Letteratura

Lampedusa e le 300 mila vite tra le mani di Pietro Bartolo, medico e uomo

11 Settembre 2017

A Pietro Bartolo sono passate tra le mani più di 300 mila vite. Da venticinque anni ogni giorno guarda negli occhi i volti di quel nuovo olocausto che si consuma in mezzo al blu, sull’isola di Lampedusa, un pezzo di terra che in un tempo remoto fu geologicamente attaccato alla placca africana e che geograficamente invece è il primo approdo italiano ed europeo per decine di migliaia di migranti.

Pietro Bartolo è un medico chirurgo specializzato in ginecologia e si occupa del poliambulatorio di Lampedusa. Fondamentalmente vive nell’attesa di capire se il prossimo barcone avrà più vivi che morti, quanti bambini potranno essere salvati, quanti sacchi con corpi inerti dovrà aprire e ispezionare. “Li spoglio, cerco di capire quanti anni hanno, osservo i lividi, conto i denti, i tatuaggi. Serve per passare dal corpo a un’identità. Se la meritano, la dignità”. Ha un record, lo dice quasi senza emozione, tanto è pesante: è il medico che, in tutto il mondo, ha constatato più decessi in assoluto.
Una volta è successo, in un sacco una donna data per morta era appesa alla vita con un filo sottile e lui l’ha salvata. Ma è un’eccezione. Il diritto alla vita dovrebbe arrivare prima di qualunque onda.

Mentre parla, su piazza Castello scende un silenzio magnetico e assordante. Siamo un pubblico di cemento con il cuore stretto, incapace di reagire, indifferente per 50 lunghi minuti a tutto ciò che non sia la sua voce. Devo essere sincera, in ventuno anni al Festivaletteratura di Mantova mai avevo assistito a tanta commozione moltiplicata, ad un bisogno così urgente e collettivo di ascoltare la straordinaria vita di un uomo lontano dai riflettori eppure così protagonista di un’umanità silenziosa che troppo spesso si disperde nel chiacchiericcio mediatico e filtrato. Un uomo indubbiamente forte, che davanti al suo pubblico confessa di aver bisogno di supporto psicologico, perché tanto dolore no, non è umanamente sopportabile.

“Questa non è una invasione, è solo una delle più grandi emergenze umanitarie del nostro tempo. Si contano 3 migranti ogni mille italiani. Sarebbero 2,5 ma quello 0,5 non riesco proprio neanche a dirlo, non dopo che qualche giorno fa ho dovuto tagliare un corpo in due parti per fare il mio mestiere. E allora per me sono 3. Tre vite, tre persone”.

Pietro Bartolo è se stesso in “Fuocoammare” del regista e documentarista Gianfranco Rosi. La realtà, raccontata con i volti di chi la fa e non la predica o la inventa, ha vinto nel 2016 l’Orso d’oro di Berlino. In quella quotidianità, accanto a lui in una catena di ruoli intrecciati indispensabili uno all’altro, ci sono i sommozzatori che lottano contro le onde. A Davide Enia, drammaturgo e romanziere di potente capacità narrativa, palermitano di nascita e lampedusano d’adozione, uno di loro un giorno ha spiegato come funziona, questo lavoro nel mare profondo della traversata e della speranza. “Se hai davanti a te tre uomini e più lontano una donna con un bambino, e stanno tutti per annegare, chi salvi per primo?”. La legge dei numeri è quella che vince. Salvi più vite, e 3 sono più di 2. Vi fa male, questa risposta? Vi sembra ingiusta, tremenda, assurda? Lo sembra perché lo è. “E questa è gente che si porta dentro un intero camposanto”.

Impotenti davanti alla storia e ancora di più davanti ai volti di chi ci sbatte davanti il mondo, noi capiamo di incarnare semplicemente la nostra risposta rispetto a ciò che sta accadendo. Siamo l’indifferenza, la paura, l’attesa, il giudizio, la distanza, l’ipocrisia, la negazione, l’incapacità, l’incomprensione.

Più semplicemente, Pietro Bartolo si accontenta che dopo un incontro così, concluso con un abbraccio sul palco, un applauso lungo e meritato e un giornalista abituato al racconto della guerra vinto dalla commozione, si torni a casa con la voglia di raccontare questo inferno che si consuma nel paradiso turistico di Lampedusa.

Racconta il mito che Europa era figlia di Agenore, re di Tiro, un’antica ed importante città fenicia. Il re degli dei, Zeus, si innamorò perdutamente di lei e decise di trasformarsi in un toro bianco, per poterla possedere e conquistare. Europa lo vide per la prima volta mentre si recava sulla spiaggia con le sue ancelle e trovò quell’animale molto bello e tentò di cavalcarlo. Il toro, allora, la rapì e scappò con lei attraverso il mare, fino a raggiungere l’isola di Creta.

Che ci crediate o no, siamo tutti figli di una traversata.

 

Pietro Bartolo, “Lacrime di sale” (Mondadori)
Davide Enia, “Appunti per un naufragio” (Sellerio)

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