Letteratura
Leonardo Sciascia, l’uomo della ragione “a futura memoria”
Cominciamo col dire che debbo a Felice Cavallaro e al suo “Sciascia, l’eretico, Storia e profezie di un siciliano scomodo” edito da Solferino, la voglia di rileggere proprio lo scrittore di Racalmuto e non solo per rinnovellare il piacere dell’incontro con la sua colta scrittura ma anche, e soprattutto, per confrontarmi con talune stimolanti suggestioni che l’autore di questo libro offre al lettore proprio su quello che definisco la lezione civile di Leonardo Sciascia.
Aggiungo poi, e non è poco in un tempo in cui la cura dello scritto non sembra essere preoccupazione degli autori, che il volume di Cavallaro non si limita ad essere un puntuale e molto informato saggio biografico, ma va oltre fino a diventare, esso stesso, elegante opera letteraria particolarmente curata anche nella scelta del lessico.
Cavallaro fa, infatti, della vita dello scrittore un raffinato racconto in cui anche l’elemento emozionale, frutto della frequentazione diretta dell’autore con Sciascia, contribuisce a vivificare la stessa narrazione assicurandole un quid in più.
Ma andiamo alla sostanza.
La storia pubblica e privata di Leonardo Sciascia – “il maestro di Regalpetra” secondo la bella definizione di Matteo Collura – si presta ad una narrazione particolare , sicuramente non agiografica, in quanto è somma di un susseguirsi di riflessioni che spingono ad interrogarsi sul presente vissuto; addirittura, è un insieme di provocazioni, quasi sempre motivate dall’esigenza, di svelare le tante imposture del vissuto accolte, troppo spesso, come verità. Cavallaro riesce a cogliere il nesso nella scansione temporale di una vita segnata da ostacoli che restituiscono l’immagine di un personaggio scomodo.
Un “siciliano scomodo”, come recita il sottotitolo del libro, un uomo che non si piega a quello che Merleau-Ponty chiamava il “corso delle cose”, che sfugge alle seduzioni e alle blandizie del potere e, soprattutto, a quel sedicente e chiassoso contropotere che, in questa Italia dei veleni e delle gogne, il più delle volte si nasconde dietro la bandiera del cosiddetto politicamente corretto.
Scrittore civile, il cui impegno letterario è sforzo pedagogico teso a rendere consapevole il lettore della realtà vissuta, egli va al cuore delle criticità che impediscono un equilibrata e corretta vita sociale. Non per nulla Sciascia è stato lo scrittore che, per primo, ha parlato in modo diretto di mafia, che ha denunciato le connivenze con il potere politico, fino ad affermare, facendo scandalo, che la mafia sia divenuta sistema dentro lo Stato.
Sciascia è, dunque, un letterato, ma è anche un combattente indomito che, in nome della ragione, lotta per l’affermazione di una giustizia giusta in un tempo in cui appare sempre più evidente un uso della stessa divenuto abuso per il modo poco corretto del suo esercizio.
Un combattente, come spiega Cavallaro, in molte occasioni frainteso e, per queste sue posizioni coraggiose, perfino vilipeso e oltraggiato da chi non può accettare provocazioni che rischiano di mettere in crisi il proprio sistema.
Ma Sciascia è, ancora, un personaggio schivo, che non ama il fanatismo e gli applausi – come non ama le doppiezze e la falsità – e che, pur roso dal dubbio, non si lascia travolgere dalle difficoltà che gli si pongono nella ricerca della verità.
Sciascia – e lo conferma Cavallaro – è infine uno scrittore che, pur abbarbicato alla sua provincia e pur geloso della sua identità siciliana – dalla cui storia trae suggestioni significative – non ha, come si potrebbe pensare da chi presenta queste caratteristiche, nulla di provinciale, la sua presenza e la sua opera si iscrive, infatti, a buona ragione, nella storia della grande cultura europea.
Possiamo così dire, senza il pericolo di sbagliare che Cavallaro, con questo ritratto puntuale e, per molti aspetti completo, è riuscito a restituirci il vero Sciascia: un grande intellettuale del novecento ma, anche, un uomo dallo sguardo lungo da meditare “a futura memoria”.
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