Letteratura
La solitudine del Grillo (Il vuoto funzionale del M5S) VI, VII, VIII, IX
Niente che riguarda il M5S può essere considerato alla stregua di un processo politico normale. Pertanto, anche la perdita di voti, che certamente registrerà al prossimo turno elettorale, verrà ad assumere un significato diverso rispetto alla crisi di qualsiasi altro partito. Infatti, come in una proporzione di giustezza biblica, rimpicciolendosi, il M5S migliorerà visibilmente, e i suoi esponenti di spicco avranno una dignità culturale e competenze specifiche per svolgere un’adeguata funzione istituzionale. Perché il partito dovrebbe migliorare, perdendo voti? Semplice, si scrollerà da dosso la rabbia subculturale che fino a qui lo ha contraddistinto, che se da un lato gli ha procurato il consenso largo di diversi esagitati e sprovveduti, dall’altro lo ha delineato come uno dei partiti più modesti della storia politica europea. Mi dico certo che fuori da questo processo di perfezionamento, che coincide necessariamente con un rimpicciolimento del suo elettorato, il partito sarà destinato a scomparire. Ma, chi abbandonerà il M5S? Anche qui la risposta è agevolmente a portata di mano: saranno quelli che guardavano al movimento come a un idolo religioso, verso cui avevano posto, incondizionatamente, la loro fede e fiducia. Ossia, coloro che facevano scaturire da un concetto astratto, quanto dogmatico, una “purezza” che nessun integro partito politico al mondo potrebbe avere, altrimenti sarebbe una congregazione settaria e non un’organizzazione ideologica e istituzionale di adesione popolare, atta a competere democraticamente nella sfera pubblica.
La politica, come la letteratura, è per sua natura un puttanaio: vi possono accedere tutti, belli e brutti, onesti e disonesti, ignoranti qualificati e fini pensatori. Sarà il talento degli interpreti, la forza dei progetti e l’atteggiamento leale che distinguerà sempre la politica delle idee da quella dei mercanti. Non si possono adottare criteri alternativi per guardare alla politica, non ci si può fidare di una insoddisfazione generica ridotta a santino da idolatrare. Vi è una coscienza morale, soggetta a elaborazioni filosofiche, a cui dobbiamo dar conto, e sentimenti che ci fanno propendere verso ciò che ci appare giusto e bello, senza per questo sostituire la nostra scelta con una fede cieca, assoluta, irrazionale. Una tale posizione ideologica non la si pretende, a tutti i costi, dall’elettorato, considerato nella sua disomogenea gamma culturale, ma necessariamente da chi scrive di politica e svolge analisi, con piglio molto più serioso e dotto di quello da me adottato. Nel profondo di noi stessi c’è la chiave per tutto, anche per accedere al luogo che permette di scrutare a distanza, come avviene qui, un uomo e il grande partito politico che è riuscito a creare. L’autenticità di quello che vado scrivendo resta innegabile, anche se non ne garantisco affatto la veridicità e la corrispondenza con la realtà. E, se in ultima analisi, le parole sin qui incastrate apparissero come frottole, bisognerebbe chiedersi, modestia a parte, se in giro si rende possibile leggerne di più armonicamente lavorate. Dio bono, sarebbero frottole e frappe di grande artigianato! Io, con la lingua, ci faccio quello che voglio! Sintassi, creta, o colore a olio: per me si tratta della stessa materia da modellare! Spero di essere stato chiaro e di essermi rivelato abbastanza. E, quello che più conta, di essere uscito dall’equivoco dello scrivente che vuole convincere chi legge degli assunti qui messi in sequenza. Questa è un’esercitazione letteraria, complessa e singolare: io non sto scrivendo, voi non state leggendo. State solo partecipando alla mia esercitazione, in quanto sono io che, gentilmente, ve lo chiedo e perché ho bisogno di voi per continuare nel mio esercizio.
