Letteratura

L’arancio amaro di Milena Palminteri

Il romanzo di centomila copie vendute dove le linee narrative si smarriscono nel colore locale.

29 Novembre 2024

Milena Palminteri – Come l’arancio amaro– Bompiani 2024

Il romanzo si sviluppa su due piani temporali (1924-1960) e ruota attorno alla famiglia Cangelosi e alle sue radici segrete. Al centro della storia c’è Carlotta, una donna di 36 anni che lavora nell’Archivio notarile di Agrigento. Orfana di padre e cresciuta da una madre distante, Carlotta scopre un documento che rivela un segreto devastante: sua madre potrebbe non essere la sua vera madre. Questo mistero intreccia i destini di diverse figure femminili – come Sabedda, una serva giovane e ingenua, e Bastiana, una donna spregiudicata che trama per proteggere il suo status sociale – e maschili, tra cui spicca l’avvocato Calascibetta, custode della memoria della famiglia. La narrazione fonde i drammi personali con i grandi eventi storici siciliani, come il fascismo e la lotta contro la mafia.

Ora, se si esclude il giusto  debito  pagato dalla voce narrante verso le donne da sempre ingiustamente escluse dall’atavismo isolano dai posti di comando, ma anche  la sanzione netta  delle pratiche mafiose, occorre dire, che sarà fatale quanto si vuole, ma il  colore locale “sghidda” (fuoriesce, scappa, esonda) da ogni dove. Ci sono tutti i riferimenti tematici e gli ancoraggi linguistici: i “Beddamatri!”, i soprannomi, le comari che si pizzicano sulla corriera, i tipi umani, nobili o ignobili che siano, baruneddi e massari, avvocaticchi o campieri, le coppole, il vero etimo del termine “mafioso”, il sesso che batte sotto i corsetti e le patte dei pantaloni o «il corpo pieno e morbido che ricordava tabbarè ricolmi di cassatedde e minne di vergini», si legge ad un certo punto,  e tanto altro ancora che satura il romanzo …

Insomma sarà forse ineludibile  ma la pittura locale impazza: siamo dopotutto in zona, ossia in quella Sicilia  grullesca o grottesca dei don Lollò e Zi’ Dima della “Giara” o realistica di “Ciaula scopre la luna” di Pirandello. Certo, la freschezza e l’immediatezza di alcune scene riuscite   sanno di puro teatro leggero d’antan e rilasciano tutto il loro fascino, a cui si aggiunge il dialetto strettissimo (è allegato un glossario per i continentali) a dare una mano di vernice sul grande bozzetto o sull’affresco che dir si voglia.

La Sicilia dopo lo strabiliante successo di Camilleri e dei Leoni di Sicilia esercita ancora, evidentemente, l’attrattiva di un irresistibile prestigio che a me pare di tipo regressivo, sulla scia di un’epoca che mai passa o scolora – soprattutto il secolo scorso –   che ha segnato con le terribili stragi mafiose i destini del Paese, e  che tuttavia sa farsi ancora cifra infallibile di riconoscibilità e di richiamo per i suoi pittoreschi costumi. Al libro  infatti arride un  successo da best seller. Sono accorsi già  ben centomila lettori a pucciarsi il biscottino nel marsala di  questa Sicilia post-pirandelliana e  post-camilleriana, più la seconda che la prima a dire il vero. Io, non ce l’ho fatta proprio a finire per intero questo gigantesco piatto di «pasta riminata dove in tegame si erano dati felice appuntamento ragù di maiale, salsiccia sbriciolata, broccoli saltati, uova sode, caciocavallo ragusano e mandorle brustolite e pestate».

Staccata la presa e con la capa fresca, mi sono solo incaponito nell’indovinare quale cittadina marina in provincia di Agrigento si nasconda dietro il toponimo immaginario di Sarraca del romanzo. Io ho scommesso su Sciacca. La scelta di un nome inventato potrebbe essere stata motivata dall’esigenza di creare un luogo universale – come avviene usualmente nei saggi di sociologia o antropologia culturale –, al tempo stesso radicato in una realtà riconoscibile come resumé di tutta l’isola, unendo dettagli geografici, culturali e storici che richiamano non solo Sciacca ma anche altri centri come Agrigento (qui ancora Girgenti) o Ribera, con cui condivide riferimenti storici e sociali simili. Solo che questi toponimi sono in chiaro, proprio Sarraca no.

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