Letteratura

La solitudine del Grillo (Pamphlet sul vuoto funzionale del M5S) -prima parte-

8 Aprile 2021

Talvolta, mi diverte analizzare, da par mio, ossia da semplice osservatore non accademico, le cose che in una società e in un individuo sembrano scontate. Così, un pensiero largamente diffuso e ritenuto assodato – secondo cui Beppe Grillo, capo indiscusso e ideatore, insieme a Gianroberto Casaleggio, del M5S, sarebbe oltremodo contento e soddisfatto di ciò che è riuscito a plasmare, tirando su, dal niente, un partito consistente e determinante all’interno dello scacchiere politico e istituzionale, che è arrivato ad accumulare oltre 10 milioni di voti, consentendogli di superare la soglia del 30%, prima di subire un vistoso calo alle ultime regionali (quanto mi diverte questa incidentale lunga!) – ha fatto breccia nella mia mente movimentata, aprendomi alla possibilità di scrivere qualcosa di insostenibile, ma non per questo illeggibile e men che meno molesta.
Tuttavia, non posso prescindere, per farmi strada, da un assunto del filosofo George Steiner: “La capacità linguistica di nascondere, disinformare, ipotizzare, inventare e lasciare nell’ambiguità è indispensabile a ogni livello, per l’equilibrio della coscienza e per lo sviluppo dell’uomo nella società”.

Voilà, alla luce di questa riflessione si potrebbe tentare di supporre, senza destare un irreparabile stupore, che il signor Grillo, al pari di qualsiasi stratega di un certo livello, agisca nell’ambito di una intrigante ambiguità, che potrebbe rivelare l’impensabile, senza giungere alla rudimentale ed elementare sentenza dispregiativa, riservata solitamente ai politici, dove vengono bollati come sleali, menzogneri e disonesti.
Strano a dirsi, anche perché gli opinionisti dei miei stivali che vanno per la maggiore non hanno mai avvertito l’esigenza, nelle analisi sul M5S, di isolare necessariamente il suo capo, dalla schiera parlamentare dei rappresentanti e, ancor di più, dalla base.
Vi è, per postura ideologica e formazione, una distanza siderale tra l’artista, diventato attivista politico, Beppe Grillo, e gli stessi pezzi da novanta del partito. Distanza che si raddoppia se viene considerata rispetto all’elettorato pentastellato.
In altre parole, il miracolo grillino è avvenuto nella percezione popolare delle performance energiche di un comunicatore navigato, che è stato acclamato e apprezzato senza comprenderne pienamente i presupposti su cui si reggevano le sue invettive. Presupposti, a mio parere, importanti e aderenti alla realtà contemporanea. Di lui è piaciuto e si è ammirato soprattutto l’atteggiamento focoso e qualche “vaffa”. E, al di là dei princìpi più superficiali di un esercizio critico i suoi parlamentari non sono mai andati. Nessuno di loro, partendo da premesse grilline, ha mai sviluppato un pensiero proprio per contribuire all’evoluzione del grillismo. Di Maio, Casalino, Di Battista, Morra, Fico e compagnia bella non sono idealmente attrezzati per essere grillini.

La sub cultura che ha contraddistinto e contraddice tutt’ora, il M5S non è propria del grillismo. Appare strano? E, chi ha da obbiettare che il grillismo sia il muro portante su cui si regge il partito, evidentemente si sbaglia. Non è così. Avete mai assistito a uno spettacolo del comico? Avete mai posto la vostra attenzione sui testi dei suoi comizi e non solo sul suo dimenarsi sul palco? Niente a che vedere con le scemenze esemplari, ripetute meccanicamente dai minus habentes di cui prima. Sì, d’accordo, spesso incappa in errori di eccesso e non dà un’immagine di sé serena e pacata, ma non è affatto uno sprovveduto. Egli non ha niente della piccineria dei suoi deputati e senatori.
Pertanto, l’espressione parlamentare del M5S non ne costituisce affatto una rappresentanza, ma un paradosso! L’asineria di un Di Maio non può assurgere a miracolo senza destare ritegno tra i mediamente intelligenti; è certamente un prodigio, invece, il tentativo grillino di formare una coscienza critica collettiva, alienato miserabilmente dagli esponenti di punta dello stesso partito.

(continua)

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