Letteratura
Lettera a un uomo del futuro
L’uomo del futuro sarà una donna, sarà una ragazza, sarà una vecchia: avrà un colore biscotto, color avana, capelli neri e ricci, capelli bianchi e crespi. Si chiamerà Axa, o Niobe, o Bela; si chiamerà Maria. Avrà diciassette anni nel duemilaquarantanove, sarà la nipote di mia nipote, sessantenne nel duemilaottantatré, nonna di bambini sconosciuti.
Come camminerai spavalda e tesa, sicura della tua bellezza tranquilla, mia ragazza del futuro, figlia di mia figlia di mia figlia: come andrai incontro al tuo amore sospeso tra idea e carne, tra timore e desiderio. Con quali parole gli dirai il tuo bene, parole antichissime e nuove di lingua straniera, e come per poco ti tremerà la mano nella sua, come premerai il seno giovane sulla sua giacca. Gli dirai cose belle, lo bacerai sulla bocca come hanno fatto tutte le donne del mondo da sempre, ma voi nuovi e per sempre: unica la tua voce, che si perderà nell’aria altissima, lontana negli spazi; uniche le parole che tu sola avrai inventato con il tuo accento, con il timbro speciale di un suono che cresce.
Le ho dette anch’io le stesse parole, le mie, che rimarranno identiche e diverse: le ha dette la nonna che sarai, uguale e differente da te. Eccola seduta nel parco a leggere un libro, e inforca gli occhiali e li toglie e li rimette. Guarda i bambini intorno, i vecchi come lei; cerca nelle facce segnate le rughe dell’uomo che ha amato di più e lo pensa e lo pensa. I suoi pensieri rincorreranno i tuoi, ragazza del duemilacinquanta, faranno loro compagnia. Si intrecceranno, i pensieri di tutti, i miei passati, i tuoi vivi vivaci, quelli di chi verrà e non lo sa ancora. Godi ogni momento, Bela Niobe Axa, non essere indifferente a nulla, ragazzina dai capelli neri e ricci che avrai già visto tante cose, pensato tante cose. Controlla ogni passo che farai, che si appoggi consapevole al selciato, cosciente del cammino che compie – di qua, di là – e vola, e alzati sempre, in alto in alto; mia cara.
Dai a lui tutte le carezze che puoi perché non saranno sprecate, dagli il bene che sai e non pentirtene: ma poi torna in te, torna a te, recupera il tuo attimo, quello tuo solo tuo, segnalo della tua impronta, non lasciarlo sospeso e anonimo. Vai leggera verso casa, sali al tuo appartamento che non so immaginare, saluta chi ti è vicino e non so immaginare. Poi entra nella tua stanza a ripensarti il giorno che hai vissuto, affacciati al balcone e guarda quello che è sotto ed è di tutti. Fallo tuo col tuo sguardo; la gente colorata, l’erba verde, le montagne bianche sullo sfondo. Parla ai gerani che innaffi, aiutali a crescere con le tue attenzioni, e poi pàssati una mano tra i capelli, prova a cantare una canzone di moda. Fai ciao con la mano a chi guarda in su, regala la tua bellezza e i tuoi pochi anni a quelli che distratti ti passano accanto, non si accorgono di te o se ne accorgono in ritardo, e gli dispiace. Perché ci sei, per fortuna, esisti, miracolo che potevi non esserci. E invece eccoti qui, ragazza; ci sei perché c’è stata tua madre, tuo nonno, una amore, una scimmia, una violenza. Ci sei e potevi non essere, sarebbe bastato un gesto, un ritardo a un appuntamento, una leggera antipatia. Invece sei la parola benedetta, sesamo che ha schiuso una possibilità: futuro mio, di chi ti ha voluto, e del mondo impassibile. Ci sei Niobe, ci sei Maria coi capelli bianchi e coi denti finti, tutti uguali e perfetti, sorriso che teme il rifiuto dell’universo. Ma spegni il video, nonna, spegni la radio che suggerisce sciocchezze per incantarti, ed esci, vai fuori a trovare la gente, parla a chi non conosci. Diranno di te che sei strana e svampita, diranno che sei matta. Ma tu continua imperterrita, mia nonna del futuro, mia antica Maria dai capelli bianchi e crespi. Racconta a chi ti siede vicino la vita che hai fatto, e come hai lottato contro la stupidità, la paura del giudizio altrui.
Parla di quella volta che ti hanno licenziato dall’ufficio perché te ne eri uscita prima, senza dare una spiegazione, senza chiedere un permesso, e al capo indignato stupefatto avevi risposto serafica: «Così, non so perché l’ho fatto, era una bella giornata, avevo voglia di camminare guardando i negozi…»; oppure di quando hai annunciato a tuo marito che eri incinta, che vi sarebbe nato un figlio, e lui ti ha risposto: «Davvero? Ma dici davvero? Davvero?», e non sapeva dire altro, non sapeva fare altro. Di’ pure che hai amato, che hai patito: non sei stata avara di sentimenti e di saluti, senza occuparti del percento di resto, di quanto ti veniva restituito. Vantati di aver imparato l’ebraico a cinquantadue anni per poter leggere l’Ecclesiaste, racconta che suoni il liuto anche adesso che le mani ti tremano: fai le scale, esercizi, solfeggi. E tutto questo non serve a niente, a nessun altro che a te. «Perché lo fai? – ti chiedono – Perché è bello», rispondi.
Loro, che rimangano nei loro uffici ordinatissimi, che ballino nelle loro discoteche abbagliate, che si vestano firmati dal niente, occupando tronfi cervelli abitati da idee altrui. Sprechino i loro sonni in conticini assurdi, dove investire dove disinvestire; si divertano a comando, tutti insieme, hop! hop! hop!, a facciano l’amore su ricetta, il giovedì e la domenica sera.
Ma tu, antica donna del futuro, matriarca santissima, salvati adesso e ancora, perché ti sei già salvata la vita con tutta la tua vita di prima; sii diversa e libera il mondo dal male, il pezzetto di mondo che conosci, esorcizzalo, guariscilo. Alzati dalla panchina dove sei seduta, metti via il libro che stavi leggendo, rassettati la gonna a pieghe, fai scivolare la mano sui capelli bianchi, che tu sia tutta a posto e bella a vedersi per chi ti passa vicino, cammina dritta guardando negli occhi la gente, antica Maria benedetta, attraversa il parco lentamente e sicura. Poi, quando sarai arrivata sul viale, alza la faccia e osserva che c’è una ragazza al balcone di un palazzo giallino. Vedi com’è color biscotto e che capelli ricci e neri ha, forse si chiama Axe o Niobe o Bela, sta annaffiando gerani rossi che scendono fitti nel verde e allegri, probabilmente canta. Falle un cenno con la mano, a quella ragazza del futuro che adesso ti guarda e ti fa ciao e sorride. È tua nipote, è tua figlia, sei tu quando avevi diciassette anni. Come sei cresciuta e invecchiata, come sei giovane ed eterna.
Salute, donne del futuro, uguali e diverse; vi siete incontrate di nuovo, per caso, per necessità; sarete un’unica cosa quando non ci sarete più, sarete il tutto, sarete il niente che verrà.
In Qualcosa del genere, Italic Pequod, Ancona 2018
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