Letteratura

La Verità su tutto: intervista a Vanni Santoni

24 Febbraio 2022

Cleopatra Mancini è una giovane ricercatrice universitaria dalla vita ordinaria: una carriera avviata, la routine della vita di dipartimento, una fidanzata, una bella casa. Un giorno però qualcosa cambia in modo radicale. Cleo visualizza un porno amatoriale nel quale, in un contesto di squallore percepito come quasi violento, crede di riconoscere la sua ex fidanzata. Un fatto banale, dal quale però prende avvio una riflessione – inizialmente a tratti narcisistica – sul male compiuto nel corso della sua vita (“Si sarà ridotta così a causa del mio abbandono?”) e sulle responsabilità connesse all’esercizio del male, volontario o involontario. Inizia così una ricerca interiore che, dal recupero introspettivo di eventi avvenuti nel corso dell’infanzia, dell’adolescenza, della prima età matura, implica da prima la messa in discussione delle certezze professionali, poi quelle relazionali e infine esistenziali. Cleo affronta un viaggio di ricerca, visitando comunità religiose molto diverse fra loro, che l’allontana sempre più dal “mondo”, per poi tornare a immergervisi nuovamente, ma con un interrogativo costante “Si può esercitare potere, agire nella realtà, senza praticare il male?”.

La verità su tutto è un romanzo che mescola fiction e saggistica, narrazione documentaristica e giornalismo, con uno stile mescidato, estremamente curato nel dettaglio formale. Un lavoro complesso, che testimonia una ricerca puntuale sulle fonti e, parallelamente, un percorso di riflessione sul senso profondo della pratica culturale oggi. Ne abbiamo parlato con l’autore in una breve intervista.

Già nel tuo precedente romanzo – I fratelli Michelangelo – affrontavi il tema della ricerca di un senso superiore del vivere, un processo di approfondimento esistenziale che, in quel caso, aveva maggiormente a che fare con la storia, le radici. In questa tua ultima opera ti sei invece concentrato su un grado differente e più profondo di ricerca, quella spirituale, a partire dall’analisi del male, della possibilità di vivere, stando nel mondo, senza esercitarlo. Da dove nasce questa riflessione e il desiderio di approfondire in un romanzo?

È vero, già il mio romanzo precedente, I fratelli Michelangelo, sfiorava il tema della mistica: ognuno dei quattro fratelli protagonisti rappresentava il tentativo di realizzarsi secondo le “vie” ascendenti della tradizione indiana: Enrico la realizzazione attraverso il piacere, Louis quella attraverso il denaro, Cristiana quella attraverso le arti, e Rudra quella più alta, la realizzazione spirituale; a far loro contraltare, il “protagonista ombra”, il padre Antonio Michelangelo, un uomo che ha attraversato il ‘900 mietendo successi nei primi tre campi: dirigente di grandi aziende del paese, pieno di donne, pure artista riconosciuto. Eppure Antonio non è mai stato veramente capace di afferrare la dimensione mistica, venendo pur sempre, in quanto uomo novecentesco, dal materialismo storico. Così, finito quel romanzo, ho pensato che si poteva procedere attaccando in modo diretto tale tema, peraltro poco trattato dalla narrativa contemporanea.

Questo libro è un ibrido, come fra l’altro molti tuoi lavori. In parte fiction, in parte saggio, in parte racconto giornalistico. Un lavoro sfidante sotto il profilo stilistico, ma che deve aver richiesto anche molto studio: si spazia infatti dall’approfondimento, mai banale, di filosofie orientali, padri fondatori del pensiero cristiano come S. Agostino, passando per i dolciniani e le sette contemporanee. Come si è sviluppato il lavoro di “officina” di questo romanzo?

Personalmente considero La verità su tutto un romanzo puro, così come considero romanzi anche miei libri di cui si parla sempre come ibridi, quali La stanza profonda o Muro di casse. Questo perché oggi il romanzo non è soltanto il genere egemone, ma è anche un genere che può includere di tutto, senza per questo smettere di essere romanzo.

Detto ciò, è vero che La verità su tutto è un romanzo che tratta e approfondisce diversi filoni della mistica orientale e occidentale, e per questo ha richiesto un enorme lavoro di documentazione. Più del previsto. Molto più del previsto. In effetti, quando Mondadori mi chiamò per dirmi che, in seguito allo scombussolamento dei calendari editoriali causato dal lockdown, il mio romanzo sarebbe uscito nel 2022 e non nel 2021 come avevamo inizialmente previsto, fui felicissimo: non sarei mai riuscito a finirlo in quei tempi, vista la quantità di testi che mi ero ritrovato a dover studiare, con in più la necessità di conciliare l’efficacia teoretica con quella narrativa – La verità su tutto è appunto un romanzo, e a volte prende addirittura i tratti della commedia.

Dai luoghi ai personaggi, La verità su tutto risulta essere, nella sua terza parte, quasi una docufiction. L’impressione è quella di un percorso di Cleo (Cleopatra Mancini), che ripercorre passo a passo quello dell’autore. Quanto hai viaggiato, quali tue esperienze si riverberano nel romanzo? Hai effettivamente visitato alcune di queste comunità spirituali?

