Letteratura

Letteratura e Resistenza, cinque romanzi da rileggere

20 Gennaio 2020

Come molti altri studenti della facoltà di Lettere ho avuto modo di incontrare la letteratura partigiana in un periodo particolare della mia vita, quello della gioventù, tra passioni e ribellione, libertà e affannate letture. Durante le ore di lezione era difficile stare attenti, le aule universitarie sono un’arma di distrazione di massa, ma nei momenti trascorsi in biblioteca o a casa, chini sulla scrivania, si poteva capire almeno il perché di così tanti scritti risalenti al periodo che copre l’arco che va dal 1944 al 1950. Molti degli autori che scrivevano di Resistenza erano stati a contatto con la guerra, ne erano fuggiti, ne erano rimasti vittime consapevoli, soprattutto avevano vissuto in condizioni totalmente diverse da quelle che li vedranno poi artefici del proprio destino – e di quello della letteratura italiana – in un dopoguerra in cui anche il mondo editoriale poteva tirare un respiro di sollievo e ricollocare le proprie forze negli ambiti più congeniali.
Durante gli anni più duri della lotta al fascismo, i giornali che uscivano saltuariamente servivano per tenere coeso il pensiero politico che accomunava molte delle bande partigiane. Venivano commentati avvenimenti politici, militari, nazionali o internazionali (ma anche locali); si parlava di antifascismo ma c’era spazio anche per poesie e composizioni, i partigiani collaboravano coi giornali e in questo caso si trovavano a fare la storia due volte, sul campo e nel territorio linguistico-letterario in cui potevano fare da contraltare al revisionismo culturale manipolato dal fascismo. Non è un caso che esperienze bellissime di letteratura partigiana provengano da autori piemontesi, toscani, veneti, connotati da una forte individualità e appartenenza linguistica. Molti testi sono stati raccolti e pubblicati una volta finita la guerra soprattutto grazie all’interessamento delle sezioni locali dell’ANPI, si tratta di ex-comandanti, semplici partigiani più o meno colti, azionisti o comunisti che si rivolgevano ad un pubblico antifascista per inclinazione o perché aveva fatto parte delle stesse battaglie non solo ideali.
Gli scrittori-partigiani ovviamente presumevano che il realismo fosse per loro la spina dorsale del loro lavoro letterario, era la loro dichiarazione poetica, tendevano sì a descrivere un personaggio partigiano, ma ancor più a porre attenzione all’azione vera e propria, il vero atto di Resistenza connotativa. Ora, con molta umiltà di fronte a quelli che personalmente considero come miei personali eroi letterari, vi propongo alcuni testi la cui lettura molto spesso può soppiantare o forse meglio dire può completare l’esperienza di studi, saggi o analisi su uno dei periodi storici cardine della storia italiana.

Una questione privata, Beppe Fenoglio, 1963 (pubblicato postumo) – In questo romanzo – credo sia irrinunciabile leggerlo – si parla di due tipi di guerra, una personale e una civile. Personaggio principale è Milton, un ventenne partigiano che ama Fulvia. Questa è la sua prima connotazione che ci trasmette Fenoglio, Milton ama ma non sembra essere ricambiato, anzi, la vecchia guardiana della villa in cui Fulvia abitava gli dice che la ragazza era attratta da Giorgio, amico di Milton e il giovane, sconcertato decide di partire alla ricerca del vecchio amico. Il tutto comprensibilmente si svolge all’ombra della guerra, delle lotte partigiane fatte di pioggia, freddo, fame, paura, si svolge una guerra tra gli uomini e una guerra interiore, che sottintende l’esplodere di emozioni e sentimenti che in un periodo come quello successivo all’8 settembre 1943 sembravano essere diventati solo sconcerto e incertezza.
Citazione: Sono fatto di fango,dentro e fuori. Mia madre non mi riconoscerebbe. Fulvia,non dovevi farmi questo. Specie pensando a ciò che mi stava davanti. Ma tu non potevi sapere cosa stava davanti a me, ed anche a lui e a tutti i ragazzi. Tu non devi saper niente, solo che io ti amo. Io invece debbo sapere, solo se io ho la tua anima. Ti sto pensando, anche ora, anche in queste condizioni sto pensando a te. Lo sai che se cesso di pensarti, tu muori, istantaneamente? Ma non temere, io non cesserò mai di pensarti.

