Letteratura

Le lettere cattive di Cristiano Governa. Una Twin Peaks epistolare

25 Marzo 2015

Eccoti dunque confessato il terribile segreto di quel giorno. Sono passati più di trentanni ma se vorrai vendicarti, abbracciarmi o solamente rivedere le mie mani, sappi che io ti aspetto. Nessuno aspetta meglio di un vecchio. Potremmo vederci di martedì, il tuo giorno preferito, e stare seduti in salotto senza dire niente. Vedere un po’ di tv. Oppure, se credi, farci saltare la testa dopo cena.

Tutte le lettere d’amore, diceva il poeta, sono ridicole. Per immergersi nel clima noir dell’ultimo libro di Cristiano Governa, giornalista, scrittore e sceneggiatore bolognese, bisogna accettare anche un altro postulato: tutte le lettere d’amore sono cattive. In Le lettere cattive – Una Twin Peaks epistolare, pubblicato da Pendragon, ci sono segreti, violenza, sogni, futilità, bar, omicidi, sesso e un po’ di mare, il tutto squadernato in splendide lettere che, come un segreto invecchiato, fanno più male che paura.

Nella prefazione rifletti sulla scomparsa della lettera di carta come la fine di quel po’ di suspense che potevamo reclamare alla vita.

La lettera era il colpo di scena per eccellenza, l’imprevisto che ci potevamo permettere. La missiva era l’unica forma di confessione che ci consentiva di non esser lì, davanti al destinatario; un modo disonesto per fare la cosa più onesta. Magari le nostre parole non arrivavano neanche a destinazione e finché qualcuno non sapeva cosa volevamo dirgli non poteva non risponderci davvero. Il problema non è che oggi non siamo più onesti, ma che abbiamo disimparato anche a essere disonesti. La pessima qualità delle nostre miserie ha un impatto ben peggiore della scarsa stoffa dei nostri meriti. L’abbiamo fatta fuori, la lettera intendo, perché essa era uno specchio. La fretta degli ottusi e l’entusiasmo degli annoiati: sono stati loro. Hanno sostituito il futuro con il progresso ed eccoci qua, al suo posto usiamo i link di youtube, gli sms o whatsapp. “Visualizzato alle…” è la risposta che meritiamo.

Il tuo libro viene presentato come una Twin Peaks all’italiana. Definizione tua o del marketing editoriale? E cosa ha in comune con l’indimenticato teleserial noir boscaiolo di David Lynch che ha appena compiuto 25 anni?

La definizione è assolutamente mia. Qual è, in fondo, il segreto di Twin Peaks? Un clima noir, con personaggi da soap opera. Orrore, farsa e follia si mischiavano, in una dimensione surreale dove la maggior parte delle persone che incontravi, aveva un aspetto simpatico – quasi comico – che poi, col passare del tempo, diventava vagamente pericoloso. Un posto nel quale, più si scava nei segreti delle persone comuni e più si rischia di impazzire. Stiamo diventando così? Certi eventi di cronaca italiana, sembrano dischiudere tante piccole Twin Peaks, surreali microcosmi nei quali parenti e amici degli ammazzati – talvolta – sembrano più assurdi e sinistri dell’assassino vero e proprio.

Che posto è quello nel quale, tutto sommato, colui che ammazza è il meno pericoloso?

Le Lettere Cattive vogliono ricreare una sorta di Twin Peaks condominiale, nella quale non sai più se sta per accadere qualcosa che ti farà felice, o se qualcuno è in procinto di farti fuori. Volevo anche raccontare dello slittamento della società italiana, da tragedia composta a farsa nevrastenica e la sua deriva sentimentale, tipica di ogni società ormai priva di sentimenti. Ogni grande città italiana, da Milano a Roma, da Genova a Napoli, è accomunata da un unico sentimento: siamo talmente soli che non sappiamo più restare soli. Intrappolati nel quotidiano intrattenimento per deportati (da quello televisivo a quello amoroso che viviamo con lo stesso piglio pirla dello spettatore) perenemmente indaffarati nell’inerzia, amibiziosi nel piccolo, e notturnamente devoti, come diceva Albert Caraco, in ciò che “mescolandoci non cessa di isolarci”.