Mi restituisco, dunque, ai miei propositi e proseguo. Credo fermamente che il signor G, in cuor suo, viva un sentimento di vuoto che egli riempie con la speranza di vedersi circondato da bella gente, menti pensanti, sensibilità spiccate. Non posso credere, infatti, al di là della finzione, che nella scelta dei migliori, egli, insieme alla “Casaleggio Associati”, abbia scientificamente messo in atto una ferrea deselezione. Nei suoi occhi leggo disincanto e anche una certa disillusione, velata da una lieve speranza di far rinascere il partito, iniettandogli nuova linfa. La metafora dei rami secchi non è di mio gradimento, quindi meglio dire che i “pezzi da novanta”, si fa per dire, del M5S sono così limitati da assurgere a statici modelli di vecchiezza, totalmente improduttivi ai fini di una politica da proiettare alla fase successiva. E il M5S, ora, per sopravvivere e mantenersi energico, deve obbligatoriamente guardare alla nuova era che lo attende.
PARTE SETTIMA
Il signor G, sveglio com’è, sa che viviamo un’epoca dove niente si rende degno di fiducia e meno che mai di fede. Regna scetticismo e sfiducia un po’ ovunque: troppe mediocrità, davvero tante, sono state consacrate nei vari campi della vita pubblica e della sfera sociale del paese. Egli stesso ha contribuito a questo sfacelo, facendo emergere in politica campioni di piccineria, e inizia ad avvertine i rimorsi, tanto più che ogni annuncio di verità rischia, in questo frangente, a prescindere da chi lo pronunci, di apparire bugiardo. Il signor G è solo con se stesso. Riflette sul da farsi e sulla sua solitudine. Crede nella libertà, eguaglianza e fraternità, gli ideali della Rivoluzione Francese, ed è da lì che vorrebbe riprendere il suo attivismo politico, accantonando definitivamente l’atteggiamento scomposto e i balbuzienti della grammatica, i devastatori del linguaggio, i miserabili del pensiero. Il signor G ha sviluppato una coscienza all’altezza, e meglio ancora sa che l’esistenza stessa è diventata un grosso interrogativo. E, per indagare una domanda di questo tipo e cercare risposte congrue ha bisogno di perseguire una politica alta, scelta, distinta. Oh, mon Dieu! Il signor G, che da un movimento popolare e di volgare pancia ansima di giungere a un partito-club di postura elitaria e nobilmente rivoluzionario? Sì, sì, egli è ossessionato dalla figura del fine penseur, e pensa proprio a una cosa del genere. Fino ad ora è stato sotto le righe. Ora vuole andarci sopra. E sarebbe magnifico, per lui, per la politica, per la nazione! Siamo abituati a vedere il signor G fuori dai gangheri, non sopra le righe. La differenza è enorme, e va colta tutta.
Ormai, si scantona ovunque, a braccio, o seguendo un canovaccio. Più nessuno, o quasi, dei protagonisti della nostra politica, riesce a mantenere una discreta lucidità nel rilasciare dichiarazioni e interviste. Sempre più (dis)orientati a parlare un linguaggio a metà strada, tra il politichese e il critichese, tanti di loro si esibiscono in una melassa appiccicosa che dà piena testimonianza di un pensiero ristretto e dell’indole che lo governa. Se siamo quello che mangiamo, a maggior ragione siamo quello che riusciamo a dire, no?
Ma, un signor G che suonasse oltre il pentagramma di facciata avrebbe di che farci meravigliare! Me lo immagino, io, rivolto a qualche giornalista che va per la maggiore: “La ringrazio per la domanda così idiota, che mi permette di rimarcare quanto sia adeguato il ruolo di contraltare che il giornalismo italiano svolge nei riguardi della politica di comando”. Ecco il vero spettacolo, quello più inaudito e prodigioso, a cui il signor G non ci ha fatto ancora assistere!
