Letteratura
L’esistenza oltre l’amore e il dolore, ovvero “Mi limitavo ad amare te”
Quando ho aperto per la prima volta “Mi limitavo ad amare te”, scritto da Rosella Postorino ed edito da Feltrinelli, l’ho fatto con l’intenzione di scorgerne la frase iniziale per poi richiuderlo. Ma sono andato ben oltre la mia curiosità, e come se avessi spalancato una finestra sulla meraviglia ho preso a leggere annullando ogni distanza tra me e il corpo scritto che reggevo tra le mani. Mi son trovato, dopo un attimo, di fronte a una scena che in maniera immediata mi ha scosso, portandomi a scorrere le parole con una partecipazione emotiva piuttosto inusuale. Eppure, stavo solo alla seconda pagina! Sarà pur vero che la bellezza è in ogni cosa, ma in quelle poche righe, semplici e così interpretative, ne avevo riscontrato una quantità talmente significativa che la mia empatia di lettore nei riguardi dei personaggi è venuta ad assumere un segno sbalorditivo: mi era rimasta impressa a fuoco, sulla pelle, l’immagine densa di un’amorevolezza infinita, descritta senza deviazioni, consentendo di vederne il fotogramma in simultanea con la lettura.
Un “frame” d’apertura che ha del sensazionale, tanto da rendere perfettamente conto, in men che non si dica, di come la passione infantile per la propria madre possa corrispondere a un sentimento di tenerezza senza eguali. Mentre sul piano corrispondente trapela con grazia il tratto incisivo dell’amore materno, il più sacro dei vincoli affettivi. Un amore assoluto, di un livello superiore, che non ha bisogno di essere conquistato, tanto meno meritato, la cui presenza o assenza, spesso determina il futuro. La scena in argomento contempla una madre che rincasa, il figlio di dieci anni che l’attende con ansia e una lattina di Coca-Cola compressa che assurge alla funzione di palla da calciare. Tutto qui. Fin troppo per appassionarmi irrimediabilmente a una lettura che si è rivelata invogliante negli alternanti “piani sequenza” dei protagonisti in crescita, tanto diversi quanto indissolubilmente legati tra loro. Poco importa distinguerli, dopo averli inquadrati e centrati. Che Omar sia il più fragile, Danilo il più avveduto e Nada la più profonda è solo un semplice dettaglio che non aumenta o diminuisce la loro sofferenza rispetto alla guerra da cui sono stati allontanati per essere consegnati a una reale possibilità di salvezza.
Sono tutti e tre l’uguale e similare prospetto di una Sarajevo dilaniata e deformata, da cui sono stati strappati per non rappresentarne l’emblema dell’atroce supplizio. Ma, evitare di essere la testimonianza aberrante di un luogo non garantisce un’esistenza facile altrove: questo è il nodo cruciale dell’esplorazione letteraria di Postorino, che al di là dei temi specifici intorno agli affetti e ai legami forti, si dispone come un romanzo universale. Che ne è stato e che ne è delle generazioni di bambini portati via dai paesi dei Balcani durante la guerra degli anni Novanta? L’autrice, attraverso una rinnovata potenza creativa, di cui la letteratura contemporanea italiana ha assolutamente bisogno per entrare in una dimensione finalmente alta, fornisce, da par suo, non la risposta e neppure degli elementi semplicemente descrittivi che si prestano a cercarne una, ma una sensibilissima percezione del dolore e del disagio, attraverso cui si snoda un percorso di formazione, o di deviazione. Ecco, Rosella Postorino rivela al mondo, con grazia naturale e dovuta pertinenza, l’intimità di bambini, o poco più, che dalla Sarajevo bombardata giungono in Italia per diventare figli adulti e a loro volta genitori. E qui la premura della cura, nell’ambito di un concetto di genitorialità, diventa alternativa alla titolarità della creazione. Un concetto che, alla luce di quanto accade nel mondo, vale la pena di adottare.
Un romanzo del genere estende la sua inerenza ben oltre l’ultima pagina scritta e rimanda all’orrore di ogni latitudine, che si manifesta regolarmente, ogni giorno e in qualsiasi momento. Le conseguenze di ordine psicologico di intere generazioni, dovute all’incessante assedio che divora anima e cervello di chi abita il luogo di una guerra, rappresentano quanto di più terribile e devastante un conflitto sia in grado di generare tra la popolazione costantemente attaccata, asserragliata, tenuta sotto il fuoco nemico. E, qui, va bene un dato, ancora più assurdo per le sue dimensioni: sono 50 milioni i bambini, nel mondo, sradicati dal paese di origine e costretti a fuggire dalle proprie case a causa dei conflitti e a emigrare nella speranza di trovare un futuro migliore.
Ecco perché “Mi limitavo ad amare te”, un libro che scruta responsabilmente e in maniera accorta un tema tanto delicato, rifugge dagli automatismi di qualsiasi consenso acritico e dagli elogi ordinari di una pubblicistica acclamante. Il romanzo di Rosella Postorino contempla, nel suo esercizio di stile, una capacità analitica talmente abilitata a farsi interprete dei sentimenti dolorosi narrati, che nessun elogio cerimonioso potrebbe mai darne merito quanto la lettura cauta degli amanti della letteratura. Sì, siamo al cospetto di un libro dove la scrittura conserva la sua vibrante componente di letterarietà, senza mai scomporsi nel linguaggio medio di un cosiddetto bravo scrittore o brava scrittrice del panorama nazionale. Insomma, finalmente un’opera per loggionisti da consigliare a tutti!
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