Letteratura
La Temeraria, vita esemplare di una donna del secolo breve
“Chiarirmi il senso della vita”, questo brano, strappato ad una sua lettera, potrebbe essere assunto come chiave di lettura di una vita intensa, spesso al limite, che segna l’avventura terrena di Luciana Frassati Grawonska a cui Marina Valensise, scrittrice colta e di grandi qualità letterarie, dedica una corposa biografia, pubblicata da Marsilio.
“La temeraria”, titolo del volume, scolpisce il carattere di Luciana, rampolla di un facoltoso casato alto borghese torinese, particolarmente intelligente, di grande sensibilità culturale, attenta ai fenomeni artistici, che si viene a trovare, forse senza averne piena consapevolezza, al centro di vicende sicuramente più grandi di lei così da fare della sua, per usare una definizione che Giuseppe Tomasi di Lampedusa usò per il suo Cesare, “una vita esemplare”.
Nata al debutto del secolo breve e cresciuta in una famiglia importante, che godeva di grandi relazioni a cominciare da Giovanni Giolitti – a cui si deve la costruzione dell’Italia potenza industriale – Luciana Frassati, e con lei il fratello maggiore Pier Giorgio, si confrontano con genitori sostanzialmente anaffettivi, che scontano una crisi coniugale che non si traduce, per quel perbenismo di un certo mondo borghese, in separazione.
A differenza del fratello, che costruisce, in un mondo parallelo del quale in famiglia si rendono poco conto, una propria identità nella vocazione per gli altri carica di fervore religioso, Luciana si fa assorbire, almeno apparentemente, da quel bel mondo nel quale le annoiate figlie di un mondo ricco e spesso superficiale tradizionalmente consumavano il loro tempo.
Una fra le tante, si potrebbe dire, se non avesse fatto in lei da controcanto quell’intelligenza e quelle sensibilità che la spingevano ad allargare i suoi orizzonti al di là del conformismo borghese nel quale tuttavia viveva. Decisiva per la sua maturazione, l’esperienza berlinese al seguito del padre, nominato proprio da Giolitti ambasciatore presso la repubblica di Weimar.
Qui Luciana, pur riempendo le sue giornate di ricevimenti eleganti, di incontri al limite della galanteria, di rapporti ancora apparentemente superficiali, riusciva a tessere una rete, che nel tempo si allargherà sempre di più, decisiva per la sua straordinaria vita futura.
Una vita che la vede da protagonista il cui punto d’avvio è il suo matrimonio, non si sa fino a qual punto intimamente voluto, con un giovane e brillante diplomatico polacco, il conte Jan Grawoski.
Quel matrimonio, celebrato mentre il fascismo ha ormai conquistato il potere ed emarginato le ‘voci contro’, come quella di Alfredo Frassati padre di Luciana e fondatore della “La Stampa”, le consente soprattutto negli anni vissuti nella fascinosa Vienna, di entrare in un giro ancor più grande, di divenire amica di personaggi che avrebbero deciso le sorti dell’Europa.
E tuttavia, stranamente, nel così gratificante tourbillon relazionale, non riesce a rendersi conto dei cambiamenti epocali che l’Europa sta vivendo.
Infatti, la pericolosità di fascismo e nazismo le sfuggono al punto da, sottovalutare le loro aberrazioni fino a quando ci va a sbattere contro, nel senso che molti dei suoi amici, dei suoi conoscenti, vengono a subire le conseguenze di quei regimi.
Ecco allora che per lei si apre un nuovo spazio di protagonismo, di affermazione di una identità, sfruttando il proprio fascino relazionale, si converte in donna del “fare”, senza porsi i problemi che stanno a monte dei drammi che sta vivendo si impegna a risolvere o alleviare le conseguenze di quei drammi.
E la parte più intensa della sua vita, che la porta ad incontrare più volte il duce del fascismo per spingerlo ad intervenire con la sua autorità in favore dei perseguitati del nazismo, che dopo l’occupazione della Polonia la spinge a compiere sei viaggi, alcuni veramente avventurosi, per portare sostegno a quella gente cui il nazismo avrebbe strappare la stessa identità, al salvataggio, spesso con azioni che hanno dell’incredibile di oppositori ed ebrei sottratti a morte sicura.
Un attivismo che, meraviglia che sia stato a lungo sopportato dagli aguzzini di Hitler, com’era naturale non poteva che suscitare la reazione della Gestapo alla cui cattura sfugge solo per fortunate coincidenze.
Chiusa la parentesi bellica, l’attorniano le macerie di una catastrofe immane, e soprattutto per lei un vuoto che nemmeno gli affetti familiari, dei suoi sei figli, riescono a colmare.
Molto di quel mondo nel quale si muoveva da protagonista era scomparso o aveva perduto quella fascinazione che l’aveva abbagliata, lo spaesamento ne è la conseguenza.
E qui inizia l’ultima parte della sua vita sempre alla ricerca di un’identità, ossessionata com’è da un protagonismo a cui agogna.
E’ il tempo in cui riscopre, nella sua complessiva consistenza, quegli indizi di santità che avevano fatto avviare un procedimento di beatificazione del fratello Pier Giorgio Frassati.
Ritorna a questo punto la combattente, che si muove nello spazio del potenziale ascolto delle gerarchie ecclesiastiche. Entrano in scena, postulatori di cause di santità, prelati perfino papi, coinvolti da lei per realizzare il suo obiettivo.
Leggendo fra le righe la vicenda appare chiaro che la battaglia, alla fine vinta, che Luciana conduce è in primo luogo per sé stessa e poi per il fratello santo, attraverso quella battaglia vuole dare una risposta di senso all’ultima parte della sua lunghissima vita, una risposta che si consuma, come sempre, nell’azione.
Ancora una volta, dunque, torna ad essere la temeraria che azzarda, non curandosi dei pericoli e dei conflitti che genera, impegnando e sfruttando le sue conoscenze, a conferma di questo intrigante profilo che Marina Valensise ci offre con il suo bel volume…
Concludendo, mi pare opportuno segnalare, a merito dell’autrice, la puntigliosità, al limite della pignoleria, con cui affronta questo impegno letterario, e scientifico ad un tempo. I riferimenti bibliografici e i documenti riportati rivelano, una ricercatrice attenta e ammirevole, che non lascia nulla al caso, segno dunque di contraddizione rispetto a quanto ci capita spesso di incontrare in un tempo, purtroppo, abitato troppo spesso da improvvisatori e da superficiali intellettuali.
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