Leggendo le tue lettere si ha la sensazione che non ci sia nulla di più sconosciuto della persona vicina. E ritorna un tema che avevi già esplorato ne Il Catechista: finché saranno i cattivi ad ucciderci saremo salvi, ma quando saranno i buoni a farlo, come ci difenderemo?

Sì. Mi incuriosisce come trascorriamo tutto il giorno a spiare e “comunicare” con gli altri sui social, senza sapere in realtà nulla degli altri. Come il nostro vicino di casa sia, tendenzialmente, più infimo e criminale del dittatore di turno contro il quale manifestiamo un’oretta, salvo poi riprendere la nostra vita domesticamente al suo servzio. Come nell’altro mio romanzo, Il Catechista, indago un mondo dove sono i buoni e non i cattivi ad ucciderci, e per questo un mondo senza difese.

Parliamo di editoria. C’è ancora un mercato per le short story?

Nell’era della brevità per endoscopia, dove tutto deve essere piccolo e veloce, in Italia non sembra esser stata raccolta l’eredità della short story che, da Anton Cechov a Raymond Carver, da J. D. Salinger (Nove Racconti) a Flannery O’Connor, rappresentava la realtà con implacabile perfezione. Da qui il mio omaggio, nel libro, a Silvio D’Arzo e al suo piccolo capolavoro, Casa d’altri, che vent’anni fa mi regalò mia madre. La letteratura, esattamente come il cinema e la musica, è ormai in un perenne mood di chiagni e fotti, nel quale editor ed editori lamentano la “morte” dell’editoria, dopo aver in realtà essi stessi decretato questa morte, assecondando, invece di formare, i gusti del vero cassamortaro di ogni forma artistica: il pubblico.

Si nota una vena pop nei riferimenti a Lucio Dalla.

Parlando di pubblico, ti dico che i miei omaggi a Lucio Dalla, nel libro, nascono dalla mia ammirazione per questo: Lucio se ne fregava del gusto del pubblico. Ecco uno dei grandi segreti di Dalla, si è guadagnato il pubblico sbattendosene di esso. La sua dolce anarchia artistica gli consentiva di rompere ogni regola costituita e di imporre talento e qualità nel mercato. Lucio ha usato un mix di talento e sorriso per sfidare contemporaneamente i capibastone di ogni pensiero medio e le vestali dell’antagonismo addomesticato, impegnati (su fronti opposti) nello stesso sport: assecondare il gusto del pubblico. Lui ha fatto esattamente il contrario.

Ho scovato tra i ringraziamenti un ricordo di Luigi Bernardi.

Una figura ormai scomparsa: l’editor che scopre talenti e non l’editor che scopre i food blogger. Luigi è stata una monumentale figura di valorizzazione del talento, a Bologna e non solo, e io gli devo mattinate di chiacchiere e telefonate silenziose. Aveva naso per capire dove l’editoria sarebbe andata e andarci senza sputtanarsi. A lui devo la forza di essere andato avanti a scrivere ben sapendo che, come diceva “non serve a un cazzo, ma perché poi dovrebbe?“. Non ero suo amico meramente perché bolognese e scrittore di noir, ero suo amico perché – suppongo – guardavo alla vita in un modo non distante dal suo, con la più ferma sfiducia nel genere umano e al contempo la speranza di sbagliarmi. Il fatto che entrambi vivessimo a Bologna ci ha reso curiosi circa il fatto che questa città venga individuata come una delle più buone ed accoglienti, mentre in realtà è una delle più violente e cattive. Avevamo capito che Bologna è spietata, anche se con toni cortesi. Bologna è un posto cattivo amore mio, ecco perché tutti vengono qua.

A chi scriveresti una lettera noir?

Alle persone migliori che conosco.

 

Cristiano Governa – Bologna, 1970 – è giornalista, scrittore e sceneggiatore. Attualmente scrive su Il Venerdì di Repubblica. Docente di Strumenti di Comunicazione, è stato autore per radio e televisione e ha pubblicato, fra gli altri, Il Catechista (Aliberti editore) e scritto, assieme ad Emilio Marrese, il soggetto e la sceneggiatura del film Il cielo capovolto (regia di Paolo Muran).

 

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