Letteratura
La visione in moto
Premessa. Tutta la mia vita è corsa a due ruote dai sedici ai 45. La macchina era l’eccezione. La macchina era l’occasione. La pioggia ma non sempre. Il freddo mai, in ogni caso. In ogni caso, la moto era Nulla poteva fermare quella relazione biunivoca – sì, è vero, alla moto dai, la moto ti dà anche se sembra un assurdo. Poi dopo anni di scooter dal più piccolo cinquantino al 300 cc i miei sogni si sono compiuti e, alla fine, infranti in una tardiva Moto Guzzi V750 (nulla a che vedere con le carenate due ruote di Berger di cui poi leggerete). Infranti con poco dolore ma grandi danni e successivi ripetuti ricominciamenti a piedi. Eppure, nonostante il sinistro finale, e la decisione di interrompere la relazione biunivoca per transitarla alle due ruote senza motore, come se a cambiare dovesse essere non la forma ma il tempo di questa relazione, tutto il mio sentire è stato e sarà sempre influenzato da quella concezione esposta e aperta che ha l’andare senza guscio, su due ruote. Chiusa la premessa.
C’è uno sguardo preciso in tutte le cose che scrive John Berger. Ancor prima c’è una questione di sguardo. E sguardo è, in ultimo, una parola che ricorre nel suo lavoro. Che è essenzialmente una narrazione del visto, del visibile e talvolta di visioni immaginate. Più che immaginarie. E difatti quel che viene raccontato c’è sempre o sempre viene restituito a chi legge con concretezza.
Si può dire che uno legga un libro di Berger come una lezione sulla capacità di saper osservare. O che la lettura finisca per tradursi in questo e non deve essere casuale che dopo aver esordito come pittore Berger sia stato insegnante di tecnica artistica e solo dopo critico d’arte e scrittore come a rintracciare in questo vettore il senso del suo lavoro nella traduzione dal gesto e alla visione e al racconto di questo passaggio aurorale (autoriale).
Anche in questo libro “Sulla motocicletta” (Neri Pozza) che collaziona con la consueta amicizia-cura di Maria Nadotti gli scritti a due ruote dell’inglese è la prova che quando pure al centro del lavoro di Berger c’è l’ineffabile – la sensazione della verticalità in sella – si ha l’impressione di toccarlo. E questo, ammettiamolo, è il magic touch di ogni scrittore visionario o no che sia. Ha ragione Berger: la moto ha senso in moto – e i suoi schizzi a contrappunto degli estratti di cui si compone lo traducono in un segno vorticoso. Da fermo la moto perde gran parte del suo fascino.
E’ la macchina la regina della stasi, anche nella forma accessoria del ricovero, anche episodico. Prendete ad esempio quel piccolo capolavoro evoluzionistico rappresentato dall’ironico “The lady in the van” (da noi “La signora nel furgone”, Adelphi) di Alan Bennett. La moto – la cui passione ha conquistato libri al brivido della filosofia zen e dell’iniziazione – finisce per essere qui uno strumento dell’osservazione e Berger ci guida in questo passaggio tra inseguimenti e sfide con il figlio o con altri piloti da città o montagna (specie nelle alpi francesi in un piccolo villaggio delle quali visse per molti anni l’inglese).
Essere centauri rende mitologici e non è casuale che ciò sia precluso anche ai più avventurosi piloti d’auto. Con la sola eccezione dell’incidente. E qui come non nominare “Crash” di James G. Ballard (di nuovo scrittori inglesi!), apoteosi dell’idea di auto come prolungamento del talamo con buona pace dei negazionisti della virale virilità dell’acquisto delle quattro ruote (e forse in genere dei motori) e dell’eros-thanatos.
La curatela della Nadotti è come sempre una garanzia di “origine controllata” delle cose di Berger e si vede nel caso di questo libro che isola cose diverse e sperse ridotte nel tema “due ruote”. Ma siamo qui a dire che l’opera dell’autore inglese (in Italia per gran parte edita da Neri Pozza come questo o Il Saggiatore) a cominciare da “G.” (Premio Man Booker nel 1972) merita di essere letta e studiata. Usata anche come risorsa al piattume ispirativo che contraggono molti editori e autori mossi spesso dalla voglia di stupire gettando fumo davanti allo sguardo di chi legge.
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