Letteratura
Le scuole di scrittura creativa servono, la fama viene in secondo ordine
Lo scorso 27 ottobre, quindi più di un mese fa, è apparso su Linkiesta un articolo sulle scuole di scrittura creativa. Lo sintetizzo per vostra comodità, ammesso che io stesso sia riuscito a coglierne davvero, fino in fondo, tutte le sfumature. Si dice in quell’articolo che a scrivere non si impara facendo qualche corso a pagamento, ma semmai leggendo, leggendo e leggendo. E che la lettura di parecchie decine di romanzi sia la base per chi desidera avvicinarsi da protagonista al mondo dell’editoria non lo nega nessuno. Nel pezzo si citano poi alcuni casi di scuole di scrittura ultra-blasonate sparse un po’ ovunque in Italia, e anche molto costose, le quali, sempre secondo l’autore del pezzo, non darebbero ai partecipanti alcuna garanzia di poter giungere alla notorietà, lasciando loro solo la magra consolazione di aver conosciuto un editore o uno scrittore che siede nell’olimpo del mondo editoriale nostrano.
Ecco, io con questa impostazione, e si sarà capito dal tono che ho appena utilizzato, non sono per niente d’accordo. Innanzitutto mi vorrei qualificare, sono un giornalista, ovvio, ma sono uno che è anche appassionato di scrittura. Frequento, nel fine settimana, ogni quindici giorni, una scuola di scrittura nella mia città. Abito a Livorno e la scuola che frequento è intitolata a Raymond Carver (di cui fino ad oggi non ho ancora letto quasi niente, ndr). E come ho iniziato il mio percorso? Quattro anni fa, in una bella libreria proprio dietro casa mia, vedo una targa in legno che annuncia proprio il nome della scuola in cui poi mi sarei infilato. E vi giuro che la prima motivazione per cui mi sono deciso a farne parte era proprio perché era dietro casa, sicché mi sono detto: visto che c’è, che sta a due passi da casa, perché non tentare? E’ ovvio poi che la scrittura era anche uno dei miei interessi, così come la lettura dei libri. Voglio dire che fosse stata una scuola di cucito probabilmente non avrebbe esercitato su di me il medesimo fascino.
Ho cominciato frequentando un corso base, proprio così si chiamava la casella da cui ho iniziato. Uno di quei corsi in cui si lavora fornendo un sacco di spunti e dando brevi esercizi che servono soprattutto ad abituarsi a scrivere fuori da quel contesto che ci risulta più naturale. Molti degli esercizi fatti li ricordo ancora, e questo depone a favore del fatto che siano stati prima concepiti, e poi anche assegnati bene. Diciamo che è stato un po’ come andare in palestra, nel corso di quelle prime lezioni sono stati portati alla nostra attenzione tanti esempi di scrittura strana o originale che dir si voglia, poesie, rime, filastrocche, racconti, romanzi. Ed io ho cominciato a scrivere con una certa consequenzialità, spesso, quasi tutti i giorni, cercando di fare tutti gli esercizi assegnatici, sforzandomi di scrivere anche pagine piene di parolacce per addestrare la lingua, sentendone la fonetica, e cercandone le allitterazioni. E poi scrivendo anche in prima o terza persona, ragionando sul punto di vista e su di chi fosse il punto di vista della persona di cui stavo scrivendo.
Devo ammettere, almeno in alcuni casi, di aver proceduto per sdoppiamenti successivi. In uno di quegli esercizi dovevo immaginarmi per esempio di essere un fondoschiena, non uno qualsiasi, ma un bellissimo e robusto fondoschiena, cui dovevo dare la parola, cercando di intuirne l’originalissimo punto di vista. Ricordo di aver preso contatto con il mio di fondoschiena mentre mi accingevo a fare quell’esercizio, e di averlo doverosamente interrogato. Ho pensato subito come esso sappia plasmarsi secondo la superficie su cui siede, come possa farsi corpulento, oppure incredibilmente soffice, secondo il grado di contrasto esercitato dal punto in cui si posa. Dovessi descriverne adesso la condizione, di lui, del mio fondoschiena intendo, potrei dire, per esempio, che la seggiola su cui sto è abbastanza comoda, lui quindi, il mio fondoschiena intendo, ringrazia e vive una situazione che potrei definire rilassata e confortevole. Una di quelle in cui puoi startene tranquillo, tanto ci sono altri che stanno pensando alle tue esigenze.
