Letteratura
“Latte di fico verde”, la fatica di parlare al passato delle promesse
Non lo definirei propriamente un romanzo. Bensì uno scorrere di emozioni e sensazioni, l’intreccio tra vicende e mondi diversi, dove il filo conduttore si svela solamente nelle ultime righe, seppur come fantasma s’aggiri, non detto, da pagina uno a pagina novantacinque.
Questo “Latte di fico verde”, opera prima di Bianca Gabrielli (Manni editore), non è altresì una raccolta di racconti giacché, nella loro alternanza, le storie dei protagonisti viaggiano parallele nel tempo e nello spazio. Ciò che colpisce è invece quanto mondi così differenti siano palesemente parte viva, essenziale dell’autrice, donna matura dall’esistenza – supponiamo – certamente cosmopolita, di sicuro impegnata, presumibilmente non facile. E come potrebbe essere diverso se si nasce, e si narra, a Seconda guerra mondiale appena finita?; se si è, ci si immedesima, in un ebreo tunisino che s’imbarca per Parigi con una borsa di studio e contemporaneamente in una donna bella e complicata, nata da un’ebrea emiliana e da un nobile calabrese, creatura solitaria che della non appartenenza religiosa, sociale, geografica ha fatto la propria cifra?
In un alone borghese che avvolge giovinezza e maturità, lutti e sprazzi di felicità, speranze e delusioni, sesso amore e in fondo poca fantasia – perché la fantasia a quella generazione è consentita per un tempo brevissimo – Haim e Marta rappresentano bene pezzi di noi, sfaccettature complesse, errori ed eroismi, bugie e lealtà. E fatica. La grande fatica di accettarsi e di raccontarsi quando il tempo delle promesse e delle conquiste è, appunto, un racconto che scava il passato. Davanti ad alcuni, forse, chissà, un nuovo imprevisto scintillio di speranza. Che potrebbe avere le sembianze di un vecchio Solex ridotto a rottame.
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