Letteratura
L’amore al tempo della quarantena
Ci hanno detto di stare lontani, di non toccarci, di non baciarci, di non accarezzarci: sono le regole della quarantena, dell’isolamento, della forzata solitudine.
Dobbiamo stare attenti anche a computare bene la distanza, per parlarci.
Le mani devono sempre essere pulite, adamantine e non possono neppure sfiorare le sue.
Gli amanti, dunque, non godono dell’intreccio, dell’abbraccio, non si può dire che siamo un corpo ed un’anima sola.
La più significativa legge dell’amore, quella dell’unisono, viene tradita e disattesa: non si può più stare insieme, ma forzatamente appartati: il contatto è severamente proibito.
La regola è quella del cuneo divisorio, del diaframma, del coatto distacco.
Cosa resta per amarci? Per sentirci vicini, anche se lontani?
Il bacio dell’amara scontentezza?
Lo sguardo degli occhi.
Come se lo sguardo toccasse, parlasse, sfiorasse, blandisse. È solo lo sguardo, neanche più la parola, a superare la gelida e fredda regola della bronzea legge dell’isolamento.
E con lo sguardo su una foto, o su una cosa che lei ha toccato, un mio vestito, la mia cravatta, forse la boccetta del mio profumo che tanto le piaceva sentire chiudendo gli occhi, o la camicia che stirava con amorevole cura, perché si inorgogliva vedermela attillata, capace di nascondere anche la protuberanza della mia ingloriosa pancetta, solo così si può ancora pensare al nostro etereo e smozzicato amore.
Guardiamo le nostre “cose” dell’amore e la grammatica dei nostri pensieri trova la sua lingua.
La quarantena porta al pensiero dell’amore, come se si smaterializzasse, fosse solo spirituale, un incontro di anime in una pianura con un cielo terso: due fili d’erba che si intrecciano, perché li porta il vento ad incontrarsi per forza, naturalmente, inaspettatamente.
È impensabile non toccare un corpo, si può solo sognare: si frantumano i maneggi della fantasia.
Ma non è giusto: almeno ricordo di quella volta di notte sulla battigia, la luna si scioglieva nel mare e noi ci tuffammo senza neppure poterci scorgere al buio.
Ci toccammo nel fondo degli abissi, senza pudicizia.
Oppure ora che posso solo malamente vederti da lontano: bellissima, mai sfiorita, quando prepari il mio caffè con la cura del cuore e lo lasci lì sul tavolo.
E con lo sguardo ti avvinghio a me, fortemente ti stringo, ti bacio e sciolgo le mie ginocchia, perché sono felice più degli Dei che sanno l’infinito dell’amore.
Ma, non ti posso toccare.
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