Letteratura

L’Amica Geniale tocca cuori fragili e forti, e chi ha continuato a sognare valori ormai perduti

I suoi libri non solo segnano le tappe fondamentali della sua vita, ma riflettono anche i temi più profondi dell’opera: il ruolo delle donne, la lotta contro le ingiustizie e il legame indissolubile con il Rione e Napoli.

14 Dicembre 2024

I don’t care if Monday is blue, cantavano i Cure in “Friday I’m in love”, il lunedì, giorno per eccellenza di ripresa delle attività lavorative dopo un piacevole weekend di relax, è, almeno per me, solitamente accompagnato da malinconia e tristezza.

Il poeta inglese Geoffrey Chaucer  nel 1300 scrisse il breve poema ‘Il lamento di Marte’ all’interno del quale era riportato anche il primo verso in assoluto ( “Wyth teres blewe and with a wounded herte“) dove veniva associato il colore al relativo sentimento: il termine “blewe” si riferisce al colore blu e fa riferimento a ‘teres’, la forma arcaica di ‘tears’; da qui le lacrime blu sono diventate le lacrime di tristezza.  Nel corso dei secoli la letteratura inglese avrebbe poi presto registrato molti altri episodi in cui il colore blu  veniva associato a eventi negativi, forse a causa della sua connessione con il colore dei volti cianotici delle persone malate e dei cadaveri, ma anche con le possessioni demoniache e l’abuso di alcol. Anche negli Stati Uniti il blu è diventato nel tempo il colore più strettamente associato alla tristezza: pensiamo ad esempio al genere musicale “blues”, carico di nostalgia e sentimenti cupi.

Eppure nelle ultime settimane Il Lunedì lo attendevo con impazienza, per la prima volta ho sperimentato cosa volesse dire “dipendenza” da una serie televisiva: “L’amica Geniale”.

La saga di Elena Ferrante uscita tra il 2011 e il 2014 è diventata un caso editoriale con milioni di copie vendute in tutto il mondo. A sua volta la serie ne ha raccolto l’eredità egregiamente, portando in tv un adattamento lodato in modo unanime dalla critica.

La carriera di scrittrice di Elena Greco, soprannominata Lenù, è uno degli aspetti più affascinanti della quadrilogia de L’amica geniale di Elena Ferrante. I suoi libri non solo segnano le tappe fondamentali della sua vita, ma riflettono anche i temi più profondi dell’opera: il ruolo delle donne, la lotta contro le ingiustizie e il legame indissolubile con il Rione e Napoli. Attraverso i romanzi di Lenù, scopri come le sue esperienze personali, spesso dolorose, si trasformano in potenti messaggi di solidarietà e speranza. Ogni libro è una finestra sulla sua evoluzione, sia come donna che come scrittrice, e sulla complessa realtà sociale e culturale che la circonda: Lenù denuncia le oppressioni patriarcali e offre uno spazio di riflessione e resistenza per le donne di tutto il mondo.

Il primo libro di Elena Greco, “La Smarginatura”, è un’opera che affonda le radici nella sua adolescenza, un periodo segnato da eventi drammatici e riflessioni profonde. Lenù trae ispirazione dalla sua vita reale per raccontare una vicenda che parla di identità, corpo e vulnerabilità femminile , temi che attraversano tutta la sua carriera letteraria. La Smarginatura prende il nome da un concetto caro a Lila, la sua amica d’infanzia, che usa il termine per descrivere una condizione di instabilità, dove i contorni delle cose diventano sfumati e incerti. Questo libro riflette una Lenù giovane ma già capace di analizzare le esperienze dolorose, come la violenza subita da Donato Sarratore, trasformandole in una narrazione potente e universale.

L’ambientazione napoletana è descritta con grande maestria. Elena Ferrante dipinge un ritratto vivido e realistico di un rione periferico, identificato con il rione Luttazzi, quartiere povero con le sue strade polverose, i pettegolezzi, le tensioni sociali e la violenza che si nasconde dietro la quotidianità. La città stessa diventa un personaggio vivo, che influenza e modella le vite dei protagonisti. Se il contesto sociale e politico dell’Italia del Dopoguerra è accuratamente delineato, fornendo uno sfondo ricco e coinvolgente per la trama, sono le dinamiche sociali e culturali del Rione, con le sue miserie e le sue contraddizioni,  al centro delle sue opere. Questo legame complesso emerge in tutte le fasi della sua carriera, riflettendo la tensione tra il desiderio di emancipazione e l’impossibilità di spezzare del tutto i legami con le proprie radici. La città stessa diventa, perciò, un personaggio vivo, che influenza e modella le vite dei protagonisti.

