Letteratura
La Spirale
di Elisa Beltrame
Oggi sono salita sulla bilancia e il numero che mi ha restituito quella piattaforma fredda mi ha fatto sorridere. È un numero ancora enorme, soprattutto se lo metti in un rapporto di proporzioni con il mio essere diversamente alta, ma mi sembra più piccolo rispetto all’ultima volta in cui ci ho messo i piedi sopra. Negli ultimi mesi mi sono sempre detta che anche io occupo uno spazio in questo tempo, quindi è giusto che mi faccia valere e che le persone non si azzardino a pensare di potermi mettere i piedi in testa soltanto perché tendo a sorridere spesso, lasciando dietro il magazzino della bottega del carattere, l’infinita collezione di ghigni e bocche serrate. A parte questa disgressione, salendo su quella cosa grigia e fredda, ho riflettuto sul fatto che occupo anche una forma.
Sono sferica praticamente, non mi avvicino al giusto equilibrio di vuoti e di pieni che dovrebbe avere una bella donna, sono soltanto piena. I vuoti li ho persi, ma solo quelli che non si vedono. Perché dentro sono piena di lacune che in qualche modo ho cercato di colmare con un cibo che non mi serviva al sostentamento, lo usavo per tamponare qualcosa di rotto perché sicuramente perdeva da qualche parte, visto che non riuscivo a smettere di riempirlo. E non mi è mai successo di correre in bagno per svuotarmi del senso di vergogna perché vomitare mi fa schifo.
Non ricordo quando ho cominciato ad essere così compulsiva con il cibo, quello che so è che ho cominciato a non poter fare a meno di fagocitare tutto quello che le mie pupille gustative apprezzano. Avrei dovuto riempire frigo e le dispense di pesci d’acqua dolce e di acqua salata per evitare di allargare lo stomaco e di dare un margine così grande al concetto di sentirmi piena. E invece ho la forchetta facile, mi piace tutto tranne il pesce, adoro le cose che fanno male oltre che far ingrassare, le cose sane non le disprezzo, ma perdono la loro funzione se accompagnate alla spazzatura che immagazzino. A volte mi sento come un bidone dell’indifferenziata e la cosa mi fa stare male soprattutto quando vado a letto, poco prima di addormentarmi sento nella bocca il sapore di un misto di cose che cercano di farsi spazio dentro di me con molta difficoltà, mi sento come un grande albergo al mare nel periodo di Ferragosto che è già al completo, ma una sistemazione per questi qua che arrivano e sorridono la trovi sempre.
Mi giro su un fianco e faccio fatica, il materasso sotto di me fa una conca, sembra un cucchiaio da minestra. E poi eccolo lì il senso di colpa. Tutti voi avete le braccia di Morfeo ad accogliervi prima di un sonno ristoratore, io invece ho gli artigli di questo stronzo. E lì mi viene da piangere ma non piango. In effetti è un dato assodato che io trattenga i liquidi, me lo dice sempre il dottore. Tanto vale non disperdere quelle gocce amare, tirare fuori qualcosa mi spaventa mi spaventa sempre, sono troppo abituata a ingoiare.
Mi domando, con il demone del senso di colpa che si siede al bordo del letto nella parte piatta, il motivo per cui lo faccia. Ma la risposta è sempre la stessa. Non lo so. Mi sento sola anche se so di non esserlo, ma non ho mai costruito una relazione importante. Per tutti sono quella solare che sorride sempre, quella che fa dell’accoglienza, nell’accezione del suo significato più ampio, la sua bandiera, sono quella a cui si può dire qualsiasi cosa tanto lei ti capisce ed è sempre pronta a perdonare ogni tuo smacco. E poi sono quella a cui si vuole bene ma niente di più perché sono riducibile ad una semplicità complicata. Ma io dove mi sono messa? Perché mi sono nascosta qui dentro? Ho boicottato me stessa, l’ho sempre fatto.
Sapevo di avere dei numeri ma non li ho mai giocati, non mi sono mai esposta, non ho mai creduto in me stessa, ho sempre sperato che ad un certo punto qualcuno si accorgesse di me ma non è mai successo. Perché non è vero che la gente ti guarda con gli occhi del cuore, la gente ti guarda e basta e vede quello che vuole vedere, quello che risulta più funzionale per legittimare una propria modalità di comportamento. L’umanità ha perso la dimensione umana. Siamo solo macchine e vince chi ha la carrozzeria più lucida e chi corre più veloce, anche se nella gara, chi taglia il traguardo lo fa in modo scorretto. Che ci faccio io qui? Mangio perché non mi sento parte di questo quadro e allora mi voglio sformare per uscire dalla cornice? A quale prezzo? Cosa porto di questa vita nella mia vita futura? Frustrazione. Ecco la parola. Un termine che sembra un incrocio, c’è una “r” che cambia un significato ad una parola che non ha senso con -zione come suffisso. Quella che invece sento mi risuona come un qualcosa di molto triste.