Poi dal corso base sono passato a un corso avanzato, uno di quelli in cui le velleità sono altre, fino alla massima velleità letteraria possibile, che è quella, secondo il mio modesto giudizio, di scrivere un romanzo. Ed io all’inizio di quel corso non avevo nessun romanzo nel cassetto, né tantomeno alcuna idea di scrivere un romanzo. Devo dire che semmai mi incuriosiva proprio la questione di come si potesse arrivare fino al punto di concepire una storia che poi si sarebbe sviluppata in un romanzo, quindi in una narrazione lunga. Ed io cominciai allora a lambiccarmi attorno alle vicende improbabili di un cane bassotto che parlava e che sapeva anche fare il detective. E mi sono tenuto quella cosa nella penna da ottobre e tutto dicembre, soltanto che lezione dopo lezione mi rendevo conto che quella mia prima idea di storia non andava a finire da nessuna parte e così ad un certo punto ho cambiato tutto. E lo spunto per la sterzata che ho fatto è venuto proprio dall’insegnante del nuovo corso che stavo frequentando. Ricordo che mi disse che le grandi questioni, quelle per cui valeva davvero la pena scrivere, erano altre, bocciando sostanzialmente la mia idea di un cane che parlava. Io presi la palla al balzo, e nel giro di un mese rividi tutta la mia storia, il cane da personaggio principale divenne secondario, poi comparvero nell’ordine una bambina siriana, una giovane coppia di italiani e due poliziotti. Poi anche delle essenze mistiche che successivamente avrei definito ombre e rumori.
Adesso sto frequentando per il secondo anno il corso sul romanzo, l’insegnante è sempre quella a cui i cani parlanti non sono piaciuti. Il fatto che sia riuscita a distruggere quasi del tutto quel mio spunto di romanzo che avevo in testa me l’ha resa quasi simpatica. Adesso, dopo aver scritto per sommi capi tutta la vicenda, sto lavorando alla struttura del libro, mentre ho passato tutta l’estate a individuarne alcuni punti deboli su cui sto mettendo mano. In questo nuovo corso ho già frequentato cinque incontri che mi sono bastati per capire che la mia storia qualcosa di buono dovrebbe averlo. Soprattutto, prima di frequentare questi corsi, non avrei mai detto di essere capace di tirare avanti un mio scritto per più di 180.000 battute, e invece devo ammettere che ci sono riuscito. La mia insegnante adotta poi un metodo che mi è parso da subito utilissimo, consigliando a ciascuno di noi letture che siano quanto più possibile vicine per ambientazione, intenzione e afflato narrativo alla storia che intendiamo scrivere. Il mio problema è che la storia a cui sto lavorando sembra difficilmente classificabile secondo generi e sottogeneri. Non è fantasy, non è gothic, non è horror. Uno scrittore famoso con cui mi sono confrontato via web mi avrebbe indirizzato verso la literary fiction, io ho acconsentito, perché mi piace sperimentare.
Che poi leggere sia la base per scrivere nessuno lo nega. E le letture possono essere multiformi, e alla fine credo che anche la passione per la lettura si può insegnare, almeno a me è capitato così. Senza contare che le ambizioni di chi frequenta un corso di scrittura non sono direttamente proporzionali a quanto spende, semmai alla spesa è direttamente proporzionale il risultato atteso, ma questa è tutta un’altra cosa rispetto alle aspettative e alla motivazione interiore. Una scrittrice famosa intervenuta a una delle nostre lezioni, quando ha saputo quanto costava la nostra scuola, ci ha strizzato l’occhio, dicendoci senza mezzi termini che non stavamo affatto pagando caro il percorso in cui siamo inseriti. Noi ci vediamo per due ore ogni quindici giorni, abbiamo pagine di esercizi da fare e liste di libri da affrontare. Da quando frequento questa scuola, e sono già tre anni di puro orgoglio, mi rendo conto che parte della formazione ricevuta resta in background, nel senso che le informazioni apprese in quelle due ore ogni quindici giorni nutrono e muovono i miei processi celebrali per altri quindici giorni almeno. E le cose sono due, o io sono bravissimo ad apprendere, oppure la mia insegnante è molto brava ad insegnare. Una cosa è certa, le scuole di scrittura creativa servono, perché sono luoghi dove si nutre la passione letteraria. Tutto il resto, fama compresa, viene dopo, e resta in secondo ordine. (Tradotto: dove vado io si scrive per passione).
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