Sebbene il romanzo sia ambientato in un contesto molto specifico, le tematiche affrontate – come l’identità, la lotta di classe, il ruolo della donna, e il desiderio di autoaffermazione – sono universali.  L’amicizia tra Lila ed Elena è complessa, segnata da ammirazione, gelosia, competizione, ma anche da un legame indissolubile. Questo rapporto diventa il fulcro del romanzo, un prisma attraverso cui esplorare le dinamiche del potere, del sacrificio e dell’amore.

“La Elena della quarta stagione è sempre più indipendente e consapevole. Attraverso un percorso dolorosissimo riuscirà alla fine a trovare una convergenza con l’idea di donna emancipata, autonoma, di cui scrive ma in cui, fino a un certo punto, con il suo esempio non si riconosce” ha spiegato Alba Rohrwacher a proposito dell’evoluzione del suo personaggio rispetto alle prime tre stagioni. Invece di Lila, Irene Maiorino ha detto che “è un personaggio che procede per sottrazione, eppure più si sottrae più è presente”. Lila da bambina ribelle si trasforma in donna arrabbiata, messa a dura prova da tante sofferenze e perdite.

La morte del fratello e la sparizione della figlia, sono i colpi definitivi per Lila, che non riesce a riemergere dal buio. Scivola nel vuoto lasciato da Tina, perde lucidità e voglia di vivere. Abbandona i tailleur colorati e con la scomparsa di Tina veste unicamente il colore del lutto, ha il trucco perennemente sbavato sul viso, i capelli ingrigiti dal tempo e dalle sofferenze. Mentre lei cade sempre più verso il basso, trascurandosi e lasciandosi andare, Elena è alle prese con stravolgimenti importanti in famiglia, eppure tutto questo non la trasfigura, Il suo aspetto resta curato.

Per comprendere il gran finale de L’amica geniale, dobbiamo ricordarci la scena che ha dato il via a tutto: quella di una Elena anziana che, nel cuore della notte, viene svegliata di soprassalto dalla telefonata di Gennaro, che la avverte che sua madre è scomparsa senza lasciare traccia. Ha fatto sparire tutto di lei: i vestiti, le scarpe, e ha persino tagliato la sua faccia da tutte le fotografie come se non fosse mai esistita. Lila si è cancellata, ed è questo che porta Lenù a rompere una promessa e a scrivere la sua storia, che ha raccontato per quattro splendide stagioni fino ad arrivare a oggi, al giorno in cui quella storia si interrompe e capiamo, finalmente, perché Lila, donna forte che non si è mai piegata a nessuno, ha deciso di sparire, come sua figlia. Lila si confronta con un dolore che nessuno, neanche Lenù, riuscirà mai a squarciare.

La paranoia di perdere le figlie di Lenù mentre quest’ultima è lontana porta Lila a sigillarle in casa come se fossero delle recluse – «Non siamo uscite per 10 giorni: abbiamo mangiato surgelati a pranzo e a cena» -, anche se il vero rammarico di Elena è quello di non sentire dalla bocca di Lila nessun pensiero legato alla scomparsa della piccola.

Il dialogo – bellissimo, uno dei più intensi de L’amica geniale – prende così forma solo nella sua testa, quando lila dice: << dobbiamo uscire dalla rabbia, non dal dolore>>, e spiega che, «se Tina è viva, subisce delle cose orribili lontano da me; se invece è morta. sono morta anche io >>.  «A volte temevo che avesse in testa qualcosa di impronunciabile», dice Lenù, rimproverata da Lila per la sua zoppia – «Ti sei inventata che devi zoppicare per non far morire tua madre: hai smesso di essere figlia e sei diventata madre. Io ti studio» -. Così come Lila studia Lenù, però, anche Lenù studia Lila.<<Parlare con te, Lila, mi aiuta, mi fa ragionare: mi aiuti a stabilire i nessi tra le cose distanti>>,le dice a un certo punto mentre Lila le risponde che, quando sa di esserle utile, <<mi sento meglio»: il succo dell’Amica geniale sta tutto qui. In queste due donne che si reggono e si mantengono l’una all’altra perché, nonostante tutto, non sono mai state tanto vicine a nessun altro essere umano all’infuori di loro, come farà notare Dede, figlia di Elena, a sua madre. E questo vale sempre. Anche quando Lila critica Lenù perché lei e le sue figlie sono «perfette» e quando Lila, una volta saputa dell’uccisione dei fratelli Solara, dice che Tina, da dentro il suo ventre, «si sta vendicando con tutti: li ha ammazzati lei».

