Letteratura

“L’età fragile”. Il silenzio che scava abissi

3 Gennaio 2024

L’età fragile di Donatella Di Pietrantonio (Einaudi, 2023) è un romanzo basato sulla centralità del silenzio, una barriera che separa le persone, impedisce agli affetti di esprimersi e manifestarsi. È lui il vero protagonista della storia narrata, il demone che rende fragile ogni età della vita.

La vicenda prende spunto da una violenza che si è consumata tra le montagne abruzzesi, una tragedia che travolge la comunità e lascia segni pesanti sulle vite di tutti. Sullo sfondo di questa dolorosa esperienza, si innestano sofferenze personali che segnano le esistenze e procurano ferite immedicabili.

Tra drammi collettivi e individuali, si insinua lui, il silenzio, che paradossalmente amplifica il peso delle storie di ognuno. Si tratta di un silenzio che paralizza slanci affettivi, cristallizza il passato, inibisce chiarimenti, disgrega legami, scava abissi.

La voce narrante è quella di Lucia. La prima cosa che lei mette in evidenza è l’assenza di un rapporto concreto e comunicativo con la figlia Amanda, improvvisamente ritornata a casa dopo una disavventura, che la madre solo più avanti scoprirà. La ragazza non dà spiegazioni e non tollera domande; piange, ma dice chiaramente alla madre: non chiedermi niente (p.15). Lucia ignora molte cose di Amanda: io non so cosa dire di mia figlia (p. 21). Madre e figlia comunicano attraverso frasi scritte su foglietti e anche sulla carta l’impulso naturale a manifestare i propri sentimenti verso Amanda, viene subito represso da Lucia: aggiungo un cuore per lei, che subito cancello (p. 6). Si tratta di una vera e propria paralisi della comunicazione. Lucia ne è consapevole, ma non sa fronteggiarla: restituisco silenzio a silenzio (p. 26). Come madre si pone interrogativi, sa che dovrebbe costruire un legame più solido con la figlia, ma le mancano le parole e Amanda, d’altra parte, non si confida con lei. Resta solo una profonda amarezza in Lucia: non accetto che mia figlia faccia a meno di me. La sua rinuncia è il mio fallimento (p. 174). E alla incolmabile certezza della distanza, forse appesantita anche dai contrasti generazionali, si aggiunge  una sottile paura per il giudizio sferzante con cui i figli attribuiscono colpe ai genitori: a un certo punto perdiamo la presa sulla vita dei figli. Vanno da soli e ci guardano spietati (p. 96). Amanda, infatti, colpevolizza Lucia per la separazione dal padre, Dario: ti ha lasciata e nemmeno te ne sei accorta (p.97). Non entra nel merito dei disagi coniugali, Amanda, ma fa ricadere sulla madre la responsabilità del non accorgersi: vivere insieme non basta, insomma. Amarsi è un’altra cosa e Amanda è su questo che insiste.

A dispetto dei loro nomi parlanti – Lucia, colei che dovrebbe “illuminare” il percorso di crescita della giovane figlia e Amanda, la figlia appunto da “amare” al di là della ruvidità del carattere – le due donne non riescono a trovare un terreno comune sul quale gettare le basi per un possibile dialogo. Con lucidità Lucia ammette infatti: ciò che vale per me, conta così poco per mia figlia (p.172). Anzi, quando Amanda parte e va a lavorare a Jesi per un breve periodo, incerta se riprendere gli studi (non è una laurea a decidere chi sei, p. 172), con vergogna Lucia dice a sé stessa: per un mese sono libera dalla responsabilità, un sollievo. Sono libera da lei (p.174). In questo romanzo non sono messi in discussione i sentimenti, bensì domina l’incapacità di esprimerli. Lucia ama la figlia, (la amo. Più di tutto la amo, p. 174), ma non sa dirglielo.

Parte da lontano questa incapacità. Parlando del padre, Lucia nota che non conosce parole d’affetto (p.108) e ricostruendo la storia dei genitori osserva: mi hanno concepita restando muti, lui per ignoranza, lei per pudore (p.108).

Il silenzio è il muro che separa Lucia anche dall’ex marito, Dario, con il quale spera segretamente che possano esserci possibilità di riavvicinamento, ma il silenzio, appunto, scava siderali distanze: tra loro ci sono ormai solo sguardi mancati, indifferenza. Lucia lo sa bene: ci stiamo perdendo così, senza passione e senza sangue. Non so quanti chilometri restiamo zitti. (p.99). È questo il peso dell’incomunicabilità. Sembra di vedere Gli amanti di Magritte, due volti separati da un drappo bianco che impedisce loro anche i gesti più naturali: guardarsi, baciarsi. Per Donatella Di Pietrantonio quel drappo è il silenzio, i troppi non detti.

C’è in questo romanzo un’immagine che sintetizza il peso del silenzio: a Napoli, durante una gita che Lucia, ragazza, fa con la madre, le due donne si fermano a vedere il Cristo velato. La madre lo osserva in raccoglimento. È il velo che la colpisce, non il volto del Cristo morto: è proprio un velo, ma di pietra (p.154).

Il silenzio è impalpabile, ma può essere di pietra.

(Cfr. https://laprofonditadellecose.blogspot.com/2024/01/donatella-di-pietrantonio-leta-fragile.html)

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