Si pensa erroneamente che egli sia piuttosto sfrontato e propenso a essere politicamente scorretto, come si suol dire di chi dice le cose come crede che stiano. No, non è proprio così. Soltanto le sue risatine, o la sua voce nevrastenica e alterata fanno pensare che non abbia alcun pudore nel dimostrarsi autentico al 100%. In pratica, ci si lascia condizionare dall’atteggiamento, che va oltre le parole non dette, o sottaciute. Se solo, il signor G, volesse pescare tra la sua verità più intima e sintomatica, assisteremmo a uno spettacolo equiparabile all’eruzione dell’Etna. Egli è in grado di pronunciare parole di fuoco, da far scorrere come lava sulla patina inconsistente e incolore di una comunicazione scialba e priva di senso, quotidianamente propinata per conformare l’opinione pubblica al suo pallore. Potrebbe, il signor G, se si convincesse a farlo, mettere su uno show epocale, dove la verità di un uomo solo e stanco assurgerebbe a manifesto della capacità e del coraggio di dire, una volta per tutte, pane al pane e vino al vino, senza risparmiare nessuno, a cominciare dai suoi. Sì, certo, apparirà inverosimile, e per certi versi finanche sconvolgente: Beppe Grillo potrebbe farsi beffe anche dei suoi senatori e deputati, mai ritenuti all’altezza del compito affidato loro. Un’invettiva, questa, che suscita molte titubanze? Bene, non me ne preoccupo e proseguo ostinato. Intanto si tenga presente che l’atteggiamento bonario che egli riserva ai suoi esponenti parlamentari è quello tipico di un padre nei confronti dei figli pasticcioni e incapaci.
Man mano che vado avanti avverto la necessità, non fosse altro per poter sviluppare in maniera più agevole le osservazioni che vado maturando, di porre interrogativi retorici a chi legge. Il prossimo è questo: si pensa davvero che un comico come il signor G, che ha svolto il suo mestiere a un livello professionale molto alto, ambisca al disonorevole titolo di ciurmatore di piazza, o di burattinaio di eunuchi ideologici. Gli “eunuchi ideologici” sarebbero i “senza palle della politica”, ma detesto, francamente, il linguaggio, per così dire, giovanilistico del mainstream editoriale. E ancora: è possibile, per uno che esercita un ruolo così ambito, come leader di una considerevole e determinante forza politica, dare manifestazioni di sé così equivocabili, senza voler affermare nll’ambivalenza che esprime un qualcosa di misterioso? Forse, sono giunto all’esagerazione: vuoi vedere che il signor G, sia da inquadrare come certi grandi artisti medievali e rinascimentali, che celavano nei loro affreschi riferimenti personali e aspetti goliardici?
PARTE OTTAVA
Restando nell’argomento e proiettando a dismisura una realtà immaginaria, come quella che vado costruendo intorno alla figura del nostro bravo comico, mi viene in mente, niente di meno che, un parallelismo assurdo e inaccettabile, di quelli che mettono a dura prova il mio fantasioso esercizio e la mia capacità di addurre motivi per dargli corpo. Esso riguarda l’improbabile correlazione che potrebbe intercorrere tra la doppiezza del signor G e il mistero del dipinto più celebre al mondo: “La Gioconda”, di Leonardo da Vinci. Naturalmente, avrò da rendere l’esposizione minimamente ragionevole. Ci provo: per me, tanto quest’opera sublime che la coscienza del signor G potrebbero nascondere una rivelazione insospettabile. Il signor G, misterioso, profondo e intenso come Monnalisa? Il paragone è considerevolmente sproporzionato, il paradosso, meno. Per evitare turbamenti agli amanti dell’arte corro subito ai ripari: è evidente che tra il signor G e la dama leonardesca non vi è nessuna attinenza artistica. L’una è una pittura che dà testimonianza di contenuti spirituali, culturali e storici; l’altro appare come un profittevole reazionario populista, tipico di quest’epoca trascurabile. La prima, costituisce un esempio tra i più rinomati della storia dell’arte; il secondo, è visto come uno degli esempi più improvvisati e incolti della politica contemporanea. Per cui, se avessi voluto cercare argomentazioni di agevole consumo e facile assorbimento, non avrei mai dovuto accostare il signor G alla Gioconda. Ma, qui, per vezzo, si procede bendati, come a mosca cieca, tanto più che l’intero impianto architettonico di questo sforzo letterario si colora sempre più di una tinta ludica.