Certamente, ho girato molto, e alcuni posti li conoscevo già e ci sono tornato. In effetti le comunità, gli ashram e gli eremi che ho visitato io sono molto più numerosi di quelli visitati da Cleo, perché li ho sommati e ibridati tra loro per creare quelli che troviamo nella finzione romanzesca. Nessuno di quei luoghi è il semplice calco di un corrispondente reale: in genere ognuno racchiude elementi di due, più spesso tre o quattro luoghi reali. E poi c’è il Paradisino, eremo in cui si svolge la quarta e decisiva parte del romanzo: quello è un luogo, invece, del tutto reale – sta poco sopra l’Abbazia di Vallombrosa, già centrale nei Fratelli Michelangelo – di grande importanza per la storia della letteratura, dato che John Milton vi scrisse una parte del suo Paradiso perduto, mentre i personaggi che lo abitano all’arrivo di Cleo – Nami, Sayori, Girolamo, Antonio (Michelangelo?), Alejandro, il dottor Bernardi – sono finzionali, anche perché da quel momento in poi La verità su tutto abbandona completamente la dimensione di docufiction per prendere una grana più simbolica, a tratti quasi allegorica.

Una doverosa domanda sullo stile che, come nelle tue opere precedenti, è fortemente riconoscibile. Le forme linguistiche mescidate da vari dialetti, lo stile colloquiale che intervalla passaggi linguisticamente molto più letterari, i differenti generi praticati nelle stesse pagine. Quali sono, se ci sono, i tuoi modelli di riferimento?

I modelli sono tanti, troppi per elencarli qui, ma come sempre accade nei miei romanzi sono quasi tutti citati all’interno del libro stesso, come letture che fa la protagonista Cleo. Mi piace esplicitare la bibliografia di riferimento all’interno del romanzo stesso, un esperimento già tentato nei Fratelli Michelangelo con la biblioteca di Enrico, e ripetuto, con maggior consapevolezza, qui. Oltre a ciò ovviamente c’è tutto il carico del lavoro di ricerca linguistica cominciato col gergale a volte “anticato” degli Interessi in comune, evolutosi in Se fossi fuoco arderei Firenze e poi nei romanzi successivi, nonché un certo tipo di intertestualità messa a punto con Muro di casse e La stanza profonda. Il discorso è quindi lungo. Volendo però cercare qualche influenza specifica e diretta, sicuramente nella quarta parte si sente l’influenza del Bernhard di Perturbamento, così come per certi passaggi “dottrinali” della quinta parte sono andato a riprendere direttamente lo stile delle Upanishad e di altri testi della tradizione indiana.

Tornando al tema del romanzo, Cleo risulta essere, agli occhi dei co-protagonisti che restano “nel mondo” (il padre, l’ex fidanzata) una deviante, una donna in crisi, si direbbe con linguaggio contemporaneo, che mette in uno stato di preoccupazione le persone – poche a dire il vero – a lei vicine. Qual è oggi il confine sottile fra ricerca mistica o spirituale e follia nel percepito quotidiano? Ed è possibile, a tuo parere, interrogarsi sul male e sull’esercizio del male per chi vive una vita in cui si esercita, in piccola o grande parte, potere?

Il primo ostacolo con cui si scontra la ricerca spirituale di Cleo è proprio la “peer pressure”: compagna, padre, colleghi non prendono sul serio la sua svolta, anzi la ascrivono immediatamente a una crisi. Notare il termine: viviamo, oggi, in un paradigma psicanalistico che ha ampiamente sostituito quello religioso (o, prima, magico) un tempo vigente. Ergo, per la spiritualità non c’è posto: può al massimo essere hobby, passatempo, curiosità intellettuale. Ma di fronte a una adesione integrale quale quella di Cleo – e di chiunque voglia prendere davvero sul serio la mistica –, la reazione non può che essere di rifiuto: Cleopatra diventa una “donna in crisi”… se non una che ha perso definitivamente la brocca. Anche per questo è stato interessante ambientare un romanzo di ricerca spirituale nell’Occidente contemporaneo e no, che so, nell’India medievale come il Siddhartha di Hesse.

Circa il problema del male… non credo sia un caso che molti santi, oggi come ieri, siano anche eremiti. Fare il male diventa più difficile se per decine o centinaia di chilometri non c’è un’anima. Vivere in società e allo stesso tempo essere puramente buoni diventa molto più complicato: Cleopatra Mancini avrà modo di discorrerne, lungo La verità su tutto, con la sua “tulpa”, o amica immaginaria, Simone Weil.

Immagino che il lavoro su questo romanzo sia stato molto faticoso. Hai già in cantiere nuovi progetti a cui dedicarti?

Quando ho finito La verità su tutto, che ha richiesto due anni e mezzo di lavoro davvero totalizzante, ho avuto la classica sindrome post-parto e ho cominciato non uno ma due romanzi. Difficile dire se vedranno davvero la luce. Probabilmente no. Di certo nel 2023 è previsto un ibrido saggio-romanzo per Laterza, sulla scia di Muro di casse e La stanza profonda, e dedicato a un’altra sottocultura giovanile nata dal basso, lungamente criminalizzata e poi divenuta mainstream. Al di la di questo progetto, che era in cantiere da tempo ma che ho dovuto interrompere perché LVST chiedeva tutta la mia attenzione, credo comunque che prima di intraprendere un altro romanzo denso e intenso come La verità su tutto, vorrò intervallare con qualcosa di più leggero: una novella, o un ritorno al fantastico, vedremo.

 

 

 

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