La versione di Lila, secondo cui Tina sarebbe l’angelo vendicativo che guida la mano degli assassini dei Solara e che ripulisce, quindi, il rione dalla malavita e il traffico di stupefacenti a questi legato, fa venire in mente il personaggio di un bambino che è strumento per la rinascita dell’umanità nel romanzo di McCarthy “La Strada”. Il bambino e il padre, nel loro errabondare, sono portatori del fuoco.

Essere portatori del fuoco significa essere buoni ed essere giusti. Nel racconto c’è una semplice regola per distinguere i buoni dai cattivi: i cattivi divorano le persone e quindi agiscono disattendendo il principio su cui si fonda ogni costruzione etica che voglia minare alla pacifica convivenza sociale. I cattivi considerano le persone come oggetti di consumo; non pensano a come si deve vivere poiché hanno abbandonato ogni principio morale, a differenza dell’uomo giusto che cerca, anche se non sempre ci può riuscire, di applicare tali principi. In un mondo dove, secondo qualcuno, ogni homo homini lupus, i due protagonisti scelgono di restare umani. Il bambino rappresenta l’ultimo debole fuoco di speranza per la rinascita della civiltà umana.  Stas’Gawronsky osserva: «Sporco, ridotto pelle e ossa, questo figlio che la notte geme per il freddo, appare come un “calice d’oro” buono per ospitare un dio». Proteggendo il bambino, il padre difende anche l’unica speranza dell’umanità di risorgere dalle ceneri.

Lila non riesce a proteggere sua figlia, e sebbene la bontà e la giustizia non sembrano prevalere nel romanzo al punto che la violenza condurrà al rapimento di una bambina,  la decisione di Elena di lasciare il rione e Napoli alle spalle per trasferirsi a Torino con la figlia Imma, simbolizza la volontà di rompere con il passato, di tornare a respirare lontano da un quartiere soffocante dove avidità e sete di potere hanno preso il sopravvento e il male sembra non aver risparmiato nessuno. L’episodio conclusivo, intitolato “La restituzione”, riprende molti dei temi cardine della serie e dei romanzi di Elena Ferrante, mostrando il delicato equilibrio tra separazione e riconciliazione.

Il successo de L’amica Geniale  fa porre un quesito ai lettori da anni: chi è, davvero, fra Lila e Lenù l’amica geniale? Attraverso la lettura della tetralogia di  Elena Ferrante si scovano dettagli, analogie ma soprattutto simbolismi del tutto improvvisi e inaspettati. Un punto fondamentale del romanzo, del resto, è l’amicizia fra le due protagoniste: un legame forte ma ruvido come può essere la realtà in tutte le sue contraddizioni. Non c’è leziosità nel legame di fra Elena Greco e Raffaella Cerullo, ma solo tanto sano realismo. E sono proprio questi contrasti, dove c’è spazio per l’affetto fra le due ma anche per la competizione e l’invidia, che hanno fatto del romanzo di Elena Ferrante un vero capolavoro.

Brillante, sagace e acuta Lila, nonostante il profondo affetto verso Lenù , si sente sofferente nei confronti di quell’amica che ha potuto studiare; questo lato oscuro del personaggio si rivelerà in tutta la sua potenza in improvvisi e sfolgoranti lampi di rancore. L’astio di Lila verso Lenù si paleserà attraverso un forte desiderio di sminuire l’amica, in varie occasioni; un’acredine oscillante, tuttavia, all’incoraggiamento costante. Lila, infatti, esorta Elena allo studio, la incita a diventare la migliore di tutti, si offre persino di comprarle i libri e le dice chiaramente che è la sua amica geniale. Un contrasto raccontato magistralmente nei libri e che porta il lettore a chiedersi il perché, per tutta la quadrilogia. Lila, vede in Elena la sua possibilità di riuscita; non si concepisce come entità separata dall’amica e quindi, se Elena Greco riesce a diventare la migliore di tutti, a uscire dalla vita degradata del rione, anche Lila  in un certo senso può dire di avercela fatta.

