Letteratura
La Valle del non ritorno
Questo libro è un romanzo scritto a quattro mani in cui le due autrici nonché sorelle, Adriana e Giovanna Ricci, ci offrono uno spaccato di psicologia dove le protagoniste devono scavare nei meandri dell’ animo umano per affrontare l’ irrisolto che giace nascosto sul fondo delle loro coscienze.
Viaggio di scandagliando, di conflitti e contraddizioni si dipana attraverso tre racconti in cui prima separatamente, insieme nell’ ultimo, le due sorelle protagoniste, Laura e Arianna rispettivamente alter ego di Giovanna e Adriana, si trovano ad affrontare ricordi familiari dolorosi. É, infatti, un viaggio autobiografico dove i traumi della due autrici prendono forma attraverso la scrittura con la complicità di una narrazione a cui partecipano personaggi inventati reali e fantastici e in cui gli eventi soprannaturali che capiteranno loro, sono solo apparentemente casuali, in verità decisivi al dipanarsi di una realtà sepolta sotto la quotidiana superficie delle loro vite.
Nel primo racconto sarà il treno, alcune stazioni che porterà Giovanna da Napoli a Milano, nonché l’incontro con un’adolescente, a dare inizio ad una serie di flashbacks che le faranno ripercorrere momenti della sua storia di donna alle prese con sogni interrotti e con un bilancio di vita che non ha quadrato mai perché non ha mai provato a ribellarsi alla madre prima, al marito poi.
A mettere in moto un processo di dolorosa autoconsapevolezza sarà, nel secondo racconto, il misterioso arrivo di un’ anziana signora dall’aspetto di un’ istitutrice inglese e l’apertura del suo negozio di antiquariato in cui, tra l’altro, si vendono specchi. Sarà il momento della verità per ciascun membro dell’’intera comunità che, entrando a turno nella bottega dalla splendida vetrina, ne uscirà come si esce da una bottega degli orrori: diverso, impaurito, arrabbiato, triste, sospettoso, incapace persino di comunicare con gli altri. Anche Arianna dovrà fare i conti con lo specchio: l’incontro con la verità e il coraggio di accettarla per liberarsi dalle sue paure, la porterà a riesumare oggetti il cui ricordo l’avrebbe fatta soccombere e a ritirarsi in un mondo non fantastico, ma virtuale. Un mondo in cui la sua eroina Isabella, ribelle e libera di scegliere, vive una dimensione parallela, ma vera al punto tale che spesso si chiede se non fosse quella la sua realtà mentre l’altra, la vita vera, solo un sogno; un mondo, insomma, in cui cerca salvezza.
Essendo più che personaggi un pretesto per avviare una ricerca nel profondo del proprio sé, sia la ragazza del treno che l’anziana signora ad un certo punto della narrazione spariscono, al punto che le stesse Laura e Arriana si chiederanno se sono solo proiezioni della propria fantasia o il desiderio di entrambe di voler guardare profondamente in se stesse.
Nell’ultima parte intitolata lo specchio di Adele, il fantasma della nonna delle due protagoniste, Adele appunto, svelerà la verità attraverso uno specchio, smantellando tutti gli artifici che ciascuno inventa per essere soddisfatto di sé e dando il via ad un processo catartico in cui i ricordi sepolti possono essere analizzati lucidamente solo col diaframma della lontananza.
L’ insicurezza dettata dalla mancanza della figura paterna distrutta persino nel ritaglio delle foto, l’ amore soffocante di una madre che si impossessa della vita delle figlie, mettendo ordine nei loro cassetti, scegliendo i loro amori, catalogando per loro il superfluo da gettare dal necessario da conservare e in generale l ’ amore nelle sue complicanze, spesso artificio che dissimula la realtà dei fatti e la percezione che abbiamo di essa, sono temi ricorrenti.
“Non basta amare bisogna saperlo fare e non tutti ne hanno la capacità” dirà Laura del compagno.
“Mia madre mi ha amato molto, ma in modo sbagliato” dirà Arianna della madre.
L’unica strada per salvarsi dalle aberrazioni dell’ amore sembra essere quella della lotta che consiste nello scoperchiare il vaso di pandora, portando alla luce la verità e risolvere i conflitti che hanno condizionato la vita delle due protagoniste. Una verità che non può prescindere dal riconoscere come alibi i comportamenti necessari a giustificare le nostre scelte. Solo così le due donne saranno capaci di accettarsi nei propri limiti e nelle proprie debolezze e lo fanno insieme sconfiggendo quei fantasmi veri o presunti della loro mente.
L’ immagine di copertina di “la Valle del non ritorno”, di chiara ispirazione surrealista, riporta alla mente la “Persistenza della memoria”. Sebbene manchi il riferimento visivo degli orologi molli dell’opera di Dalì, non manca il riferimento temporale presente, invece, nel titolo del romanzo. il paesaggio sembra aver subito un evento catastrofico, c’è solo una landa desolata senza traccia di essere vivente e le rovine di un edificio di cui non si riescono a ricostruire le sembianze. Eppure il cespuglio d’erba ancora rigoglioso e un cielo tinto di rosa, presagio di un tempo migliore, fanno intravedere un barlume di speranza : la valle del non ritorno non è un luogo nefasto, ma uno spazio della mente da cui si può far ritorno più forti e consapevoli di prima.
Sono presenti nel racconto diversi topoi letterari : il treno, il viaggio, soprattutto lo specchio.
Alter ego di ognuno di noi in cui ciascuno cerca di ritrovare la propria figura, lo specchio riflette tante immagini quante sono le angolature secondo cui ci poniamo dinanzi ad esso. Cornice in cui poter ritrovare l’ ombra di quello che eravamo e di ciò che siamo diventati, tempo di bilancio in cui scorrono come in un film i fotogrammi della nostra esistenza, quello che Eduardo chiamerà “o parla nfacc”, “o scostumato”, ma che spesso per creare un’ immagine di sé accettabile, non frammentata e deformata in cui compiacersi e creare false costruzioni di felicità diventa lo specchio di Alice, quello in cui la meraviglia sta nella capacità dello specchio stesso di compensare aberrazioni.
E’ un libro in cui ciascuno di noi può riconoscersi, può camminare dentro di sé accompagnato dai fantasmi dei propri alibi, timori e maschere perché è difficile disarmarsi e sconfiggere il nostro nemico: l’immagine che proponiamo di noi stessi.
Parafrasando Chesterton scondo cui : “Le fiabe non raccontano ai bambini che i draghi non esistono. Le fiabe raccontano ai bambini che i draghi possono essere uccisi”, bisognerebbe, forse, abbassarsi all’altezza di bambino per non trasformare la bottega dei nostri errori in quella degli orrori.
Devi fare login per commentare
Accedi