Beppe Fenoglio

Il sentiero dei nidi di ragno, Italo Calvino, 1947 – Italo Calvino ci racconta la storia di Pin, un bambino che vive in mezzo ai grandi e abita con la sorella, che fa la prostituta e non si occupa di lui. È lui che ci porterà a conoscere partigiani diventati personaggi letterari come Lupo Rosso, ma anche Cugino, Pelle, Mancino, Beretta di Legno e Labbra di bue che fanno parte della “banda del Dritto”. Nei sentieri dei nidi di ragno c’è una figura forse più importante delle altre a cui viene dedicato un intero capitolo, ma anche l’intera opera calviniana. Nella trama il personaggio si dimostra profondamente convinto del suo importante ruolo di comandante delle truppe partigiane. Appare tardi sulla scena, arrivando la notte prima della battaglia e porta dentro la freddezza della guerra il bisogno di riflettere sulle motivazioni profonde che animano partigiani e repubblicani. Egli riconosce che entrambi gli schieramenti credono di essere nel giusto, ma che solo i partigiani lo sono. Sa che c’è bisogno di certezze, ma non può rinunciare alle domande, soprattutto a quelli più radicali. Kim, tra l’altro, esiste davvero, è stato amico di Calvino, il partigiano Ivar Oddone, che diventerà un famoso medico nel dopoguerra.
Citazione: C’è che noi, nella storia, siamo dalla parte del riscatto, loro dall’altra. Da noi, niente va perduto, nessun gesto, nessuno sparo, pur uguale al loro, m’intendi? uguale al loro, va perduto, tutto servirà se non a liberare noi a liberare i nostri figli, a costruire un’umanità senza più rabbia, serena, in cui si possa non essere cattivi. […] Questo è il significato della lotta, il significato vero, totale, al di là dei vari significati ufficiali. Una spinta di riscatto umano, elementare, anonimo, da tutte le nostre umiliazioni.

Italo Calvino

I piccoli maestri, Luigi Meneghello, 1964 – Siamo in Veneto, nella zona dell’altopiano di Asiago e poi a Padova. La voce narrante è quella dell’autore stesso, del protagonista, alla prese con la guerra partigiana. È un romanzo che discosta dai precedenti, non tanto per il tema affrontato, quanto per un’alternativo punto di vista dell’effettiva azione dei partigiani, qui alle prese con la precarietà, impauriti dalla morte, affamati. Meneghello racconta di contrasti interni ad una banda ancora “primitiva” sulla cui effettiva importanza spesso si divaga o si ha dei dubbi, salvo poi prendere parte all’azione scendendo nelle valli e nei Colli Berici, agendo poi anche a Padova dove il protagonista ha studiato filosofia e dove conoscerà anche l’amore. L’esperienza de I piccoli maestri è un chiaro esempio anti-retorico sulla vicenda dei partigiani nella Resistenza, in contraddizione con la tradizione neorealista condivisa dalla maggioranza degli “scrittori partigiani” degli anni precedenti.
Citazione: L’unica cosa su cui potevamo orientarci, in mezzo al paese crollato, era quella che faceva di noi un gruppo, il legame con l’opposizione culturale e intellettuale. Noi la conoscevamo solo in qualche persona e in qualche libro; ci sentivamo soltanto neofiti e catecumeni, ma ci pareva, che ora toccasse proprio a noi predere questi misteri e portarceli via dalle citta contaminate; dalle pianure dove viaggiavano colonne tedesche, dai paesi dove ricomparivano, in nero, i funzionari del caos. Portarci via i misteri, andare sulle montagne.

