Letteratura

“L’ergastolano” di Paolo Morando

9 Marzo 2023

Recensione a: Paolo Morando “L’ergastolano. La strage di Peteano e l’enigma Vinciguerra”, Editori Laterza, Bari-Roma, 2022, 304 pp., 18 euro (edizione cartacea), 10,99 euro (e-book).

 

Paolo Morando è un giornalista interessato alla storia della prima repubblica. Oltre a scrivere su quotidiani e riviste, ha pubblicato una serie di libri di inchiesta e divulgazione storica su quegli anni. I suoi scritti sono un’ampia e rigorosa testimonianza su fatti inquietanti come la strage di Piazza Fontana o su figure misteriose come l’imprenditore Eugenio Cefis.

Con “L’ergastolano”, Paolo Morando narra un fatto meno noto ma che appassiona storici, giornalisti e magistrati, ovvero la strage di Peteano. Il 31 maggio 1972 un’autobomba esplose in una zona di campagna nei dintorni di Peteano, frazione di Sagrado, paesino della provincia di Gorizia. L’esplosione uccise tre carabinieri e ne ferì due. La strage rappresenta l’unico evento terroristico di estrema destra dove un colpevole ha confessato le proprie responsabilità e i propri obiettivi in modo abbastanza coerente.

 

1.     L’ergastolano Vincenzo Vinciguerra

Il reo confesso è Vincenzo Vinciguerra, l’ergastolano del titolo, che sconta la sua pena nel carcere di Opera dopo esser stato condannato in primo grado e non aver mai chiesto ricorsi, sconti o permessi. Oggi continua a scrivere e a rilasciare dichiarazioni che stimolano discussioni tra i dietrologi degli anni di piombo perché configurano un’inquietante collusione tra movimenti neofascisti e istituzioni repubblicane a cui lui afferma di essersi fieramente opposto.

Ma quanto sono attendibili le sue dichiarazioni? Questo è il nodo centrale del libro che divide la magistratura tra le posizioni di Felice Casson e di Guido Salvini. Felice Casson è stato il primo magistrato a cui Vinciguerra ha confessato la partecipazione nella strage. La confessione è avvenuta solo nel 1984, dopo tanti anni di depistaggi, culminati con un processo farsa nei confronti di un gruppo di balordi goriziani.

Ma l’ergastolano si era già costituito nel 1979, dopo anni di latitanza in Spagna e in America Latina. Era fuggito dall’Italia a seguito del fallito dirottamento di Ronchi dei Legionari del 6 ottobre 1972, quando, il terrorista di Ordine Nuovo Ivano Boccaccio aveva dirottato un piccolo aereo chiedendo un riscatto di 200 milioni di lire. Boccaccio morì nello scontro a fuoco con i Carabinieri, che si misero sulle tracce dei complici.

 

2.     La Confessione

Le indagini sulla strage di Peteano furono riprese da Casson, il quale si concentrò sulla pista nera che includeva anche i familiari di Vinciguerra. In quel momento, l’ergastolano vuotò il sacco e si auto accusò, insieme al dirottatore di Ronchi dei Legionari e a Carlo Cicuttini, segretario di sezione dell’MSI riparato in Spagna.

Il rapporto tra Casson e Vinciguerra si incrinò presto, quando il magistrato iniziò a dubitare di alcune considerazioni del reo confesso. Oltre al tempismo della confessione, i dubbi del magistrato si concentravano sull’innesco dell’autobomba tramite un accenditore a strappo. Il magistrato veneziano pensava che non fosse una coincidenza la mancanza di questa tipologia di innesco, difficilmente reperibile, dal deposito Nasco 203 nel Comune di Aurisina, in provincia di Trieste.

 

3.     Il Nasco 203

Il Nasco 203 era un deposito di armi dell’organizzazione paramilitare Gladio scoperto per caso all’inizio del 1972. Ma il governo rivelò l’esistenza di Gladio solo nel 1990, come struttura nata dalla CIA per prevenire un’eventuale invasione comunista.

Valdimiro Satta, nel libro “I nemici della Repubblica”, ricostruisce in modo più lineare rispetto a Morando gli intrecci tra Nasco 203 e Peteano. Satta presenta due letture storiografiche volte a interpretare i depistaggi sulla strage. La prima, sostenuta da Aldo Giannuli e corroborata dalle tesi di Vinciguerra, vede nei depistaggi il tentativo di nascondere i legami tra estrema destra e settori dello stato. Ma secondo Satta questa ipotesi non è plausibile perché la strage ha colpito proprio l’arma dei Carabinieri.

La seconda ipotesi, che Satta predilige, interpreta i depistaggi come un tentativo di sviare l’attenzione da settori di Ordine Nuovo che avrebbero potuto generare una forte attenzione mediatica ed essere collegati al Nasco di Aurisina. La falsa pista dei balordi goriziani avrebbe avuto proprio l’obiettivo di coprire l’esistenza di Gladio.

 

4.     L’attendibilità di Vinciguerra

Casson ritiene Vinciguerra un uomo legato a Gladio, in grado di ottenere quegli inneschi mancanti dal Nasco 203. Di conseguenza, oggi l’ergastolano accusa stato e movimenti neofascisti di aver avuto rapporti, millantando una propria purezza che in realtà non ha mai avuto. Secondo il giudice Guido Salvini, autore delle inchieste su Piazza Fontana e in generale sui movimenti neofascisti, Vinciguerra è invece attendibile e deve essere preso molto sul serio quando parla dei collegamenti tra istituzioni e neofascismo.

Pur non prendendo una posizione definitiva, Paolo Morando si avvicina alle tesi di Felice Casson e il libro sgonfia le dietrologie che vorrebbero vedere in Vinciguerra una sorta di oracolo. Al tempo stesso, la storia non è esente di testimonianze inquietanti sull’atteggiamento di apparati dello stato verso i cittadini e la verità.

“L’ergastolano” è un libro imprescindibile per chi vuole approfondire i temi degli anni di piombo. Merita di essere letto, anche se la scrittura di Morando non è di semplice lettura, perché affronta molti temi in maniera non lineare, con salti che costringono il lettore a riannodare più volte le fila della storia. Per questo, può essere consigliabile tenersi a presso il più chiaro volume di Satta.

 

Immagine dalla pagina Facebook di Paolo Morando

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