Letteratura
L’ascensore freudiano di Eshkol Nevo
Con “Tre piani”, un romanzo di poco più di 250 pagine, edito da Neri Pozza, Eshkol Nevo si è esercitato in una pratica che riesce a pochi scrittori: esplorare l’animo senza indossare la divisa pesante, metodica e normalmente fuori taglia dello psicologo. Eh, sì, tanti lavoratori e lavoratrici instancabili della parola, che, nella modestia della loro fatica, decidono di entrare nei panni smisuratamente larghi dell’analista, spesso si rendono responsabili di una narrazione scomposta, fastidiosamente articolata, insopportabilmente artificiosa. Entrano, appunto, in abiti troppo grandi per loro, esprimendo per forza maggiore disarmonia e dimostrando un certo impaccio. Come ha fatto lo scrittore israeliano a raccontare della meravigliosa e sempre sorprendente psiche umana senza correre questo rischio? Semplice, ha preso l’ascensore ed è sceso tra le istanze freudiane, come avrebbe fatto qualsiasi “studente” diligente, senza voler a tutti i costi scavalcare l’apprendimento scientifico per camuffare un percorso analitico individualistico.
Insomma, Nevo dispone il suo racconto su ciò che egli già conosce e ha studiato, i tre piani della personalità: Es, Io, Super-io. Francamente, mi pare un’operazione di una semplicità superba. L’autore, dunque, preferisce togliersi da dosso il peso dell’indagine psichica, in quanto presenta dei personaggi che appartengono, in maniera esemplare, a un celebre schema scientifico. Essi, sin da subito, risultano essere già ampiamente indagati, senza, tuttavia, apparire in nessun modo scontati e prevedibili. Una volta tanto, la letteratura non indaga e non si “scervella”, atteggiandosi a scienza, ma si adegua e ripercorre, nella narrazione, il tragitto di un grande scienziato. D’altra parte, che l’opera di Freud abbia regalato ai creativi un abbondante materiale a cui far corrispondere una narrativa speculare, senza rinunciare a un’originalità stilistica, non è mai stato abbastanza chiaro a tanti.
A rivelarci lo stupore, le reazioni e le differenze di tono che ruotano intorno all’esistenza sono gli occupanti dei tre piani di una residenza borghese, nei pressi di Tel Aviv, immersa in un apparente ordine, dove ogni elemento estetico, dal parcheggio alle piante dell’ingresso, ha una funzione rassicurante, ma non rivelatrice di ordinaria tranquillità. Al primo piano vive una coppia giovane, Amon e Ayelet, genitori di Ofri, che, talvolta, viene affidata alle cure di anziani vicini, Ruth e Hermann, perone educatissime, giunte in Israele dalla Germania. Succede, che un pomeriggio la bambina si assenta in compagnia di Hermann, che, vittima dei primi sintomi dell’Alzheimer, non è capace di uscire dal parco e trovare la strada per rincasare. Ed Amon va fuori dai gangheri, poiché non riesce a giustificare l’accaduto con la malattia incipiente del vecchio. Al secondo piano vi è Hani, madre di due bambini e moglie di Assaf, che è quasi sempre all’estero per via del suo lavoro. Un giorno Eviatar, suo cognato, che non vede da diversi anni, le chiede ospitalità perché braccato da creditori. Hani, anche per riparare alla solitudine, decide di accoglierlo. Mentre al terzo piano, Dovra, giudice in pensione, ha un irrinunciabile bisogno di dialogare con il defunto marito. E, per farlo si serve di una vecchia segreteria telefonica appartenuta al consorte. La vita di tre famiglie, su tre piani di una confortevole palazzina, su tre livelli di assunti freudiani.
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