Letteratura

La Valle del non ritorno

10 Gennaio 2017

Questo libro è un romanzo scritto a quattro mani in cui le due autrici nonché sorelle, Adriana e Giovanna Ricci, ci offrono uno spaccato di psicologia dove le protagoniste devono scavare nei meandri dell’ animo umano per affrontare l’ irrisolto che  giace nascosto sul fondo delle loro coscienze.

Viaggio  di  scandagliando, di conflitti e contraddizioni si dipana attraverso tre racconti in cui prima separatamente, insieme nell’ ultimo, le due sorelle  protagoniste, Laura e Arianna rispettivamente alter ego di Giovanna e Adriana, si trovano ad affrontare ricordi familiari dolorosi. É, infatti, un viaggio autobiografico dove i traumi della due autrici prendono forma attraverso la scrittura con la complicità  di una narrazione a cui partecipano personaggi inventati reali e fantastici e in cui gli eventi  soprannaturali  che capiteranno loro, sono solo  apparentemente casuali, in verità decisivi al dipanarsi di una realtà sepolta sotto la quotidiana superficie delle loro vite.

Nel  primo racconto sarà il treno, alcune stazioni  che porterà Giovanna da Napoli a Milano, nonché l’incontro con un’adolescente, a dare inizio ad una serie di  flashbacks  che le faranno ripercorrere momenti della sua storia di donna alle prese con  sogni interrotti e con un bilancio di vita che non ha  quadrato mai  perché non ha mai provato a ribellarsi alla madre prima, al marito poi.

A mettere in moto un processo di dolorosa autoconsapevolezza sarà, nel secondo racconto,  il misterioso arrivo di  un’ anziana signora  dall’aspetto di un’ istitutrice inglese  e l’apertura del suo  negozio di antiquariato in cui, tra l’altro, si vendono  specchi. Sarà il momento della verità per ciascun membro dell’’intera comunità che, entrando a turno  nella bottega dalla splendida vetrina, ne uscirà come si esce da una  bottega degli orrori: diverso, impaurito, arrabbiato, triste, sospettoso, incapace persino di comunicare  con gli altri. Anche Arianna dovrà fare i conti con lo  specchio: l’incontro con la verità e il coraggio di accettarla per liberarsi dalle sue paure, la porterà a riesumare oggetti il cui ricordo l’avrebbe fatta soccombere e a ritirarsi in un mondo non fantastico, ma  virtuale. Un mondo in cui la sua eroina Isabella, ribelle e libera di scegliere, vive una dimensione parallela, ma  vera al punto tale che spesso si chiede se non fosse quella  la sua realtà mentre l’altra, la vita vera, solo un  sogno; un mondo, insomma,  in cui cerca salvezza.

Essendo più che personaggi  un pretesto per  avviare una ricerca nel profondo del proprio sé, sia la ragazza del treno che l’anziana signora  ad un certo punto della narrazione spariscono, al punto che le stesse  Laura e Arriana si chiederanno se  sono  solo proiezioni della propria fantasia o il desiderio  di entrambe di voler guardare profondamente in se stesse.

Nell’ultima parte intitolata lo specchio di Adele, il fantasma della nonna delle due protagoniste, Adele appunto, svelerà la verità  attraverso uno  specchio, smantellando  tutti gli artifici che ciascuno inventa  per  essere soddisfatto di sé e  dando  il via ad un processo catartico in cui i ricordi sepolti possono essere analizzati lucidamente  solo col diaframma della lontananza.

L’ insicurezza dettata dalla mancanza  della figura paterna distrutta persino nel ritaglio delle foto, l’ amore soffocante di una madre che si impossessa della vita delle figlie, mettendo ordine nei loro  cassetti, scegliendo i loro amori, catalogando per loro  il superfluo da gettare dal necessario da conservare e in generale  l ’ amore  nelle sue complicanze, spesso artificio che dissimula  la realtà dei fatti e la percezione che abbiamo di essa, sono temi ricorrenti.

“Non basta amare  bisogna saperlo fare e non tutti ne hanno la capacità”  dirà Laura del compagno.

“Mia madre  mi ha amato molto, ma in modo sbagliato” dirà Arianna della madre.

L’unica strada per salvarsi dalle aberrazioni  dell’ amore  sembra essere quella della lotta che consiste nello scoperchiare il vaso di pandora, portando alla luce la verità  e  risolvere i conflitti che hanno condizionato la vita delle due protagoniste. Una verità che non può prescindere  dal riconoscere come alibi i comportamenti necessari  a  giustificare le nostre scelte. Solo così le due donne  saranno capaci  di accettarsi nei propri limiti e nelle proprie debolezze e lo fanno insieme sconfiggendo quei fantasmi  veri o presunti della loro mente.

L’ immagine di copertina di  “la Valle del non ritorno”, di chiara ispirazione surrealista, riporta alla mente la “Persistenza della memoria”. Sebbene manchi il riferimento visivo degli orologi molli  dell’opera di Dalì, non manca il riferimento temporale presente, invece, nel titolo del romanzo. il paesaggio sembra aver subito un evento catastrofico, c’è  solo una landa desolata senza  traccia di essere vivente e  le rovine di un edificio di cui non si riescono a ricostruire le sembianze. Eppure  il cespuglio d’erba ancora rigoglioso e un cielo tinto di rosa, presagio di un tempo migliore, fanno intravedere un barlume di speranza : la valle del non ritorno non è un luogo nefasto, ma uno spazio della mente  da cui  si può far ritorno più forti e consapevoli di prima.

Sono presenti  nel racconto diversi  topoi  letterari : il treno, il viaggio, soprattutto  lo specchio.

Alter ego di ognuno di noi  in cui ciascuno cerca di ritrovare la propria figura, lo specchio  riflette tante immagini quante sono le angolature secondo cui ci poniamo dinanzi ad esso. Cornice  in cui poter  ritrovare  l’ ombra di quello che eravamo e di  ciò che  siamo diventati, tempo di bilancio in cui scorrono come in un film i fotogrammi  della nostra esistenza, quello che  Eduardo chiamerà  “o parla nfacc”, “o scostumato”, ma che spesso per creare   un’ immagine di sé accettabile, non frammentata e  deformata in cui compiacersi  e creare false  costruzioni di felicità diventa  lo specchio di Alice, quello in cui  la meraviglia sta nella capacità dello specchio stesso  di compensare aberrazioni.

E’  un libro in cui ciascuno di noi può riconoscersi, può camminare dentro di sé accompagnato dai fantasmi dei propri alibi, timori e  maschere perché è difficile disarmarsi  e sconfiggere il nostro nemico: l’immagine che proponiamo di noi stessi.

Parafrasando Chesterton scondo cui : “Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi non  esistono. Le fiabe raccontano ai bambini  che i draghi possono essere uccisi”, bisognerebbe, forse, abbassarsi all’altezza di bambino per non trasformare  la bottega dei nostri errori in quella degli orrori.

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