Guardiamo insieme il vocabolario: frustrazione /fru·stra·zió·ne/ sostantivo femminile 1. Mancato appagamento o soddisfacimento. “la f. di un desiderio” o particolarmente In psicologia, stato psichico di profonda depressione o di sconfitta, che insorge di fronte a difficoltà sentite come insormontabili Eccomi, sono tutta qua, tra queste righe. Anche se, a dirla tutta, per contenermi un intero vocabolario non basterebbe Bene, abbiamo capito il problema, o almeno ne abbiamo individuato uno in una pluralità di altri sintagmi complicati. E adesso che si fa? È davvero possibile fare un cammino o, come dicono, avviare un percorso per uscire da questo labirinto? Io non credo. Sono affetta da una dipendenza, se uscissi da quella del cibo, entrerei sicuramente in un’altra spirale, magari anche più pericolosa. Mentre scrivo penso alla spirale. Lo sapete tutti vero che le parole evocano delle immagini? Io penso che sia così. Anche quando si sogna ci sono delle immagini che ci dicono qualcosa, perché poi noi siamo in grado di raccontarli. Magari poi li esponiamo diversamente da come li abbiamo visti e chi ci ascolta capisce qualcosa di diverso rispetto a quello che gli raccontiamo, ma questo è un altro discorso ancora. Voglio tornare alla spirale. È una figura affascinante. Chiudete gli occhi e visualizzatela. Non sembra anche a voi che la spirale rappresenti il movimento infinito della vita? Se cerchi di capire la sua traiettoria ti rendi subito conto che parte dal centro per svilupparsi, volendo anche all’infinto, verso l’esterno come se ci fosse la possibilità di un’evoluzione continua e costante orientata ad un cambiamento che può avvenire soltanto verso un movimento, un movimento che prevede anche il cammino inverso, come se si potesse tornare indietro.
Ecco allora che si moltiplicano le possibilità. Dentro e fuori, grande e piccolo, la fine è l’inizio, l’inizio è la fine. La mia spirale, quella che ho tracciato con il mio sederone, mi suggerisce qualcosa che già avevo capito. Se la leggo da sinistra a destra mi suggerisce di tornare verso la mia unità. Ho disperso troppe energie verso gli altri dimenticando di coltivare i miei valori, la mia identità. Nonostante questa consapevolezza, a volte ho come la sensazione di distaccarmi troppo, di isolarmi. Questa condizione trova la sua antitesi immediatamente dopo in un movimento dinamico e infinito, come se dovessi aprire le mie finestre per affacciarmi e far entrare chiunque abiti fuori dal mio palazzo. Dov’è l’equilibrio? Ecco perché io ho un rapporto di merda con tutte le bilance.
Credo che sia arrivato il momento di cominciare a dare senso a tutti questi movimenti, alle loro infinite direzioni per creare un campo magnetico forte dentro di me, per dare vita alle mie energie e alla mia creatività e per salire su quella brutta cosa senza sentirmi troppo pesante fuori e patologicamente svuotata dall’interno, oppure al contrario. L’avverbio si presta bene ad entrambe queste proposizioni. Si tratta di capire il mio centro senza abbandonare la periferia. Tante belle cose, ma da che parte si comincia? A proposito, mi sono resa conto proprio adesso che non ho raccontato una storia. Ecco il motivo per cui non avete trovato personaggi, dialoghi o ambienti. Avete letto solo i pensieri di una persona che spesso non vuole soffermarsi alla stazione della consapevolezza per salire su un treno che viaggia su dei binari troppo insidiosi, ma oggi questa persona ha deciso di fare questo viaggio per mostrarvi una stanza del suo ambiente interno, perché la condivisione alleggerisce la dimensione della solitudine.
Elisa Beltrame Vive a Firenze e lavora in una Struttura per minorenni come educatrice. Ha una passione viscerale per le parole che dicono tutto quando si sa leggere tra le righe e scriverci sopra.
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