Dall’altro lato c’è Lenù: timida, studiosa, pacata. Il suo perenne senso di inadeguatezza, la sua andatura lenta dietro il passo veloce e scattante di Lila, il timore di Elena verso l’ingegno brillante dell’amica. Elena si rende conto che nonostante la lontananza da Lila, quest’ultima riesce a viverle dentro; appura che il libro che l’ha consacrata come scrittrice altro non è che una parte della fiaba scritta da Lila  appena bambina: La Fata Blu. Ogni cosa prosegue sulla scia di quest’amicizia in un eterno gioco di specchi dove, due anime differenti, si riverberano in un unico riflesso.

Lila è un personaggio duro, spesso percepito anche come cattivo e instabile, difficile da delimitare in un contorno, è la la creatrice di scarpe, colei che piega gli uomini con la sua mentre brillante e il suo carisma. Secondo Nino Sarratore: “una vera stronza”, ma anche di un’intelligenza superiore che riconosce nella figlia, Tina. Immacolata Greco, madre di Lenù , dirà alla figlia come l’amica d’infanzia tenga le redini del quartiere, piegando a suo piacimento la famiglia Solara. Lenù  è andata oltre, ha visto il mondo esterno, ma è sempre rimasta radicata al rione e, soprattutto, alle intuizioni geniali di Lila . La Fata Blu, la storia scritta dalla piccola Cerullo da bambina, ne è un esempio; Lenù utilizza la mente brillante dell’amica per scrivere il suo romanzo di successo, e in tutta la sua carriera scolastica utilizzerà spesso l’intelligenza intuitiva di Lila. Lei stessa, infatti, dirà:

                                         “Mi ero sommata a lei, e mi sentivo mutilata appena mi sottraevo. Non un’idea, senza Lila”.

Da ragazze, durante il soggiorno a Ischia Lila riprenderà a leggere dopo anni di inattività. Un’azione che spaventerà Lenù, conscia della mente sfolgorante dell’amica. La lettura di Lila si concentrerà, in quel contesto, su un saggio di Beckett sul personaggio di Dan Rooney; Lila vuole assomigliare al protagonista che rifiuta di vivere convenzionalmente.

Il legame simbiotico fra le due amiche origina dal rapporto con le loro madri: la deprivazione dell’affetto materno verso le figlie costituirà la base di questa amicizia. La madre di Lila è una donna mite ma succube che non si è mai ribellata al marito né ha sostenuto i figli, dall’altro c’è Immacolata Greco che è una donna dal carattere duro, che disapproverà il divorzio della figlia e il suo rapporto libero e anticonvenzionale con Nino Sarratore e che con la figlia vivrà un rapporto conflittuale per tutta la vita. Lenù, nel corso del romanzo, andrà a sottolineare l’impellenza di sostituire al passo strisciante della madre zoppa quello sicuro e scattante di Lila.

Se pensiamo al concetto di smarginatura che Lila spiega, al suo acume nella creazione di scarpe e negli affari, alla direzione riguardante l’azienda informatica creata con Enzo, al suo carisma nel tenere a bada i personaggi più reietti del rione a cui non si è mai sottomessa, così come alle parole che Nino Sarratore dirà ad Elena su di lei – l’unica che è riuscita a non farsi mettere i piedi in testa dal suo narcisismo patologico a differenza della dipendenza di Lenù  – e all’atteggiamento verso la stessa, si potrebbe pensare che sia proprio Lila l’amica geniale del romanzo.

