Letteratura
‘La zona d’interesse’ di Martin Amis racconta la normalità del male
La normalità del male. È un romanzo controverso quello che ha scritto Martin Amis dieci anni fa, La zona d’interesse, edito da Einaudi, e recentemente tornato all’attenzione del pubblico e della critica a seguito della recente trasposizione cinematografica. E racconta esattamente ciò che dicevo nell’incipit di questa recensione: la normalità del male. Perché anche le figure più controverse della storia del ‘900 hanno vissuto una sfera di comfort all’interno della quale il segno delle loro azioni si perdeva nello scorrere placido dei giorni. A fare da preambolo alle vicende del libro c’è una citazione di Macbeth. Girate intorno al calderone, gettate dentro le viscere avvelenate. Rospo, tu che sotto la fredda pietra hai, per trentun giorni e notti, sudato veleno, preso nel sonno, bolli per primo nella pentola magica … Il veleno, ecco l’ingrediente principale del libro di Amis, la retorica nazista, la sottomissione di migliaia di persone e di un popolo all’operazione di sterminio di massa. È questa la normalità del male denunciata da Amis.
Nelle prime pagine del libro viene inquadrata la vicenda attorno a cui ruota tutto il romanzo. La tensione amorosa di Golo Thomsen per Hannah Doll, una donna bellissima, ma non una donna qualunque, perché Hannah, madre di due figli, è la moglie di Paul Doll, spietato comandante del campo all’interno del quale si svolgono le vicende narrate nel libro. Siamo nel Kat Zet I, la zona d’interesse, il centro residenziale delle SS tedesche. Un posto dove la vita scorre tranquilla, le madri passeggiano con i loro figli, si servono pasti abbondanti alla mensa ufficiali e la burocrazia fa il suo corso negli uffici. Golo Thomsen è ufficiale di collegamento tra l’industria bellica e il Reich, anche lui è un ingranaggio del regime, come Boris Eltz, compare ed amico, nonché capitano valoroso e senza scrupoli delle SS. Amis utilizza la narrazione di questo particolare, la vita all’interno della zona di interesse e le vicende di Golo e Hannah, per accendere il contrasto con tutto ciò che succede fuori di lì, lo sterminio degli ebrei, l’Olocausto, le ceneri della cremazione, quel fumo misterioso e inquieto, l’odore nauseabondo dell’odio fatto sistema di potere. E si sofferma sulla zona di interesse per raccontarci uno dei tanti punti in cui l’orrore può nascere.
La struttura del romanzo alterna costantemente il punto di vista di Golo Thomsen, di Paul Doll e di Szmul. Quest’ultimo è il corvo del forno crematorio, un ebreo asservito alla macchina del potere, perché gli ebrei possono mantenersi in vita solo aiutando il nemico a ottenere la vittoria, afferma Szmul, lui che è la parte finale di quella burocrazia di morte della zona d’interesse. Il contrappunto delle voci di Golo Thomsen e Paul Doll è farsesco. Per Thomsen il marito della desiderata è un vecchio beone, ha sempre bevuto, ma non è stato sempre vecchio, e non si comprende come Hannah abbia potuto sposarlo, ma soprattutto come non l’abbia mai lasciato. Paul Doll non pensa altrettanto bene di Golo, lo liquida come omosessuale, e quando i fatti dimostrano tutto il contrario, insiste nel vedere nel suo atteggiamento un eccesso di effemminatezza. Szmul è la contraddizione del reale, un ebreo che pur di salvarsi si fa complice della morte di altri ebrei, di altri uomini della sua stessa razza. Non c’è niente di farsesco però in lui, Szmul è infatti una figura cinerea, come i resti delle azioni da lui compiute dentro il forno di cremazione da lui diretto.
‘La zona d’interesse’ è frutto di un lavoro di ricostruzione minuziosa. Martin Amis cita le fonti dei testi da lui consultati nella postfazione, tutta da leggere con la stessa attenzione dei capitoli del libro. Amis si è documentato su molti aspetti della vita quotidiana nel Terzo Reich leggendo libri di Victor Klemperer, Friedrich Reck, Marrie Vassiltchikov, Golo Mann e Peter Watson. L’autore ha sondato i tic della parlata tedesca leggendo i testi di Allison Owings. Solo nella postfazione viene citato ‘Adolf Hitler’, riportandone il nome tra virgolette per renderlo più gestibile, perché quel nome è simbolo di una spietatezza che non ha avuto eguali nella storia ed è responsabile di vicende senza un perché. Primo Levi è stato uno dei primi testimoni dell’insensatezza del nazismo, e in un aneddoto racconta come ne ha avuto consapevolezza per la prima volta: ammassato in una baracca con l’ordine di aspettare, vide dalla finestra un ghiacciolo, aprì la finestra e lo prese, un soldato che era lì fuori glielo strappò brutalmente di mano, perché, chiese Levi, qui non c’è un perché, rispose il soldato. E alla fine del libro si scoprirà che non c’è nessuna normalità nel male nazista, nessun perché, appunto, e che tutte le figure accecate da quella apparente normalità della Kat Zet I alla lunga usciranno a pezzi da quella situazione di odio fatto sistema.
Serve guardare ad altre opere per risolvere gli interrogativi che apre questo grande romanzo. E si torna ancora su Primo Levi, alla sua Tregua, opera in chiave di commedia da tenere accanto a
Se questo è un uomo. “Come si spiega l’odio fanatico dei nazisti contro gli ebrei?”. Levi, nella Tregua, elenca le cause più comunemente citate di questo odio, tutte non proporzionali rispetto ai fatti da spiegare. E quanto è avvenuto dentro e fuori la Kat Zet non si può comprendere, perché comprendere è quasi giustificare, dice Primo Levi. Nessun uomo normale, prosegue Levi, potrà mai identificarsi con Hitler, Himmler, Goebbels, Eichmann e altri. Le loro parole e opere non sono umane, anzi sono contro-umane, perché nell’odio razzista non c’è razionalità, non c’è normalità, è un odio fuori dell’uomo, conclude Levi. E per accendere ancora un faro su uno dei periodi peggiori della storia umana serviva una narrazione come quella di Amis, serviva un occhio che raccontando la normalità della zona d’interesse, e tutti quei treni che partivano per chissà dove, ne sapesse mettere in luce ancora una volta tutta la sua irragionevole atrocità.
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