Luigi Meneghello

Fausto ed Anna, Carlo Cassola, 1952 – Ecco la Toscana, Volterra nelle colline della Maremma toscana (uno dei luoghi simbolo dell’esperienza narrativa di Cassola). Anche in questo caso troviamo l’amore intrecciato alle vicende storiche. Un amore che corrisponde agli anni della Resistenza, che si complica, si corrobora e si fa più debole con il passare del tempo. Protagonisti sono Fausto ed Anna, ancora giovani negli anni 30, ormai maturi e totalmente cambiati negli anni della guerra. Si tratta di un romanzo, anche in questo caso, anti-retorico, in cui vi è un bellissimo passaggio in cui Fausto, da partigiano, si interroga sui metodi cruenti adottati dai suoi compagni lontani da “principi morali, ma votati alla violenza, dettata dallo spirito di vendetta”.
Citazione: Era un gioco molto bello, questo della guerra. Io avevo diciott’anni e mi ci sono divertito assai. Era divertente mettersi lo Sten a tracolla e le bombe a mano alla cintola. E ancora più divertente sparare. Ma, vedete, non era un gioco la guerra. Ci siamo sbagliati. Guardate i miei occhi vitrei, la bava sanguigna che mi esce dalla bocca, e quest’orribile colore giallo sparso per tutto il mio corpo! Credevamo di giocare, ed era invece una cosa terribile, spaventosa! Smettete, ragazzi, voi che siete in tempo!

Carlo Cassola

La casa in collina, Cesare Pavese, 1948 – La storia è quella di Corrado, un professore di Torino che si rifugia sulla collina dove soggiorna presso due donne molto premurose nei suoi confronti: Elvira e la madre. Corrado si abitua alla vita quotidiana della piccola realtà in cui si trova, conosce e interagisce con la gente semplice dell’osteria e ritrova anche Cate, una donna per cui aveva provato dei sentimenti in passato ma che “non era riuscito” ad amare. Cate ha un figlio, Dino, con cui il protagonista inizia a passare del tempo e in cui rivede se stesso, sospettando persino di esserne il padre. L’8 settembre 1943 arriva l’annuncio dell’armistizio e dopo la spensieratezza iniziale e la gioia si passa a mesi di angoscia, fino a quando i tedeschi non arriveranno in collina e cattureranno molte persone vicine a Corrado. Ritornando a casa, sulla collina, il protagonista incappa in un’imboscata partigiana e la vista dei cadaveri dei fascisti gli suggerisce profonde riflessioni sul senso della guerra, dell’esistenza umana che si aggiungono ad una crisi personale che, almeno nel romanzo, non troverà scioglimento.
Citazione: Ci sono dei giorni in questa nuda campagna che camminando ho un soprassalto: un tronco secco, un nodo d’erba, una schiena di roccia, mi paiono corpi distesi… Io non credo che possa finire. Ora che ho visto cos’è la guerra, cos’è la guerra civile, so che tutti, se un giorno finisse, dovrebbero chiedersi: – E dei caduti che facciamo? Perché sono morti? – Io non saprei cosa rispondere. Non adesso, almeno. Né mi pare che gli altri lo sappiano. Forse lo sanno unicamente i morti, e soltanto per loro la guerra è finita davvero.

Cesare Pavese

Non solo uomini però nella Resistenza hanno agito e hanno scritto. Non possiamo dimenticare Renata Viganò con L’Agnese va a morire, la storia, straziante e tragicamente reale di una organizzatrice di staffette nei tempi che precedono la liberazione della Valle di Comacchio. Una donna partigiana che rende giustizia al servizio delle tante figure femminile impegnate nella lotta.
Citazione: L’Agnese disse: – Dopo sarà un’altra cosa. Io sono vecchia, e non ho più nessuno. Ma voialtri tornerete a casa vostra. Potrete dirlo, quello che avete patito, e allora tutti ci penseranno prima di farne un’altra, di guerre. E a quelli che hanno avuto paura, e si sono rifugiati, e si sono nascosti, potrete sempre dirla la vostra parola; e sarà bello anche per me. E i compagni, vivi o morti, saranno sempre compagni. Anche quelli che non erano niente, come me, dopo saranno sempre compagni, perché potranno dire: ti rammenti questo, e quest’altro? Ti rammenti il Cino, e Tom, e il Giglio, e Cinquecento… – Con quei nomi di morti, si rimisero a parlare di loro, ma non della morte: ne parlarono coi ricordi di prima, come se fossero vivi.

Renata Viganò
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