pubblicato nel 1499, è considerato il primo libro illustrato delle storia. Perché la bellezza trascende le forme, e non è sufficiente a richiamarla solo il costrutto del testo, la cura nell’impaginazione e nella costruzione della prosa, serve altro, serve scatenare tutti i sensi, tutti quelli che un testo può arrivare a coinvolgere. Ecco il contributo dell’arte illustrata e del ‘Libro azzurro’, con una convinzione di fondo, che più su della bellezza ci sia la salvezza, e che possa esistere una bellezza che salva quotidianamente dall’annichilimento prodotto nell’uomo da tutto ciò che è esattamente contrario all’idea di bellezza che dovrebbe stare alla base di tutto.

L’altro tema che emerge fortemente dalla lettura del romanzo di Pier Paolo Di Mino è quello della realtà, perché in fondo cosa sappiamo di essa? Questa è una riflessione che è stata particolarmente significativa a cavallo tra Ottocento e Novecento. Nell’Ottocento, con la rivoluzione industriale, la tecnica si è affermata come strumento principe per la conoscenza e il dominio del mondo. Nel passaggio al Novecento ci si è accorti che il realismo ottocentesco non riusciva a soddisfare il bisogno di senso che emergeva dal profondo dell’animo umano, e che l’esperienza risultava frammentata e dispersa, che la realtà reale sfuggiva alla presa. Così Joyce, Proust, Döblin, Hesse, Canetti e altri tentarono un romanzo nuovo, vorace, spirituale, strabordante dalle forme canoniche. ‘Lo splendore’ di Pier Paolo Di Mino si colloca in questa tradizione modernista, riuscendo a tenere insieme anche le grandi narrazioni bibliche e prebibliche, la sapienza cabalistica e alchemica.

Il richiamo al ‘Libro dello splendore’ è evidente. Lo Zohar è un testo profetico ebraico, il libro più importante della tradizione cabalistica. Giulio Mozzi, nella sua postfazione al libro, chiarisce che ‘Lo splendore’ non è una riscrittura dell’antico Zohar, è a tutti gli effetti un romanzo. “Ma è un romanzo nel quale l’autore ha fatto precipitare – nel senso chimico della parola, ma lui direbbe alchemico – decenni di letture vaganti e stravaganti: non solo la Bibbia, non solo Platone e i neoplatonici, ma anche il Gilgamesh, i libri vedici, Giulio Camillo Delminio, mezzo catalogo Adelphi, e naturalmente i grandi scrittori mitteleuropei sempre in sospeso tra il mistico e lo scientifico, come Thomas Mann, Robert Musil, Hermann Broch, Carl Gustav Jung e altri. La sua mente, rimestando in questi immaginari, e per così dire montandoli ha concepito e prodotto un’opera nella quale c’è, in una parola, tutto”. Un’opera tutta da leggere.

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