D’altra parte, mi son liberato, sin dalle prime battute, dalla pretesa di essere convincente a tutti i costi. Quindi, continuo nel mio gioco senza badare più di tanto all’effetto che può suscitare quello che vado scrivendo. Allora, cos’è, che in un certo qual modo, accomuna il signor G alla Gioconda? Questo: una (im)probabile errata valutazione delle identità di entrambi. Mi rendo conto di essere arrivato a un bivio, dove la mia scrittura prosegue in equilibrio su un filo sottilissimo. Un movimento sbagliato, anche se lieve, e si va giù, rischiando di interrompere un cammino sin qui spettacolarmente “lineare”. Meglio premettere, dunque, che sto per offrirvi una verità eccezionalmente incredibile, che dura giusta il tempo della lettura che se ne fa. Speculando, al limite del possibile, fino ad arrivare nella sfera dell’inverosimile, giungo a sostenere che le personalità del signor G e di Monnalisa del Giocondo potrebbero essere diverse da quelle attribuite loro. Da secoli, la Gioconda di Leonardo (son stato di fronte a lei al Louvre, mentre lei ha fatto finta di non vedermi) elargisce il suo inesplicabile sorriso. Di un’espressione così criptica ognuno può dare l’interpretazione che più gli aggrada, o, semplicemente, chiudere la mente e dare libero spazio ai sensi, lasciandosi rapire dall’emozione che si prova al cospetto di una bellezza senza perché. Ragionando per assurdo, cioè, in maniera alternativa al nozionismo statico che gira intorno alle cose di ordine culturale, proviamo a chiederci: chi è la Gioconda? Una donna chiamata Monnalisa, moglie del fiorentino Francesco del Giocondo, oppure l’adultera Pacifica Brandanti da Urbino, come suggerisce Roberto Zapperi con una faticosa ricostruzione storica, o ancora, come sostiene la studiosa tedesca Magdalena Soest, il soggetto del ritratto di Leonardo è Tiziana Caterina Sforza, detta la “Tigressa”, figlia illegittima del Duca di Milano?
Di ponderabile c’è soltanto l’impressione che il celebre ritratto infonde nelle sensibilità più diverse. La mia, nella circostanza, dove inseguo il paradossale, assume forzatamente una stravaganza carica. Forse, troppo. Difatti, l’istinto mi fa percepire, nel dipinto del Louvre, una donna che, attraverso un sorriso accennato solo intenzionalmente, proveniente dallo stato più profondo dell’interiorità, quindi un sorriso che potrebbe non essere stato tratteggiato, ma che si nota (per me consiste in questo il miracolo dell’opera), assume un’espressione di un’eleganza sbalorditiva, da cui traspare bellezza non convenzionale, dolcezza infinita, mistero femminile. Ora, a quanti verrebbe in mente che soltanto una persona emotivamente diversa (superiore), possa raggiungere nello sguardo un’intensità eccelsa che racchiude armonicamente incanto e nobiltà d’animo? Insomma, Leonardo potrebbe essere stato affascinato dalla luce che una donna, intellettualmente dissomigliante e dotata di peculiarità sensibili non comuni, conferiva al proprio volto. Dipingendo la Gioconda, egli volle rendere stabile e perenne quella luce interminabile. Per me, la Gioconda, era affetta dalla sindrome di Asperger. Ecco spiegata la sua luce, il suo riflesso interiore, la sua magnificenza. Leonardo ha dipinto altre donne, ma nessuna come la Gioconda. Nessuna! Sono giunto al punto predisposto: del valore che la figura del celebre dipinto di Leonardo esprime, dal punto di vista pittorico, tutti ne hanno consapevolezza e tutti le attribuiscono una grande importanza, ma, dell’identità del soggetto, e, di conseguenza, dell’essenza spirituale dell’opera, ciascuno può dare un’interpretazione che si relaziona alle proprie percezioni e conoscenze. Parimenti, di ciò che il signor G evidenzia, attraverso le sue esternazioni di leader indiscusso di un partito politico, tutti ne hanno una inequivocabile concezione, con relativo rovescio della medaglia, dove la visione di “ciurmatore di piazza” si contrappone a quella di ” predicatore della verità assoluta”.