Ma sarebbe una visione troppo scontata e semplicistica. Se Lila ha un’intelligenza pronta, brillante, pratica, Elena è il suo modello; scopriamo infatti attraverso le parole del figlio che Lila passa le ore a scrivere a computer probabilmente per buttare giù il suo dolore in un diario intimo e privato. Elena del resto,  si è emancipata anche se in modo differente. Lenù ha il coraggio di rompere il matrimonio con una persona importante come Pietro Airota, continua a scrivere, cresce le figlie da sola, non si sgretola dopo che Nino Sarratore si rivela in tutta sua penuria; torna al rione, va di nuovo via, si riafferma nuovamente come scrittrice. L’una è la compensazione dell’altra. La genialità sta nell’amicizia fra queste due protagoniste così differenti che, tuttavia, sono due facce della stessa medaglia in un rapporto di coesistenza. L’acume istintivo di Lila che non è stata governata da formazione scolastica è il motore per Elena che trae spunto dall’amica per creare e crearsi; Lenù,  invece, supplisce a questa mancanza con la diligenza, ma non è meno di Lila considerando che è lei che scrive, crea, fa articoli di denuncia pur con l’aiuto indiretto dell’intelligenza primordiale dell’amica. D’altro canto, Elena Greco rappresenta per Lila la crescita culturale: gli occhi su un altro mondo a cui lei   è stata costretta a rinunciare fin da bambina. Entrambe sono due creatrici di mondi e territori. L’ingegno risiede nel rapporto simbiotico delle due protagoniste che si rivelano in pregi e difetti; i quattro volumi raccontano la crescita di Lila e Lenù , a volte incostante, ma sempre parallela dove pur nella loro diversità è tangibile l’equilibrio che regola e governa questo legame. La genialità non risiede quindi in una delle due ma nell’amicizia fra le due: un rapporto complesso, che finirà con la sparizione di Lila quando Elena pubblicherà la storia della loro amicizia: la vera componente geniale di tutto il romanzo.

La Fata Blu è il simbolo dell’intelligenza di Lila..  In tutta la quadrilogia di Elena Ferrante  i libri hanno un simbolismo salvifico poiché mezzo di “riscatto”; la conoscenza, infatti, è l’unico mezzo per sfuggire all’oppressione del rione. Un esempio lampante è in “Piccole donne” – primo libro menzionato ne L’Amica Geniale – che Lenù e Lila, bambine, comprano con i soldi ricevuti da don Achille, un romanzo che non è un  caso, considerando che il testo della Alcott simboleggia l’emancipazione e il riscatto femminile. Non a caso quelle due bambole, sparite nello scantinato di Don Achille, ricompaiono quando tutto è perduto: la loro innocenza, enfatizzata dalla sparizione di Tina e il mondo immaginativo che condividevano; ricompaiono simboleggiando la prima esperienza di perdita, quando il gioco e la realtà iniziarono a confondersi. Nel farle recapitare, Lila sembra chiudere il cerchio di quella relazione intensa, segnata da conflitti, complicità e tradimenti. È come se volesse restituire a Elena il punto di partenza, quel frammento del loro passato che ha dato origine a tutto. Nonostante l’amicizia si sia trasformata nel tempo e il distacco fisico ed emotivo le abbia allontanate, questo gesto ribadisce che quel legame non si è mai davvero spezzato.

Per Elena, inoltre, le bambole rappresentano un messaggio profondo: la consapevolezza che Lila non l’ha mai dimenticata e che, in fondo, la loro storia comune resterà per sempre scolpita nei ricordi di entrambe. È anche un atto enigmatico, in linea con il personaggio di Lila, che sparisce senza spiegazioni, lasciando Elena (e il lettore/spettatore) con domande e riflessioni sull’amicizia, l’identità e la memoria. Le bambole, quindi, non sono solo un regalo, ma un’eredità emotiva, un ultimo dialogo silenzioso tra le due protagoniste.

La vera esistenza, infatti, è possibile solo attraverso la smarginatura: una sensazione di estraneità rispetto ai contesti circostanti che conduce alla comprensione pura del mondo. Una purezza che, disintegrata dalla morte di Tina, torna a scorrere dopo la restituzione dell’intera storia di un’amicizia che è stata leva nei momenti di sconforto e disperazione, mano che ha sollevato quando tutto sembrava perduto, riparo dalle tempeste e dalla brutalità della vita, incitazione a coltivare la resilienza che porta ad alzarsi la mattina nonostante siano più i motivi per piangere che per sorridere. Forse è in questo messaggio che bisogna ricercare la genialità di Elena Ferrante, nella caratterizzazione di due personaggi in cui in modo alterno ci ritroviamo e, immedesimandoci, soffriamo e gioiamo per e con loro, una genialità che oltre alla eccezionale vivacità intellettiva bisogna ricondurre anche  alla sua etimologia latina “genius”, lo spirito tutelare che guida e governa, che crea, la forza produttrice che genera quell’amicizia e la narrazione di un legame che unisce due vite in modo indissolubile ed eterno.

 

 

 

 

 

 

 

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