Ecco, credo, invece, che egli non rientri in nessuno dei due giudizi e che la sua vera personalità e l’aspetto più intimo del suo animo rappresentino qualcosa di diverso rispetto alle opinioni che ne hanno seguaci e avversari, adoranti e denigratori. Indipendentemente dal grado di adattabilità al gioco (letterario) in corso, vi invito a meravigliarvi con moderazione di questo esposto: le probabilità che Monnalisa sia il ritratto di una donna con sindrome di Asperger e che il signor G nutra una significativa disistima per il M5S sono le stesse, ossia, non molte per gli amanti della fallace apparenza e superficiale razionalità, qualcuna in più per gli appassionati delle intuizioni improbabili. Pare logico, che, chi non è disposto a pensare nemmeno per un attimo alla Gioconda come a una donna con personalità Asperger, ancor più difficilmente inquadrerà il signor G come una persona nauseata dal partito di cui è leader.
PARTE NONA
Una cosa che mi darebbe tremendamente fastidio, se potessi scorgervi nel vostro atteggiamento diffidente, mentre vi intrattengo, qui, è quel storcere il naso di fronte a rivelazioni sensazionali che vi si presentano sotto forma di assurdità. Già, si dà per assurdo quello che non appare come verità, mentre si accetta come dato di fatto e si dà per scontato quello che è già una verità assodata, e, dunque, normalizzata. Pertanto, risulta normalissimo, giammai assurdo, che siamo sottoposti a un sistema brevettato unicamente pr il trionfo gretto e buffo della gente mediocre. Ancora più normale appare che l’intelligenza, la coerenza e la lealtà siano state messe al bando. Come se non fosse vero che non c’è un settore del lavoro, dove chi è preparato e onesto non sia stato superato da persone meno capaci e integre! L’indice più genuino che vale a qualificare questo meccanismo perverso è rappresentato dai media, in particolare dalle televisioni e dai giornali. Questi ultimi, sempre più autoreferenziali, circoscritti a un minuscolo pubblico di “bottega” e meno letti. L’esempio di “Repubblica” è talmente sintomatico da poterlo definire il più grande disastro giornalistico dal dopoguerra in poi. Uscendo dalla divagazione e tornando al pretesto, posso dirmi certo che il signor G nega se stesso per apparire quello che rappresenta agli occhi degli altri. Trovo che la sua esistenza si consumi nell’eccezionalità di uno stato d’animo che poche persone al mondo sarebbero in grado di reggere a lungo: egli vive da protagonista nella negazione più assoluta. Il signor G è un uomo scaltro e il suo cinismo tattico gli crea una corazza imperforabile. Egli non crede affatto, come tanti, che negazione possa significare anche negatività.
Naturalmente, per poter vivere le sue condizioni occorre avere un talento, capace di far leva, ogni volta, su una mente fredda e pronta. Il signor G è l’unico politico italiano ad aver scoperto che nella ragionevolezza e nella linearità non ci sia nulla di prodigioso, e che per essere spettacolari bisogna seguire un istinto perverso, così che la singolarità della comunicazione risulti “interpretata a soggetto”, senza rinunciare a una mimica facciale di integrazione, più eloquente delle stesse parole. Chi accusa il signor G di fare scenate, o di esagerate performances e altro ancora, è in errore. Non si può tacciare come contraffatto qualcosa che, nel suo procedimento di esternazione, diventa autentico. Come andare a teatro e dire che le scene viste sono false! Che giudizio sarebbe? La recitazione decifrabile della dialettica grillina conferisce, pertanto, alla politica, un aspetto non del tutto estraneo ai fini dicitori dell’antica retorica, a partire da quella classica fino ad arrivare al fervore misurato di Lenin. Per meglio dire, il signor G restituisce alla politica quell’elemento che consente di interpretarla come un’arte, e non esclusivamente come mezzo subdolo di convincimento, utilizzato per secondi fini. Concretamente, al di là di un profitto elettorale, il discorso politico del signor G è equiparabile a uno spettacolo (non certo per palati fini), a prescindere da qualsiasi disegno possa perseguire. In sostanza, il signor G ha saputo dare della politica una rappresentazione scenica più propria, essendo, egli, un comico trasformatosi in politico, e non un politico che risulta goffamente comico. Lo spettacolo da lui offerto, nell’ambito della vita pubblica del paese, difficilmente si fa preferire rispetto a quello inscenato in maniera canonica e rituale dai comunicatori più consumati.
Ma, al di là della sua funzione protettiva e di controllo nei riguardi della truppa parlamentare del M5S, del suo ruolo di leader carismatico del partito stesso e della sua agiatezza e popolarità, il signor G è un uomo felice? Talvolta, osservando l’espressione del suo volto, dove i suoi occhi sembrano smarrirsi, in cerca di qualcosa di riconoscibile a cui aggrapparsi, si ha la sensazione che gli manchino le condizioni per immergersi nel benessere dell’animo. Mi dà la sensazione che egli viva una felicità artefatta e precaria, pronta a dissolversi non appena la coscienza morde, dall’interno, quello che, all’esterno, gli si presenta con tanta predilezione e generosità. Mi sbaglierò, oppure no, ma, non di rado percepisco nello sguardo perso del signor G una sorta di terrificante inquietudine, un dolore di fondo che lo accompagna in maniera permanente, dovuto alla parte più sensibile del suo essere, quella mai scoperta in pubblico e sconosciuta ai suoi critici quanto ai suoi fautori. Sono certo che i suoi occhi sappiano guardare alla bellezza assoluta, ecco perché è così tanto logorato dalla pochezza estetica e stilistica dei suoi paladini. Egli sa perfettamente che senza finezza non vi è bellezza, e i suoi protetti, quando non sono rozzi, non vanno oltre una mediocrità spaventosa. Non vi è alcuna forma di bellezza all’interno del M5S, che, al pari degli altri partiti è da considerarsi come l’espressione più perversa di una società che gira perennemente a vuoto su se stessa, fungendo, miserabilmente, da tappo per precludere l’emersione della migliore.
Ogni desiderio dell’istinto del signor G, viene, pertanto, alienato sul nascere dalla sua coscienza. Tutto quello che egli dice e pensa dei suoi parlamentari ha bisogno di essere supportato da una spiccata artificiosità. La finzione più completa presuppone anche una riflessione falsa, e pochi uomini, al pari del signor G, sono capaci di reggere un simile atteggiamento mentale. Non c’è nulla che possa trovarlo impreparato nell’attuazione della finzione. Il signor G, sia ben chiaro, non rappresenta e non interpreta la menzogna, egli stesso si è fatto menzogna. Insuperabile! Tutta la felicità che un uomo come lui può raccogliere dentro di sé è alimentata da fandonie, non da concezioni solide e inconfutabili. Nelle sue condizioni si può soltanto fingere di essere felici, poiché la sua attitudine a sottacere e a camuffare la limitatezza di cui si è circondato non gli arreca nessun vantaggio morale. Dando, quindi, per scontato che il signor G sia, in qualche modo, costantemente graffiato dagli artigli della filosofia morale, resta da stabilire cosa gli manca per essere realmente felice. Avrei pronta la risposta: al signor G manca Beppe Grillo. Questo, significa che egli deve riaversi, rientrare in possesso delle sue peculiarità caratteriali e caratterizzanti e ripristinare la sua vera emotività. Solo così, egli libererebbe il suo pensiero dalla prigione istituzionale e la sua indole repressa da una diplomazia di facciata. E, quel che più conta, egli potrebbe rendersi l’artefice di “un coup de théatre” che non si è mai verificato nella storia della politica mondiale. Il signor G, se solo desse retta al suo istinto più primitivo, potrebbe svuotare il sacco e rivelare agli italiani e al mondo intero che, egli, beffandosi di tutto ciò che la politica nazionale raffigura, è riuscito a tirare su un partito del 30%, rappresentato, nell’esaltazione di un paradosso perseguito per contrapporre un’etica della scarsezza all’etica del disgusto, dai vari Di Maio, Morra, Casalino e affini. Il signor G, con un tale esempio dimostrerebbe, tangibilmente, che la popolazione italiana è la più facilmente impressionabile al mondo, pronta a scegliere tra il peggio come se pescasse da un meglio non precisabile, e, infine, assurdamente incapace di intraprendere una strada alternativa alla propria minchioneria, sbarrata, come al solito, dai furbastri di sempre e di ogni epoca. Il gioco, qui eseguito, per raccontarne un altro che ha finito per essere parte integrante del governo della nazione? Ma, no, il mio è stato solo un “divertissement”, un pamphlet fiume, a puntate, narrato all’istante e direttamente in bella copia, senza ritocchi, per esercitarmi nella ricerca di una verità improbabile.
(fine)
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